![]() |
Gianpiero Abate - Equilibrio precario |
Il piacere è la risultante del soddisfacimento di un bisogno, la sofferenza è data dalla mancata soddisfazione.
Tutti gli esseri viventi perseguono il piacere, tanto da spingere Panksepp (1) a parlare di dipendenza dal piacere.
Nell’uomo che ha sviluppato, nel corso dell’evoluzione della specie, la coscienza di ordine superiore, il pensiero astratto e il linguaggio verbale, la ricerca del piacere assume aspetti contraddittori e spesso tragici.
Negli ansiosi sociali alla ricerca del piacere si contrappone la paura irrazionale della sofferenza. La paura è tale da indurli, nelle circostanze ansiogene, a rinunciare a perseguire il piacere. Questa tendenza si manifesta nella dimensione interpersonale.
Accade perché nella loro storia emotiva delle esperienze, si rintraccia la memoria di sofferenze frequentemente ripetute.
Tali esperienze sono state memorizzate sulla base delle emozioni di sofferenza provate. La nostra mente categorizza le esperienze associandole alle emozioni provate. Dato che la memoria e il processo di categorizzazione è riscritta continuamente, le emozioni ripetutamente provate sono memorizzate amplificando il ricordo della loro intensità e della sofferenza vissuta.
Accade, così, che la sofferenza ricordata appare non sopportabile, non gestibile, portatrice di grande nocumento al proprio equilibrio psicologico e/o fisico.
Una persona timida che aspira all’amore di un’altra dell’altro sesso, per il timore del rifiuto, di essere giudicata negativamente, del fallimento, rinuncia all’approccio, all’interazione, perché la paura della sofferenza che comporterebbe un insuccesso è considerata troppo forte.
Una persona timida che teme il giudizio negativo altrui valuta il rischio che tale probabilità si avveri, assume comportamenti evitanti per non incappare in quell’insuccesso nell’interazione sociale che il pensiero previsionale reputa certo. Un insuccesso che, nel loro ragionamento emotivo produrrebbe grave sofferenza.
Nelle ansie sociali, la sofferenza è quasi sempre mentale, psicologica.
Nell’amore previsto negato, la sofferenza è quella della solitudine, di una vita intera priva di affetti, in certi casi l’essere esposti alla derisione, l’essere considerati sfigati, nel “doversi” convincere di non essere amabili.
Nell’interazione sociale, dove il pensiero previsionale induce al convincimento di un insuccesso certo e al giudizio negativo altrui, la sofferenza è quella data dalla solitudine, dall’esclusione, dalla discriminazione, dal dolore della non appartenenza.
Rinunciando al perseguimento dello scopo si persegue l’antiscopo, cioè la negazione degli obiettivi, la rinuncia al piacere.
Evitando queste esperienze, l’individuo timido, si auto condanna alla solitudine, alla mancanza di una vita affettiva, alla possibilità di essere accettato, stimato, preso in considerazione.
La paura di una sofferenza considerata insopportabile induce a evitare l'esperienza e produce uno stato permanente di sofferenza che, quasi sempre, acquisisce il carattere di una condizione di fondo.
L‘individuo timido si ritrova in uno stato di infelicità permanente, di tristezza e solitudine permanente, in una condizione di mancata realizzazione stabile nel tempo.
Si ritrova a pensare a sé come soggetto inadeguato, e a giudicarsi negativamente.
Evitando le esperienze la persona timida non ha l’opportunità di verificare la validità delle sue presunte inadeguatezze e, quindi, di disconfermarle. In pratica, conferma e rafforza i suoi schemi cognitivi disfunzionali.
L’evitamento della sofferenza produce una condizione di sofferenza permanente.
Un principio fondante, nell’esistenza di un individuo, è che la vita non è tutta rose e fiori, essa si compone di insuccessi e successi e da queste esperienze, l’uomo apprende gli errori da evitare, nuovi comportamenti funzionali e a farne tesoro, apprende ad adattarsi all’ambiente, ad accettare le esperienze negative e a considerarle come incidenti di percorso, non come fallimento di una vita intera e della persona in quanto tale.
Note
(1) Jaak Panksepp, Lucy Biven; Archeologia della mente; Raffaello Cortina
0 commenti:
Posta un commento
Grazie per il commento