Con un sistema di cognizioni strutturali disfunzionali sul sé, sul sé con gli altri e sugli altri, l’insicurezza, l’indecisione, la paura dell’insuccesso, la bassa autostima, conferiscono a tutti i processi logici di analisi del momento contingente, delle valutazioni sulle capacità proprie a farvi fronte con efficacia e dei pensieri di previsione, un senso di precarietà assoluta.
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Elisabetta Fontana - caos |
L’idea che i propri comportamenti (ciò che si dice e ciò che si fa) non possano soddisfare gli intenti e gli scopi che si vogliono perseguire, costituisce una ragione sufficiente per innescare la paura del fallimento e di gravi conseguenze: è un ostacolo che appare immane, insormontabile.
L’incertezza del risultato spinge l’ansioso sociale a pensieri previsionali in chiave negativa, e ciò anche se si possiedono capacità e abilità sufficienti per operare con successo.
Pesa su di lui, la potente influenza pessimistica prodotta dal suo sistema di credenze che lo descrivono come incapace a far fronte positivamente alle situazioni, come inabile a districarsi nella dimensione interpersonale, non amabile o non interessante come persona, non meritevole di attenzione e stima da parte degli altri, di essere inferiore, di essere difettosa (fisica o mentale) per nascita.
Con questo nero quadro cognitivo la paura la fa da padrone. I pensieri automatici negativi pervadono la sua mente conducendola alla sua memoria tacita piena di credenze disfunzionali, prevedendo scenari oscuri.
Giacché le interpretazioni di fatti, eventi e circostanze inducono a previsioni negative considerate massimamente probabili e immanenti, le ipotesi di svolgimento di segno positivo o neutro vengono ritenute poco o per nulla possibili e con una percentuale di probabilità prossima allo zero.
Si verifica, in pratica, un allineamento dell’idea di certezza alle ipotesi previsionali negative. I concetti di probabilità e possibilità, così fondamentali per chi vuole approcciarsi al problem solving, finiscono con l’essere annichilite: Le possibilità positive nulle, le probabilità di scenari alternativi alle nere previsioni azzerate, giungono a coincidere con l’idea di certezza degli esiti negativi.
La persona timida teme l’incertezza perché non gli prospetta esperienze positive sicure, tutto ciò che è passibile di interpretazioni di vario segno equivalgono alla negatività.
“Non ce la posso fare”; “non ci so fare”; “farò una brutta figura”; “mi imballerò e farò la figura dello sfigato, del buono a nulla”; “di sicuro andrà a finire male”; “penseranno che sono una persona stupida”; “mi dirà di no”; “rovinerò tutto”; “fallirò, e sarà una tragedia”; “penseranno (o penserà) male di me”; “se finisce male con quale faccia potrò farmi vedere in giro?”; “cominceranno (o comincerà) a ridere di me”; “sarò giudicato/a male”; “un altro fallimento sarà insopportabile, non lo potrò reggere”; “e se reco disturbo? Cosa penseranno di me?”; “non sono all’altezza”; “non sono capace”; “non attiro l’attenzione di nessuno”.
Sono solo alcuni dei pensieri che possono presentarsi alla mente di un individuo timido.
Questa negatività è riscontrabile anche quando dall’altra/o giungono atteggiamenti o frasi di apertura, di disponibilità. Ciò accade perché i linguaggi verbali non esplicitamente diretti (“ho voglia di fare l’amore con te”; “mi piacerebbe trascorrere una serata con te”; “sei una bella persona e ci piace avere a che fare con te”), così come i linguaggi non verbali, sono interpretabili in vario modo: possono apparire come casuali, pure coincidenze, sfottò, con intenzioni diverse o diversive, come attesa di un comportamento ben preciso, specifico, e che quindi va “indovinato”.
Il linguaggio indiretto (sottintesi, metafore, ammiccamenti, gestualità, espressioni facciali, sensi lati, giri di parole) non conferiscono alla mente timida significati certi, senza ombre di dubbio.
In altri casi, anche quando se ne comprende il senso e l’intenzione, fanno piombare l’individuo timido in una condizione di stallo: accade quando non si è in possesso di abilità sociali riguardanti i modelli comportamentali e linguistici tipici di quelle tipiche situazioni in cui ci si trova.
A esempio, un timido che non ha appreso tali modelli comportamentali e linguistici nel relazionarsi con l’altro sesso, si trova nella condizione di non sapere come comportarsi e cosa dire: in tali circostanze egli teme di sbagliare, di esprimersi in modo inopportuno, offensivo, che possa urtare la suscettibilità dell’altra/o.
La persona timida avverte il bisogno di certezze assolute. In mancanza di ciò resta bloccata, inoperativa.
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