30 giugno 2020


L’affettività, in linea generale, è attinente a sistemi motivazionali dell’attaccamento e accudimento. Ciò non significa che non ci siano interazioni con altri sistemi motivazionali come, a esempio, quello sessuale, quello cooperativo e quello dell’affiliazione. 

Katiuscia Papaleo - incontro fra il conforto e la paura

L’uomo, sin dalla nascita, avverte il bisogno di essere sostenuto, confortato, aiutato. Egli avverte l’esigenza o necessità di vicinanza, complicità solidale, affetto da parte delle figure che considera significative nella propria vita.


I sistemi dell’attaccamento e accudimento li riscontriamo anche nei mammiferi e negli uccelli, soprattutto nel mondo animale che ha sviluppato una forte attitudine alla socialità.


Possiamo affermare che la socialità costituisce la chiave di volta per lo sviluppo, in termini evolutivi delle specie, per la comparsa dei sistemi motivazionali sociali.


24 giugno 2020


I bisogni inappagati, elicitati dai nostri sistemi motivazionali sociali, ci spingono a ricercare, nei comportamenti delle persone con cui ci relazioniamo, il loro soddisfacimento: L’accettazione sociale, l’affettività, la sessualità, la solidarietà, la comprensione, il conforto, la complicità delle persone per noi significative, il riconoscimento della nostra dignità come persona.
Elena Vichi - la sete - della serie

Già alla nascita, il sistema dell’attaccamento, induce il neonato a riporre delle aspettative nella figura del caregiver (la persona accudente che in massima parte è ricoperta dal genitore). È proprio in base a queste aspettative che l’infante comincia a formare le prime cognizioni del sé, del sé con gli altri e dell’altro.


Dunque, le aspettative, che riponiamo verso l’altro/a o verso noi stessi, sono espressione di nostri bisogni, aspirazioni, desideri personali. Allo stesso tempo sono anche speranze.


In quanto espressione dei nostri bisogni personali, le aspettative fanno riferimento alla nostra idea dell’altro e di noi stessi, si tratta dell’idea desiderata del sé e dell’altro. L’altro/a come noi vorremmo che fosse, noi stessi come vorremmo che fossimo. 


L’idealizzazione della figura dell’altro/a o di noi stessi può tramutarsi in distorsioni cognitive quali il mito del vero amico/a, il ragionamento dicotomico, la lettura del pensiero, l’astrazione selettiva.


Nelle persone timide, tali aspettative assumono rilevanza particolare tale da diventare, quando insoddisfatte, strumento inconscio di convalida e rinforzo delle cognizioni disfunzionali proprie.


In questi casi, il far coincidere le aspettative con le nostre idealizzazioni, nei modi e nelle forme, finisce col disegnare un interlocutore espropriato della propria identità, personalità, cultura, indole, stile del modus vivendi.


Nel vivere le relazioni di coppia, il bisogno di certezze induce l’ansioso sociale ad attivare assunzioni e regole implicite per monitorare l’altro/a, attraverso il suo comportamento, sulla sincerità dei suoi sentimenti verso la nostra persona. Con queste regole implicite egli verifica che i comportamenti del partener non siano dissimili da quelli attesi che sono assunti con la logica del tutto o niente. Tale atteggiamento mentale è tale da non dare all’altro/a alternative comportamentali in termini di possibilità e opportunità.


Da ciò, quando il comportamento dell’altro/a non coincide con le proprie stringenti attese, deriva quel sentimento che induce l’ansioso sociale a percepirsi come vittima degli egoismi, delle discriminazioni e dell’indisponibilità altrui. Fattori, questi, che inducono a pensare a un mondo ostile.


È chiaro che le aspettative verso gli altri, facendo riferimento a idealizzazioni, non risultano corrispondenti al mondo reale e ciò comporta vivere l’esperienza della delusione che, spesso, porta a sentimenti di rancore e/o sfiducia verso gli altri.

In questo andazzo l’interpretazione dei comportamenti altrui gioca un ruolo primario.

L’ansioso sociale ha poca dimestichezza, sia coi linguaggi sociali non verbali, sia con quelli verbali. La causa di ciò è da ricercare in vari fattori: nel mancato apprendimento dei modelli di relazionamento sociale; nell’insufficiente esercizio delle abilità sociali quando sono possedute; nell’ottundimento delle capacità logiche dovute all’inibizione ansiogena; nel condizionamento operato da un sistema di schemi cognitivi disfunzionali, nella centralità assunta dai flussi di pensiero negativi che assorbono gran parte delle capacità attentive;  nella tendenza a dar valore ai contenuti delle distorsioni cognitive che si sono formate nel corso della storia emotiva ed esperienziale della persona ansiosa.


Le aspettative vero l’altro/a adulto/a sono, generalmente, silenti, cioè non dichiarate. La persona timida dà per scontato che l’interlocutore/ce sia nelle condizioni di comprendere ciò che ci si aspetta dal lui/lei, quasi come se si avesse il potere di leggere nel pensiero.


In genere ci si affida a linguaggi non verbali che, talvolta, non sono corrispondenti a un linguaggio comune.


La mancata dichiarazione verbale delle aspettative costituisce un altro fattore di incomunicabilità e incomprensione delle emozioni e degli intenti del soggetto timido.


Ciò rende chiaro quanto sia importante la comunicazione verbale che è unica forma di linguaggio capace di esplicitare emozioni, sentimenti e idee.


Le aspettative non sono solo riposte verso gli altri ma anche verso sé stessi. Nel momento in cui osserva la discrepanza tra il sé che si manifesta nell’interazione interpersonale e il sé desiderato e ideale, la persona timida procede a una svalutazione di sé, a confermare e rafforzare le credenze disfunzionali che ha sulla propria persona. È un sentimento che conduce a un forte, cattivo e impietoso giudizio negativo sulla propria persona.



17 giugno 2020


Se l’indecisione è uno stato di stallo mentale vissuto nel presente, l’insicurezza è una condizione più profonda e permanente che può diventare un tratto caratteriale della persona.

E. Giannelli - identità alterate

Si tratta di una condizione mentale di fondo che attinge a una scarsa fiducia nei propri mezzi. Non a caso, bassa autostima e insicurezza sono strettamente collegate.


La paura è l’emozione dominante che condiziona sia il pensiero rendendolo emotivo, sia i comportamenti.


La persona timida, e gli ansiosi sociali in generale, sono pervasi da diverse paure:


  • Di essere incapaci di fronteggiare le situazioni con efficacia.
  • Di non essere sufficientemente abili nel relazionarsi agli altri.
  • Di sbagliare.
  • Di incorrere nel giudizio negativo altrui.
  • Di avere comportamenti non adeguati alle circostanze.
  • Che le proprie presunte incapacità o inabilità sociali appaiano evidenti agli altri.
  • Di arrecare danno a sé stessa.
  • Di subire danni arrecati da altri in conseguenza di propri comportamenti inefficaci.
  • Che la propria timidezza o ansia si manifesti in modo visibile.
  • Di essere inopportuno.
  • Di subire un rifiuto o l’esclusione.
  • Di non essere all’altezza delle situazioni o delle persone con cui interagisce.
L’insicurezza, dunque, si configura come espressione del timore della sofferenza. È una condizione di stallo tra la scelta di vivere l’esperienza e il rischio considerato immanente e certo (o quasi) della sofferenza. È uno stato di crisi nella scelta tra il perseguimento dello scopo  o dell’antiscopo. È un conflitto tra pensiero razionale e pensiero emotivo.

L’insicurezza è attinente al sistema cognitivo di definizione del sé, del sé con gli altri e degli altri, quindi, alle credenze di base e a quelle intermedie.


Benché affonda le sue radici nel sistema cognitivo sostanzialmente inconscio, e nonostante attinga alla propria storia emotiva e degli insuccessi vissuti, l’insicurezza si riferisce al futuro.


Questa è la ragione per la quale la mente della persona insicura è pervasa da continui flussi di pensieri automatici negativi, di tipo previsionale e di valutazione di sé.


Giacché i pensieri automatici previsionali degli ansiosi sociali valutano le sole ipotesi negative di svolgimento dell’esperienza prossima a venire e, quindi, di esiti e conseguenze negative, percepiscono il futuro come luogo insicuro, portatore di insidie.


Le persone insicure si percepiscono fragili, vulnerabili, precari, limitati nelle possibilità. Sentono il pressante bisogno di certezze perché sono le uniche a garantire loro un “attracco sicuro”.


L’incertezza, la variabilità delle configurazioni della realtà futura, l’indeterminazione, le spaventano poiché ritenute espressione di rischio. Si tenga presente che il rischio, nei pensieri previsionali, coincidono con l’idea dell’insuccesso con un livello di probabilità quasi pari a 100 o certo.


È chiaro che, avendo credenze sul sé come individuo incapace, inabile socialmente, non amabile o non interessante come persona, gli ansiosi sociali non possono che sviluppare pensieri di tipo previsionali incentrati sul fallimento, sull’esclusione sociale, sull’essere giudicati negativamente, su un futuro di solitudine.


Provenendo da una attività valutativa del sé in chiave negativa, le persone timide vivono tutte le esperienze ansiogene all’insegna della paura, dell’attivazione dell’inibizione ansiogena.


Nonostante il loro desiderio di appartenenza sociale, di vita attiva e costruttiva, il soggetto timido alla fine sceglie la strada dell’evitamento che diventa il suo modus operandi ogni qual volta è pervaso dal sentimento dell’insicurezza.



10 giugno 2020


Negli ansiosi sociali, e quindi anche nelle persone timide, l’indecisione è la conseguenza di perturbazioni negative nei flussi di pensiero e degli stati emotivi che si vivono nei momenti in cui si è in procinto di fare delle scelte.


Bizzozero Laura - oscuramento
Il pensiero è emotivo quando, la mente elabora dati mnemonici della storia esperienziale e delle cognizioni strutturali sotto la pesante influenza degli stati emotivi,. 

L’indecisione, come processo cognitivo è riferita al futuro ma, come accennato, poggia sulle cognizioni di base o derivate, riguardanti le descrizioni del sé, del sé con gli altri, degli altri e del mondo sociale, in pratica parte dal passato.


9 giugno 2020


Le persone timide non osservano in modo oggettivo sé stessi.
Quando meditano sul proprio carattere, sui propri comportamenti, nel loro di relazionarsi agli altri, lo fanno sull’onda emotiva di percepirsi.

Vincenzo Di Martino - Il cacciatore di se stesso

A loro, i propri pensieri di valutazione del sé, appaiono razionali, li considerano come il risultato di un pensare realistico. Valutano la propria storia esperienziale sulla base degli insuccessi vissuti, delle difficoltà nell’interagire con gli altri, dei problemi di inserimento sociale. L’analisi che svolgono su sé stessi guarda ai risultati, agli effetti che il relazionamento produce. In pratica osservano i risultati finali e da questi ne traggono conclusioni. 


I timidi, quando cercano le cause, le ragioni della propria condizione, finiscono col pensare di essere degli incapaci nel fronteggiare le situazioni, inabili nel relazionamento sociale, di non suscitare interesse negli altri, di essere sbagliati o difettosi per nascita, in certi casi, non amabili come persona, oppure addirittura inferiori agli altri. Altri puntano la loro osservazione sul proprio corpo, sulle fattezze fisiche.


Perché succede tutto questo?

Alla radice, nel livello inconscio, ci sono le credenze di base o quelle derivate dalle prime, le credenze secondarie. Le cause delle loro difficoltà fanno riferimento a queste cognizioni strutturali. Si giunge alla deduzione di essere inadeguati perché tali conclusioni sono coerenti col sistema cognitivo del sé che li definisce in tal modo.


Si tratta di un sistema cognitivo che si è formato, in gran parte, durante l’infanzia e l’adolescenza sulla base delle esperienze di relazione avute soprattutto con i caregiver (gli accudenti, principalmente i genitori) e sono state memorizzate attraverso le emozioni provate.


In pratica, è un sistema cognitivo che si è costituito sulle emozioni vissute.

Se questo rapporto con i caregiver è un continuum di modi costanti e ripetitivi di relazionamento, le cognizioni non subiscono invalidazioni e le riscritture della memoria confermano la loro validità di partenza. Le cognizioni strutturali si irrigidiscono e l’ansioso sociale le porta con sé anche in età adulta.


La persona timida adulta si ritrova con un sistema cognitivo sul sé tanto rigide che non ha potuto modificare attraverso le capacità di elaborazione astratta critica che si acquisisce sul finire dell’adolescenza.


Allo stato cosciente si rende anche conto dell’irrazionalità del proprio percepirsi. Purtroppo conscio e inconscio operano su livelli differenti. Mentre il primo è capace di analisi critica complessa, il secondo è un processo automatico che memorizza solo dati emotivi che non hanno accesso alle funzioni cerebrali superiori di elaborazione.


Il risultato è che il suo pensare razionale subisce il pesante e determinante condizionamento delle emozioni: il pensiero diventa emotivo perché i processi di valutazione logica si poggiano su dati di conoscenza emotiva e non oggettiva. 


Per fare un paragone banale, ma che rende l’idea, è come se un matematico a cui è stato insegnato che 2 più 2 fa 5, giunge nei suoi calcoli sempre a risultati errati, non perché non sia capace di ragionare razionalmente e logicamente, ma perché i suoi calcoli si basano sul dato sbagliato che la somma di 2 più 2 è 5.


I dati di definizione del sé memorizzati nella mente della persona timida sono di carattere emotivo e, pertanto, non riflettono la realtà oggettiva.


Maggiore è il carico emotivo elicitato, maggiore è il discostamento dalla realtà.


In definitiva, quando l’ansioso sociale pensa su sé stesso, si pone come osservatore emotivo senza che il suo sistema cognitivo inconscio riesca a cogliere la realtà causale della propria personale condizione.