“Agli altri risulto antipatico”; “Le persone mi guardano e pensano male di me”; “Gli altri non mi degnano di attenzione”; “Lui/lei ha attraversato la strada per evitarmi”; “gli amici non si degnano mai di invitarmi”; “Le/gli ho chiesto di uscire con me, ma ha trovato una scusa per dirmi di no”.
Queste e altri tipi di considerazioni sono frequenti nelle persone timide che vivono con difficoltà le interazioni interpersonali.
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Inoltre, l’assegnazione di sensi e significati dei comportamenti si basano sulla storia esperienziale ed emotiva della persona e, nel caso di tanti ansiosi sociali, da un insufficiente apprendimento dei modi comportamentali e verbali negli ambiti sociali; spesso dipendono anche dalle aspettative riposte negli altri.
Nel relazionamento verbale, qualora la persona timida ha problemi e difficoltà nelle conversazioni e nell’esprimere pensieri, pareri ed emozioni, la mancanza di esercizio alla verbalità, può generare un linguaggio molto personale non propriamente in uso nella comunità o gruppo di riferimento. Può accadere che si fa ricorso a significati non comuni nel linguaggio altrui.
Un altro problema è dato dal fatto che il linguaggio non verbale, poggiandosi soprattutto su ciò che è visibile, può generare incomprensioni in quanto è difficile cogliere la reale intenzionalità dell’interlocutore.
Nel caso degli ansiosi sociali, la personalizzazione, riferita a sé, degli altrui comportamenti (ciò che si fa e ciò che si dice), induce a interpretazioni fuorvianti.
Va ricordato che la persona timida tende a “leggere” nelle le frasi e nei comportamenti degli altri quel che pensa di sé stessa, come se in essi vede rispecchiate le proprie presunte inadeguatezze.
L’individuo timido spesso si sente al centro dell’attenzione e alla mercé del giudizio degli altri. Ciò fa sì che interpreta le azioni e le parole come se fossero riferite a sue qualità negative nell’atto di essere valutate e giudicate.
Dunque, l’interpretazione dei comportamenti altrui subisce l’influenza dei propri stati emotivi del momento e delle credenze di base sul sé e/o sugli altri.
Proprio il sistema di credenze di livello inconscio condiziona le attività interpretative esterne in virtù del fatto che la persona timida codifica i linguaggi esterni stando in una disposizione mentale incentrata su di sé e non nel contesto oggettivo anche se ciò sfugge al suo stato cosciente.
Crizia, mentre passeggia, vede una persona che conversando con altri, volge lo sguardo nella sua direzione e ride. Sentendosi al centro dell’attenzione, interpreta quel comportamento come se il tipo stesse ridendo di lei.
Nella realtà, quel che Crizia ha visto è solo un individuo che guardava nella sua direzione ridendo, ma non è detto che stesse guardando lei. Magari, come accade spesso nelle conversazioni, quello stava solo volgendo lo sguardo altrove in modo distratto. E se proprio guardasse intenzionalmente proprio lei, non è detto che stesse ridendo di lei e quel riso era riferito ai contenuti della conversazione.
Purtroppo Crizia, sentendosi al centro dell’attenzione, si sente nuda, esposta ai giudizi degli altri, avverte una sorta di trasparenza, visibilità esterna di ciò che crede o teme di essere.
Le persone, spesso, credono di capire quel che passa nella mente degli altri. Nella realtà esse possono solo avere una impressione basata sulla propria storia esperienziale, delle proprie paure o di altre emozioni. L’homo sapiens non ha il potere di leggere nella mente altrui, può solo ipotizzare: ma le ipotesi non sono la realtà oggettiva.
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