30 marzo 2020


La vergogna è collegata principalmente al sistema motivazionale del rango e, in qualche caso, a quelli dell’affiliazione (appartenenza) e cooperativo.

Roberta Cavalleri - vergogna

La vergogna è una emozione sociale e sussiste solo quando si è esposti al (o alla possibilità) del giudizio altrui. Tuttavia può essere provata anche in assenza di persone quando, nei pensieri transitanti nella mente, si profila l’idea del giudizio negativo degli altri.


Una emozione ad essa collegata è il senso di colpa.


La vergogna fa riferimento all’idea di aver trasgredito a norme sociali, etiche o morali, o di costume, o all’aver arrecato danno ad altri. Implica anche la coscienza di ordine superiore di essere un soggetto sociale.

L’idea di trasgressione non è necessariamente legata ai valori etici o morali collettivi, essa può fare riferimento a valori individuali e, quindi soggettivi, cui la persona conferisce validità universale a prescindere se lo siano effettivamente.

La vergogna relativa a valori soggettivi è tipica delle ansie sociali e delle culture anassertive.


Avendo una natura sociale, la vergogna è una emozione che si apprende nell’ambiente in cui si cresce e si vive e attraverso l’interazione interpersonale.

Un tale apprendimento può essere acquisito già nel primo anno di vita. Ciò ci fa comprendere quanto sia condizionante il rapporto che il neonato o l’infante o il bambino ha con le figure di riferimento.


All’inizio accennavo al sistema motivazionale del rango.

Ebbene, le esperienze dell’umiliazione, della sconfitta, della sottomissione, che sono tipiche emozioni collegate alla competizione o al dominio, è l’espressione del fallimento all’interno dei processi gerarchici.


In questi casi il fallimento è sociale, si verifica in occasioni in cui si è esposti al giudizio altrui. È da tener presente che il giudizio negativo degli altri è quasi sempre vissuto come colpa dell’essere venuti meno a regole o valori considerati ad alto valore sociale.


Analogamente, in riferimento ai sistemi motivazionali dell’affiliazione (appartenenza) e della cooperazione, l’esperienza dell’aver subito un rifiuto pure acquisisce il significato del fallimento; anche in questo caso avviene in presenza d’altri e si è, quindi, esposti al giudizio negativo altrui.


Si comprenderà come il giudizio negativo esterno sia centrale nell’origine della manifestazione della vergogna, potremmo dire una conditio sine qua non. Ciò testimonia la dimensione interpersonale della vergogna.


Come ho già accennato, i valori cui si attribuisce alta rilevanza sociale sono spesso il risultato di valutazioni soggettive, maturate nella mente del soggetto in funzione alla propria storia emotiva delle esperienze e/o in base agli schemi cognitivi, o alle assunzioni o leit motiv apprese, fondamentalmente, nell’ambiente familiare nei periodi pre adolescenziali. Chiaramente, le credenze strutturali intermedie, gli schemi cognitivi, qua fanno la parte del leone.


Le credenze disfunzionali doverizzanti e condizionali svolgono un ruolo di regia, di indirizzo, nell’attribuzione del livello di importanza sociale di tali valori.


Ciò è indicativo anche del fatto che la vergogna è una emozione che si può vivere anche verso la valutazione di sé stessi. Dunque, questa emozione è sia intrasoggettiva, sia intersoggettiva.


Nella dimensione soggettiva, la vergogna stessa, è vissuta come manifestazione soggetta al giudizio altrui e produce la vergogna di vergognarsi: la vergogna stessa diventa un valore.


Essa, penso a esempio al rossore in volto, è vissuta come una esperienza in cui si è nudi dinanzi agli altri, a questi si svela la propria fragilità, la propria debolezza vista come fattore di basso valore personale e, al contempo, di alta esposizione al rischio di attacco.



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