Quante volte, commentando le scene mute che fai nelle discussioni, ti vien da proferire frasi tipo: “Non so che dire”; “ho paura di dire sciocchezze”; “magari pensano che sono una persona stupida”; “non mi sento all’altezza”; “penso che dovrei dire cose importanti”; “non so parlare”; “non capisco quello che dicono”; ”magari dico cose banali” “penso che potrebbero considerarmi una persona deficiente”; “ho paura di fare brutte figure”; “penso che potrei dire cavolate”.
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Fabio Selvatici - vuoto |
In quelle situazioni, i pensieri automatici negativi passano velocemente per la mente. In genere, non ci si accorge nemmeno di aver avuto quei pensieri.
Sono pensieri che vengono da soli, sono transitati talmente tante volte nella tua mente che sono diventate, appunto, automatici.
Ineriscono le qualità negative che si presume di avere, oppure, senza che si sia detta neanche una sola parola, già presagiscono l’insuccesso, i giudizi negativi degli altri.
A volte, i pensieri automatici negativi si presentano nella mente sotto forma di immagini, istantanee che fissano le espressioni facciali dei presenti, immagini che fissano lo stupore degli altri, un grugnito, una smorfia di disappunto, qualche risata irriverente, quasi uno sfottò, il distacco, l’insignificanza.
Le previsioni negative demotivano l’azione.
La mancanza di efficacia della comunicazione preventivata suona come un fallimento di sé come persona. Già, come se un singolo evento, un episodio, qualifichi il valore di una persona in tutta la sua interezza.
Un fallimento, e per giunta in presenza d’altri, appare come una conferma, senza appello, di essere quell’incapace di cui si è convinti.
Il ritenersi mancante di quelle qualità positive richieste alimenta la paura, quella del fallimento, del giudizio negativo, delle conseguenze che ne deriverebbero.
E la paura montante, a sua volta, alimenta altri pensieri automatici negativi e questi, come in un circolo vizioso, rafforza le paure e le perpetua.
Paura e pensieri automatici negativi innescano l’inibizione ansiogena, una reazione emotiva capace di rendere impacciati i movimenti, di far venir meno la memoria di cose e concetti che si conoscono persino bene, di far tremolare la voce, di strozzare le parole in gola, di far arrossire le guance.
Per di più, tutta la tua capacità attentiva è impegnata in questo processo mentale fatto di pensieri negativi e paure, tanto che la tua mente non ha energie sufficienti per vivere quei momenti con reale partecipazione, rivolta al problem solving: non hai da dire perché le risorse sono impegnate altrove, nella negatività.
Le persone timide temono di essere, o si percepiscono in tal modo, in coerenza con quanto inconsciamente pensano emotivamente di sé.
Pensieri e definizioni inconsce sono parte della propria conoscenza tacita che è tutta emotiva, di certo, non razionale, non oggettiva e, pur tuttavia, capaci di condizionare anche il pensiero logico, al punto di ritenere che quelle “verità” emotive siano oggettive, logiche, razionali. Casi in cui l’emotività prende il sopravvento e domina sulle capacità razionali del pensiero astratto, di elaborazione e valutazione logica dei fatti, degli eventi, dei comportamenti altrui e di quelli propri.
Tutto ciò, nonostante il pensiero, di per sé, non è espressione della realtà poiché appartiene al solo dominio dell’interpretazione, della descrizione.
Ma si sa. Quando l’emozione vuol descrivere la realtà, il risultato è fuori dalla realtà.
Cosa accade nella tua mente in quei momenti?
Attingi alle memorie recondite, quelle che si son formate sull’onda emotiva delle esperienze, soprattutto in quelle età (infanzia e fanciullezza) in cui non si è ancora in possesso di quelle capacità di pensiero astratto capace di valutare criticamente e con obiettività le cose.
Ciò che produce quella memoria è pensiero emotivo che è ben diverso da quello oggettivo.
Così, visto che queste credenze di base definiscono negativamente te stesso/a, e quando la ragione è asservita al pensiero emotivo, i pensieri che vengono alla mente è negativo.
Se pensi negativo, anche le previsioni che fai sono dello stesso segno. E ti convinci di tale negatività che, ti ripeto, è tutta emotiva.
La tua risposta comportamentale è che eviti, ti estranei, ti astieni, te ne stai a casa, o per fatti tuoi.
La conseguenza di questa non azione attiva è che dopo non puoi far altro che rammaricarti, giudicarti negativamente, definirti incapace, inabile, inferiore. Così facendo, ahimè, confermi nella sua validità e rafforzi proprio quelle credenze di base negative che hai su di te.
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