II Parte
I timidi e la paura
Le persone reagiscono agli stimoli in modo soggettivo, in base alla propria storia esperienziale, emotiva e in base al proprio sistema cognitivo soprattutto di livello inconscio.
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Mario Fanconi - paura |
Faccio un esempio. Se Pinco, sulla base delle proprie esperienze trascorse, ha maturato la paura dei cani, valuterà la presenza di un cane come un pericolo ad altissima probabilità o di certezza che il rischio si verifichi; ma Wilma, che non ha paura dei cani, valuterà la sua presenza senza avvertire alcun pericolo. In Pinco scatta la paura, in Wilma no.
Faccio un altro esempio. Poniamo che Crizia vorrebbe inserirsi in una discussione tra amici. Ma poi nella sua mente cominciano a transitare pensieri previsionali: “e se dico cose strane? Penseranno che sono stupida”. Questo pensiero la convince che il rischio di un giudizio negativo è davvero troppo alto, anzi, succederà proprio questo. Il rischio diventa una quasi certezza. Crizia è presa dalla paura del giudizio altrui. Giacché il rischio è valutato come certo o quasi, la paura innesca altri processi, quelli di difesa che possono manifestarsi in termini di fuga, estraneazione, immobilismo. L’organismo mette in atto le sue strategie che si manifestano, a esempio, nella scena muta.
Tuttavia, la paura può avere carattere universale, o essere soggettiva. Quando uno stimolo, materiale o immateriale che sia, giunge all’attenzione delle funzioni cognitive di valutazione, la paura è generata dalla dimensione personale.
In questo caso, lo stimolo giunge alla coscienza di ordine superiore e questa reagisce come se si ponesse dei quesiti del tipo: “Ciò costituisce un pericolo?”; “Nel mio passato c’è qualcosa di analogo?”; “Sono a rischio la mia vita, la mia salute, la mia mente?”; “Posso perdere il controllo della mia persona?”; “Se il rischio si avvera, a quali conseguenze andrei incontro?”.
Anche se la mente attinge alla memoria, la valutazione del rischio è riferita al futuro, alla previsione di quanto può accadere e alle conseguenze che ne possono scaturire.
Tutto questo processo cognitivo ruota attorno al tema della sofferenza o della perdita. In altre parole, se la valutazione del pericolo è attinente alla sfera personale, il rischio fa riferimento alla sofferenza.
Dato che nelle ansie sociali, come la timidezza, è generata da processi cognitivi, la paura non è insita nell’evento, situazione o esperienza in sé, ma è prodotta dal significato, dal senso e dal valore che si attribuisce allo stimolo.
Pur avendo una collocazione temporale rivolta al futuro, il processo cognitivo di valutazione induce uno stato emotivo vissuto nel presente. La paura è vissuta nel presente ma è riferita al futuro.
I processi di valutazione cognitiva che inducono la paura agiscono come si si ponessero anche altri tipi di quesiti, oltre a quelli già indicati. “Che mezzi mi servono per fronteggiare la situazione?”; “Ho le capacità e le abilità per far fronte a questo pericolo efficacemente?”; “Sono in grado di reggere emotivamente, psicologicamente o fisicamente, a eventuali danni?”.
Per rispondere a questi quesiti la mente ricorre alla propria memoria, alla storia personale esperienziale ed emotiva, alle cognizioni (inconsce) sul sé, sul sé con gli altri, sugli altri.
Nella pratica, tutti questi pensieri che si generano nella mente, sono processi automatici che durano pochissimi attimi e, in genere non si conserva alcuna memoria di essi, se non nella forma di qualche immagine mentale.
Se dalla memoria emerge un quadro negativo, i pensieri previsionali sono di segno negativo; la paura, non solo è inevitabile, ma viene ulteriormente intensificata.
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