12 ottobre 2020


Il bisogno di controllo è una attività di monitoraggio il cui scopo è verificare e confermare l’esattezza delle proprie cognizioni su sé e sugli altri.

Luigi Zizzari - Il controllo

Due sono le forme di controllo che l’ansioso sociale mette in campo. Una è rivolta a sé stesso, l’altra indaga sull’altro.

In questo processo entrano in gioco sia le credenze di base, sia le assunzioni, i motti e i leit motiv che caratterizzano molti dei modi del pensare degli ansiosi sociali.

Uno dei tratti caratteristici dell’attività di controllo è l’incertezza da una parte e il bisogno di certezze dall’altra.

Quando il controllo è riferito a sé, la persona timida entra in una fase metacognitiva, soprattutto di ruminazione, in cui analizza i propri comportamenti ed espressioni verbali verificatesi nell’interazione sociale, le proprie sensazioni interne, le reazioni emotive agli eventi.


In un certo senso, cerca il pelo nell’uovo. È alla ricerca di quegli elementi che possano dimostrare la reale sussistenza delle personali presunte inadeguatezze.

Ciò accade anche con forzature interpretative. 

L’ansioso sociale non è interessato tanto alle proprie qualità positive personali, quanto a quelle negative. 

Il controllo riferito a sé è più che altro una messa sott’accusa della propria persona.

A guidare questo processo “contro” sono le percezioni di sé, il sentire di essere in un determinato modo (ovviamente in negativo), il timore di essere ciò che pensa della propria persona. È un po' come dire a sé stesso: “ecco, vedi come sei?”. 

La persona timida si percepisce negativamente e cerca conferme e dimostrazioni, ma mai disconferme, invalidazioni delle idee pregiudizievoli che ha di sé.

Riferito agli altri, l’attività di monitoraggio nasce, soprattutto, dal sospetto della persona timida che l’interesse, i sentimenti e la disponibilità dell’altro/a o degli altri non siano sinceri. Si tratta di un sospetto che l’ansioso sociale considera pressoché una certezza.

Qui, centrali, sono le credenze sull’inaffidabilità o l’indisponibilità altrui. Da queste derivano motti e assunzioni centrate sul tema del mondo umano come ambiente cinico, egoista, superficiale, ostile, che nasconde molte insidie.

“Il genere umano è egoista”; “a questo mondo le persone fragili, sincere, serie, altruiste, non hanno spazio”; “la gente cerca solo di sfruttarti, di approfittare di te”; “non bisogna mai fidarsi degli altri”; “se una persona si mostra gentile è solo per convenienza”; “mi fanno i complimenti solo per gentilezza”; “le persone fingono di provare sentimenti veri per me”.

L’altro è “scrutato” nei suoi comportamenti, nelle sue espressioni verbali.

Nella visione dell’ansioso sociale che ha credenze e assunzioni come quelle accennate, le persone dovrebbero sempre mostrarsi disponibili, attenti alle sue esigenze e bisogni.

È su queste basi che egli costruisce le sue aspettative sugli altri in cui la distorsione cognitiva principe è quella del mito del vero amico

Ciò è ancora più marcato nei soggetti anassertivi, con forti carenze affettive, che vive con grande sofferenza il problema dell’accettazione sociale: persone che cercando strade per sentirsi accettati, si mostrano eccessivamente disponibili, al punto da sacrificare i propri interessi e bisogni a favore degli altri con cui è in relazione. Per cui si aspetta dagli altri uguale metro di comportamento.

In questo quadro mentale, non essere invitati o cercati è dimostrazione della validità delle proprie credenze e assunzioni sugli altri.

Ricordo che l’ansioso sociale vive in una condizione mentale centrata su di sé, per cui il mondo esterno sfugge nella sua interezza, nella sua diversità. È quasi qualcosa di estraneo.



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