Quella d’amore è una forma di timidezza tra le più diffuse. Una persona timida può risultare, o apparire, estroverso nei rapporti amicali e nelle interazioni sociali in generale, ma bloccarsi, andare in difficoltà, quando si tratta di approcciarsi a una persona dell’altro sesso. In certi casi, questa timidezza si manifesta solo verso la persona desiderata, verso cui si provano sentimenti di amore, interesse finalizzato a un rapporto di coppia.
Poi ci sono gli individui che manifestano timidezza in tutte, o quasi, le forme di interazione con gli altri.
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Goa - Neuroni emozionali |
Come ho già scritto in altri articoli, la timidezza è una forma di ansia sociale di natura cognitiva che si manifesta solo nella dimensione interpersonale, fuori da questa, non sussiste.
Se nel caso della timidezza d’amore ci troviamo di fronte a persone con un paniere cognitivo disfunzionale in cui le credenze di base negative sono circoscritte a condizioni e circostanze specifiche, nella timidezza generalizzata, tale paniere è molto più ampio.
Alla radice di questa timidezza, c’è un sistema cognitivo disfunzionale caratterizzato da credenze di base che definiscono sé stessi come persone inabili nel districarsi nelle situazioni di approccio, di creazione di rapporti di coppia o di sesso, come persone incapaci di amare, come individuo non amabile o meritevole di amore, come soggetto sbagliato o difettoso per nascita. Sono anche possibili credenze riferite agli altri come soggetti non disponibili o inaffidabili.
Quando una persona timida desidera approcciarsi a una dell’altro sesso, la sua mente, nel livello inconscio, accede alla memoria delle cognizioni di base e della sua storia esperienziale, in genere, di vani struggimenti d’amore.
I pensieri automatici negativi transitano veloci nella sua testa. Sono pensieri negativi che ricalcano i contenuti delle sue credenze di base e/o fanno previsioni nere sullo svolgimento e sulle conseguenze dei tentativi di agire per soddisfare i propri desideri e obiettivi.
Anche le credenze intermedie condizionali o doverizzanti possono entrare in gioco: “se mi faccio avanti divento rosso come un peperone e farò una figura di merda”; “capirà che sono una persona inetta”; “penserà che sono proprio un/a sfigato/a”; “mi dirà di no”; “magari mi riderà in faccia”; “mi tratterà come un/a demente”; “riderà di me davanti a tutti”; “e se sono inopportuno/a?”; “non è il momento giusto”; “ma dove vado che sono un/a incapace?”; Penserà che non valgo niente”.
Il flusso di pensieri negativi si mischiano alle paure al punto di fondersi in un tutt’uno che impedisce alla ragione anche di distinguere tra pensieri ed emozioni. I sintomi dell’ansia si fanno avanti.
A quel punto, la persona timida, cede alla pressione di questo groviglio che lo pervade e rinuncia. Il timore dell’insuccesso e la sofferenza di quel che le sue previsioni lasciano presagire come effetti che certamente si verificheranno la spingono a perseguire l’antiscopo.
Generalmente, dopo il comportamento evitante, si fanno strada altri tipi di pensieri. Idee giustificatrici. I sistemi cognitivi salvaguardano sempre sé stessi, che abbiano torto o ragione. Le personali assunzioni, i leit motiv, fanno la loro comparsa.
“Non c’è spazio per chi crede nel vero amore”; “le persone serie non hanno possibilità”; “in fondo è una storia che non sarebbe potuta durare”; “siamo troppo diversi”; “sono una persona fallita”; “non valgo nulla”; “il mio destino è la solitudine”.
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