Già Epitteto, nel I secolo dopo Cristo, affermava che le persone non sono spaventate dai fatti ma dall’interpretazione che ne fanno.
Quello dell’interpretazione è un problema cocente ancora oggi per tutti, epperò, lo è ancora di più per gli individui timidi e per quelli in sofferenza psicologica.
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Nicoletta Spinelli - Wait... 2 |
L’interpretazione dei fatti e dei comportamenti induce a molti errori di decodificazione nonostante la comparsa del linguaggio verbale abbia ridotto la possibilità del fraintendimento.
Nelle persone timide, l’interpretazione di fatti, eventi e comportamenti sociali in cui si è o si è stati partecipi, è in buona parte su base emotiva anche quando si svolgono attività mentali logiche.
Ciò perché quando esse vivono la dimensione interpersonale le emozioni sono elicitate, a vari gradi di intensità, e condizionano pesantemente anche il ragionamento razionale.
Nel valutare una situazione, l’ansioso sociale, attinge alla sua memoria esperienziale che si è costituita in funzione di come ha vissuto emotivamente tali esperienze. Nella memoria è conservato anche il suo sistema di pensieri strutturali che riguardano la definizione di sé, di sé con gli altri e degli altri.
Un aspetto evidente di tale condizione lo riscontriamo nelle paure tipiche della timidezza: Il timore del giudizio altrui, del non essere accettati e/o inclusi, paure che fanno riferimento al ritenersi incapaci nel far fronte efficacemente alle situazioni, al considerarsi inabili nell’interazione sociale, nel non considerarsi amabili o interessanti come persona, nel pensare di essere inferiore agli altri.
Il processo interpretativo, di per sé, ha una funzione adattiva ed è finalizzato al problem solving. Nelle ansie sociali, tali funzioni perdono di efficacia.
L’interpretazione può riguardare le esperienze trascorse o il momento presente.
Quando riguarda il passato, la persona timida, cerca le cause dei suoi insuccessi e delle sofferenze. In questo contesto entra in gioco la ruminazione che nelle ansie sociali si caratterizza per essere un processo metacognitivo insistente e ossessivo bloccato su un preciso momento dell’esperienza vissuta, senza riuscire a procedere lungo un continuum temporale.
La tendenza dell’individuo timido a una spietata critica verso sé stesso, lo induce a ricercare le cause dei propri insuccessi nelle sue presunte inadeguatezze, piuttosto che negli errori comportamentali e verbali contingenti, nell’attribuzione dei significati alle azioni e fatti verbali degli altri, nella sequenza degli avvenimenti. Fatti, emozioni e pensieri si fondono in un tutt’uno senza che vi sia una separazione, una distinzione tra essi. In questo modo si perde il senso e la visione sequenziale e conseguenziale degli eventi.
A esempio, un soggetto timido che vorrebbe approcciarsi a un altro dell’altro sesso e finisce con l’evitare l’esperienza, a posteriori, si incolpa di essere una persona sfigata, incapace, fallita. Questa disposizione mentale gli impedisce di cogliere i fattori reali che hanno inciso sul proprio comportamento: il transito nella mente dei pensieri automatici negativi, la paura del fallimento (o del non saperci fare, o del non sentirsi attraente, ecc.), l’insorgere dell’ansia, lo svilimento, e gli impedisce di ragionare su cosa avrebbe potuto fare.
Quando l’interpretazione è riferita al momento presente il problema più cocente è l’attribuzione di significato e intenzionalità: come tradurre atteggiamenti e verbalità proveniente dagli altri? Quali le loro intenzioni?
Il timore di essere senza valore, di non riscuotere interesse da parte degli altri, di essere persona non amabile, di apparire incapace, stupida, induce a interpretare i comportamenti degli interlocutori come espressione di intenzioni escludenti, snobistiche, giudicanti.
Attribuita una intenzionalità negativa ai comportamenti fisici e verbali altrui, i significati da attribuire si riducono a un paniere di opzioni interpretative assai ristretto prefigurate su base emotiva.
Se l’ansioso sociale attribuisce dei sensi negativi alle intenzioni altrui nei propri confronti, la ricerca delle cause di tali effetti si dirigono alle supposte inadeguatezze personali o degli altri: entra in gioco, ancora una volta, il sistema di credenze disfunzionali inerenti il sé, il sé con gli altri e gli altri.
In definitiva possiamo concludere che l’attribuzione di causa, significato e intenzionalità viene determinata sulla base degli stati emotivi occorrenti nel momento presente, degli schemi cognitivi disfunzionali posseduti, della propria condizione nel dominio interpersonale, della storia personale delle interazioni sociali vissute con sofferenza e dei loro effetti sulla propria condizione interiore.
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