28 luglio 2020


Capita alle persone timide di trovarsi in difficoltà quando nelle conversazioni con amici o conoscenti si discute di argomenti generici, del più e del meno, i cosiddetti argomenti banali.
Simonetta Massironi - presenza

In tali situazioni il soggetto timido fa scena muta. “Non so che dire”; “penso che dovrei dire cose importanti”; “le conversazioni banali non sono per me”; “non trovo interessanti le discussioni banali”.


La persona timida si sente spiazzata, priva di argomentazioni, avverte i temi in discussione non adatti a sé.


Spesso, considera le conversazioni banali come inutili, senza senso, pregne di superficialità.


Eppure, le conversazioni banali, per quanto possano apparire tali, svolgono un ruolo importante per le relazioni interpersonali.



Le conversazioni non hanno il semplice scopo di trasmettere contenuti, pensieri, idee. Esse svolgono una funzione sociale.

La comunicazione verbale ha più livelli di interazione.



  • Partecipando a una conversazione si comunica agli interlocutori la propria disponibilità a relazionarsi. Come se si dicesse loro, “mi fa piacere relazionarmi con te (o con voi)”.
  • Si comunica l’accettazione degli altri come soggetti sociali verso cui si prova interesse e a cui si conferisce un certo grado di importanza. Un po' come dire “sei importante”.
  • Si rafforza il legame di amicizia o di conoscenza.
  • Si afferma la propria appartenenza sociale al gruppo o alla persona interlocutrice.
  • Si afferma l’esistenza di un rapporto di relazione tra sé e gli altri.
  • Si definiscono i ruoli di rango anche quando se solo temporanei e legati alla circostanza, al momento presente.


In pratica nelle conversazioni banali non sono importanti i contenuti verbali, ma la relazione che intercorre tra i presenti.


Probabilmente queste osservazioni non sono sufficienti a sbloccare l’individuo timido.


Accade perché sottostante alla difficoltà comunicativa soggiacciono problematiche di carattere cognitivo che riguardano le definizioni inconsce del sé e/o anche degli altri.


Come ho più volte scritto, la timidezza è una forma di ansia sociale di natura cognitiva.


Le credenze di base sottostanti queste difficoltà possono essere di vario tipo. Nella forma verbale, quando affiorano allo stato cosciente, o tangente a esso, sono definizioni-descrizioni sintetiche, nette, perentorie. A esempio: “sono una persona incapace”; “non sono interessante come persona”; “non sono abile a stare con gli altri”; “sono una persona inetta”; “sono stupida/o”; “sono imbranato/a”.


Sono idee che spesso si presentano alla mente nella forma di pensieri automatici negativi o in forma di timori. In tanti casi anche come immagini mentali.


Da queste discendono cognizioni intermedie in forma condizionale o doverizzante: “Se apro bocca si accorgono che sono inadeguato/a e allora vengo escluso/a”; “non bisogna mai esprimere un proprio pensiero altrimenti son guai”.


In queste situazioni, i pensieri automatici possono essere anche di natura previsionale: “Se dico qualcosa, potrei dire cose inappropriate”; “magari dico cazzate”; “potrei essere inopportuno/a”; “potrei dare fastidio”; “penseranno male di me”; “magari farfuglio cose incomprensibili”; “potrebbero pensare che sono stupido/a”.


L’emozione principale, conscia o inconscia, è la paura. Il timore di subire un giudizio negativo, di suscitare l’ilarità negli altri, di apparire ciò che si teme o si pensa di essere in termini di qualità negative, la paura di essere isolati o ignorati, il timore di non saperci fare.


Tutte paure che hanno un timore sottostante, quasi sempre inconscio, quello della sofferenza che potrebbe scaturire dall’esperienza.


Un altro fattore che incorre spesso in queste circostanze è la mancanza di esercizio alla conversazione che non verte su temi in cui ci si sente ferrati, preparati.


La mancanza di esercizio alla conversazione banale, oltre a quelle indotte dalle cognizioni del sé disfunzionali, ha diverse cause: la non conoscenza di tecniche di conversazione, la mancanza di abitudine alla lettura o ascolto di fatti quotidiani, la mancanza di interesse verso un ampio ventaglio di conoscenza.


La mancanza o la ridotta conoscenza o cultura generale determina un ridotto paniere di temi di conversazione.

Tutti questi fattori comportano, quasi sempre, l’insorgere della inibizione ansiogena.

La persona timida non è asociale, desidera far parte del gruppo a cui, tra sé e sé, sente o vorrebbe appartenere, desidera interagire, ambisce a essere accettata.


Quando fa scena muta nelle conversazioni, si sente fuori gioco, avverte il dolore della non appartenenza.


Ciò nonostante, viene a trovarsi in una situazione di impasse, non sa come agire, cosa dire, frasi e pensieri fugaci non trovano lo spazio nella verbalizzazione. Capita anche che per la mente transitano pensieri da poter proferire ma l’inibizione ansiogena la blocca.


In conclusione, le conversazioni banali hanno una loro utilità che è di carattere relazionale.





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