5 ottobre 2020


Ellis lo elenca tra i ragionamenti irrazionali, altri, come Beck, la definisce una distorsione cognitiva.

La personalizzazione è un ragionamento che conduce un soggetto a riferire a sé stesso la colpa per eventi infelici, che procurano danno materiale, fisico, psichico o emotivo ad altri.

Faccio qualche esempio utilizzando il mio abituale personaggio. Due persone litigano e Crizia addebita a sé stessa la colpa del loro litigio ritenendo che sia accaduto a causa sua. Accade spesso nei bambini in occasione di litigi o divorzio dei genitori. 

In ufficio il capo è incazzato, Crizia pensa sia colpa sua. Una cena tra amici finisce a male parole, Crizia riconduce a sé stessa la responsabilità.

Vincenzo Di Martino - Il cacciatore di se stesso

In questi casi i processi mentali di auto focalizzazione, che pongono sé stessi al centro nei flussi di pensiero, fanno emergere nella persona timida, il senso di inadeguatezza.

Il soggetto si sente in colpa per i tratti caratteriali che particolarizzano la propria timidezza e conferisce a questa, poteri sovrapersonali capaci di ingerire nei rapporti tra persone.

L’individuo timido pensa che la propria condizione possa arrecare danno ad altri.

Se si considera persona incapace, ritiene che questa possa creare situazioni di crisi nell’ambiente sociale in cui è immerso in quanto l’incapacità è considerata foriera di errori che coinvolgono gli altri.

Se si considera persona dalla scarsa socialità, pensa che ciò possa generare situazioni di incomprensione nei rapporti tra persone.

Pensa che la propria condizione di soggetto timido possa generare situazioni di conflittualità negli ambiti familiari o amicali.

Che sia solo testimone o attore di una situazione di difficoltà o di crisi, la persona timida riconduce a sé stessa la responsabilità di quanto accade.

In tali situazioni, la mente delle persone timide accede al pensiero emotivo, si attivano le credenze di base disfunzionali sul sé e sul sé con gli altri. Il pensiero non riesce ad uscire dalla dimensione personale. L’attenzione è rivolta a sé.

Con questo panorama mentale il ragionamento esclude i fattori contingenti, le causalità oggettive, gli incidenti, in breve, ogni ipotesi interpretativa degli eventi che escludono la personale partecipazione attiva e determinante ai fatti.

È come se tutto il mondo girasse attorno a sé stessi. Non è per caso che molti soggetti timidi si sentono sovente al centro dell’attenzione altrui.

Poc’anzi scrivevo che la persona timida si sente in colpa per la propria condizione. È come se la timidezza rompesse le regole del “gioco” nella vita altrui e nelle le loro relazioni.

Nel percepirsi inadeguata è indotta a pensare che tale inadeguatezza, prima o poi, produca ingerenze negli altri perché essendo incapace, inabile socialmente, indesiderata, il suo comportamento produce, direttamente o indirettamente, reazioni improprie nelle situazioni, condizioni di instabilità materiale, danni nei contesti sociali.

Le credenze di base disfunzionali inerenti l’idea di sé come persona incapace, stupida, inutile, inabile socialmente, fanno di questi “scherzi”, penetrano invisibili la mente e permeano, con la loro negatività, i pensieri.

“Dato che sono incapace farò guai”; “se non ci so fare con gli altri, vuol dire che con loro sono un elemento di disturbo”; “le mie disattenzioni hanno influenze sugli altri”; “io porto sfiga”; “io produco noia o rabbia negli altri”; “sono una persona noiosa e rovino la quiete e la felicità degli altri”.

In sintesi, la personalizzazione degli effetti prodotte dalle situazioni e nei rapporti tra loro è il risultato di sistemi cognitivi disfunzionali che inducono a processi mentali che si risolvono nell’auto colpevolizzazione.



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