28 settembre 2020


Per alcuni è vissuta come sfida o gara a chi dura di più, per altri come espressione di forza o di rango sociale. Per altre ancora è guardare nelle profondità dell’animo altrui. 

Una mia intima amica ha dei favolosi occhi grigio verde chiari. Adoro guardare i suoi occhi, sprizza dolcezza e bellezza, immergermi e perdermi beato in quell’infinito che vorrei scoprire, nei meandri segreti del suo animo. A volte, anche lei ricambia. Prima o poi le chiederò che effetto le fa sentirsi guardare.

Arianna Cappelletti - la-paura

Qualunque siano i modi di viverle, guardarsi negli occhi, è pur sempre comunicazione non verbale. Ciò ha le sue implicazioni al di là delle intenzioni o volontà di comunicare.

Per le persone timide è attivazione di paure.

I timori percepiti attivano i pensieri automatici negativi o sono attivati da questi.

Gira e rigira, si ha comunque a che fare con il dominio delle cognizioni.

“Che sta pensando di me?”; “ho paura di quel che potrebbe pensare di me”; “come mi giudicherà?”.

21 settembre 2020


Ellis la elenca tra i ragionamenti irrazionali, altri, come Beck, la definiscono una distorsione cognitiva.

Catherine La Rose - donna allo specchio

La personalizzazione è un ragionamento che conduce un soggetto a riferire a sé stesso la colpa per eventi infelici, che procurano danno materiale, fisico, psichico o emotivo ad altri.

Faccio qualche esempio utilizzando il mio abituale personaggio. Due persone litigano e Crizia addebita a sé stessa la colpa del loro litigio ritenendo che sia accaduto a causa sua. Accade spesso nei bambini in occasione di litigi o divorzio dei genitori. 
In ufficio il capo è incazzato, Crizia pensa sia colpa sua. Una cena tra amici finisce a male parole, Crizia riconduce a sé stessa la responsabilità.

14 settembre 2020


Il sistema motivazionale dell’attaccamento quando è vissuto in modo doloroso e reiterato nel tempo, già in età precoce (neo natalità, infanzia, fanciullezza), produce un apparato cognitivo di base disfunzionale incentrato su rappresentazioni, definizioni e descrizioni del sé, del sé con gli altri e degli altri in termini negativi.

Giulio Massari - Emarginazione

Nell’infanzia, anche la separazione, più o meno prolungata, dalla figura di riferimento entra nel novero di queste casistiche.

Genitori disattenti, distratti da condizioni mentali interiori di sofferenza, presenti e/o attenti a sprazzi all’infante, dalle espressioni facciali inespressive, violenti, lamentosi, isterici, alcolizzati, tossicodipendenti, trasmettono al neonato, al bimbo, emozioni negative.

8 settembre 2020


Prima di essa c’era la sola comunicazione non verbale, cioè quella delle movenze, delle posture, della gesticolazione, delle espressioni facciali. Cose che abbiamo in comune con le altre specie animali. Tuttavia, nell’homo sapiens, c’è anche l’uso delle dita per indicare l’oggetto che si vuol porre all’attenzione degli altri. 

Luigi Zizzari - Comunicanti
La comunicazione non verbale nasce con le prime forme di coscienza che, anche se non razionale, danno comunque il senso di sé come soggetto distinto dagli altri e a riconoscere l’intenzionalità altrui proprio attraverso questa forma di comunicazione “fisica”.

Nell’uomo, con la formazione della neocorteccia e, grazie anche alla maggiore complessità della socialità, si sviluppa la coscienza di ordine superiore che permette la nascita del linguaggio verbale.

Alcuni ritengono che la comunicazione verbale si sia sviluppata all’incirca diecimila anni fa, forse, anche alcune migliaia di anni prima, ma questa è cosa difficile da appurare.

Con la comunicazione verbale, l’uomo ha la possibilità, di descrivere le proprie emozioni, di esplicitare le proprie intenzionalità, comunicare conoscenze, accelerare i processi di apprendimento e poi a trasmettere conoscenze in forma scritta: cose che non sono possibili con la comunicazione non verbale.

Sebbene, anche questa giovane forma di comunicazione sia soggetta a errate interpretazioni e fraintendimenti, è molto più puntuale della più antica comunicazione non verbale.

Se dovessi utilizzare una parola chiave per indicare il perché ciò sia stato possibile, userei la parola “complessità”.

In effetti, l’accresciuto livello di complessità della socialità sviluppatesi nella specie umana, ha spinto il processo evolutivo dell’homo sapiens a cercare nuove e più performanti forme di comunicazione, in quanto il livello non verbale non era più in grado di soddisfare esigenze e necessità che si profilavano con le prime forme aggregative e organizzate dell’uomo.

Il linguaggio verbale assorbe, senza sostituirsi a essi, anche quei tratti distintivi del comportamento animale (e dell’uomo primitivo) che sono espressione dei sistemi motivazionali sociali e che, in precedenza, si manifestavano solo attraverso il linguaggio non verbale.

Ciò significa che il linguaggio verbale non è solo comunicazione di conoscenze, pensieri, intenzioni ed emozioni, ma assume anche carattere di relazione.

È proprio nel carattere di relazione che possiamo riconoscere l’espressione dei sistemi motivazionali sociali: la competizione, il rango sociale, la pariteticità, la cooperazione, l’affiliazione.

E non solo. A esempio, il sistema dell’attaccamento (e accudimento), quello sessuale e della ricerca si manifestano anche attraverso l’uso del linguaggio verbale.

Attraverso il modo e lo stile con cui comunichiamo, affermiamo i nostri intenti di rango, di apertura o chiusura verso l’altro, la disponibilità (o meno) a una relazione paritetica e/o cooperativa, le aspirazioni di affiliazione.

A esempio, se dico “dammi quel bicchiere” indico non solo l’intenzione di avere quel bicchiere ma genero anche un modo gerarchico nel rapportarmi nei confronti dell’altro, dò un ordine. Ma se dico “mi dai quel bicchiere?”, mi pongo in una relazione paritetica o cooperativa.

Se proferisco un secco “no” a una richiesta o proposta, indico una mia chiusura o rifiuto di affiliazione o di cooperazione. Al contrario, se invece del “no”, dico, “ci vorrei pensare su”, o “vediamo se è possibile”, lascio aperta una finestra: cambia il senso dell’intenzionalità.

In pratica, con il linguaggio verbale posso determinare o indicare il tipo di relazione che intendo instaurare.

Ma in che modo, il linguaggio verbale può avere a che fare con la timidezza?

Il linguaggio verbale, come anche la comunicazione non verbale, ha due o tre attori: colui che proferisce, colui che per comprendere il senso e il significato di ciò che gli viene comunicato deve “decodificare” il messaggio; lo spettatore.

I silenzi di una persona timida, nelle conversazioni, non offrono modi verbali per comprendere le sue intenzionalità se non ricorrendo alla codifica del più antico linguaggio non verbale che si poggia sul solo comportamento ma che pone un serio problema di corretta interpretazione. 

Una voce sommessa o tremolante, così come il non saper dire “no”, pone l’altro in un rapporto gerarchico superiore.

Un fattore importante, nella comunicazione verbale, è l’ascolto attivo, cioè ascoltare con attenzione e disponibilità alla comprensione di ciò che l’interlocutore intende esprimere.

Interrompere una persona che si sta esprimendo è un atteggiamento di non ascolto. Ascoltare fino in fondo l’interlocutore significa anche inviargli un messaggio di apertura, è come dirgli: “Ti ascolto perché ho rispetto per la tua persona, perché mi interessa conoscere il tuo pensiero e lo voglio comprendere appieno”.

Nella comunicazione verbale c’è un aspetto su cui bisogna prestare attenzione: la complementarietà.

La complementarietà si basa sulla differenza dei contenuti. Esprimere contenuti differenti non significa avere, necessariamente, idee diverse. Spesso, in una discussione su un determinato tema, i partecipanti esprimono il proprio pensiero affrontando la questione in oggetto, analizzando la problematica secondo un determinato aspetto, un “angolo di lettura”.

Apparentemente, questa differenza di contenuti, può sembrare un dissenso, una diversità concettuale antagonista al nostro pensiero personale, ma nella realtà, questa differenza è solo uno dei tanti aspetti di uno stesso tema. È la complementarietà.


In altre parole, più aspetti possono concorrere a delineare i tratti complessivi di un tema che ha una pluralità di sfaccettature.

Il problema della complementarietà nel confronto verbale è che viene spesso confusa con la diversità o contrapposizione di vedute.

Ovviamente c’è anche la diversità concettuale, ideologica, ecc., ma questa è un’altra storia.