Difronte ai continui insuccessi relazionali, la persona timida, cade nello sconforto, presa dalle emozioni della tristezza da una parte e, dall’altra, dal timore dei giudizi negativi altrui, della sofferenza che le inefficaci interazioni sociali possono comportare.
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Vincenzo Di Martino - Senza Identità |
Nella sua mente si presenta solo l’idea di un passato fatto di debacle, mai di eventi positivi anche se ci sono.
Quando un insuccesso va ad aggiungersi a una lunga storia di fallimenti relazionali, l’ansioso sociale cerca, nel suo dialogo interiore, le ragioni del proprio fiasco.
Nello stile “naif” dell’autoanalisi alla ricerca delle cause, ha facile gioco il sistema delle credenze di base disfunzionali. Ciò perché, quando l’attività mentale è rivolta al sé, quello della persona timida è un pensare emotivo.
Comincia a ruminare e un flusso di pensieri automatici negativi attraversa la sua mente: in essi, la sintesi del sistema cognitivo strutturale sul sé.
Le credenze di base si fanno strada, con tutta la loro potenza, influenzando e condizionando, l’intero processo di valutazione che si svolge nella sua mente.
Sono potenti perché, operando a un livello inconscio, si presentano in molte forme e in modo subdolo. Le credenze si base si manifestano indirettamente attraverso i pensieri automatici, le credenze intermedie, le assunzioni, i leit motiv, le immagini mentali, le stesse emozioni della paura.
La persona timida giudica sé stessa solo in base agli effetti prodotti ai suoi tentativi infelici di relazionamento.
Ciò accade perché, nei momenti in cui medita su sé stessa, nella ricerca delle cause, si attivano le credenze disfunzionali che, come sai, sono rappresentazioni, descrizioni, definizioni mentali del sé, del sé con gli altri e degli altri.
Sai anche che le ansie sociali sono un prodotto di tale sistema cognitivo.
In questa attività mentale in cui si tenta di individuare i perché della propria condizione, la sua mente attinge alla memoria dei pensieri strutturali, ma anche alla storia dei propri insuccessi.
Questi ultimi appaiono come dimostrazione della validità e dell’esattezza delle cognizioni disfunzionali che ha di sé.
Le ipotesi valutative di segno neutro o positivo o che vagliano scenari alternativi come l’analisi dei fattori contingenti, il carattere abituale dei comportamenti, non sono presi in esame e, se lo sono, vengono subito scartati.
Il mondo delle possibilità e delle probabilità è alieno nella sua mente perché il suo è un pensare emotivo, non oggettivo.
In tanti casi, si giunge al paradosso per cui gli effetti positivi del suo agire sono considerati colpi di fortuna, determinazioni fortuite. Quando la positività del suo agire è dichiarata e fatta notare dagli altri, essa è vista come atto di gentilezza o di una non volontà di infierire, quasi un comportamento altrui pietoso.
Il giudizio negativo di sé altro non è che il riflesso delle credenze disfunzionali riguardanti le qualità personali.
Il problema è che queste credenze sono assunte come verità inoppugnabili. Del resto si tratta di cognizioni profonde ben radicate e che non hanno mai subito processi di invalidazione e/o revisione.
Anzi, a ogni auto giudizio negativo di sé, corrisponde l’automatica conferma, rinforzo, radicalizzazione e irrigidimento ulteriore del proprio sistema di credenze di base.
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