30 novembre 2020


L’accettazione può essere riferita a sé, agli altri o a entrambi gli ambiti. Quest’ultima è sicuramente la più diffusa.

Elena Vichi - la sete - serie

L’accettazione riferita a sé
, va intesa come prendere atto di ciò che si è, senza che ci sia giudizio e/o valutazione di presunte o reali inadeguatezze sulla propria persona. Implica un atteggiamento mentale costruttivo e propositivo nei confronti di sé, e volto al problem solving.

Quando è riferita agli altri, l’accettazione si configura come appartenenza sociale attiva che comporta il riconoscimento, da parte del gruppo o dell’unione di persone in vari ambiti, del singolo individuo come membro effettivo e valorizzato.

Nelle ansie sociali e quindi, anche nella timidezza, queste due dimensioni dell’accettazione si intrecciano fino a costituire, nella mente dell’ansioso sociale, un quadro cognitivo di base confuso e in cui questi fattori si influenzano reciprocamente.

26 novembre 2020


Le reiterate difficoltà nell’inserimento sociale, la somma degli insuccessi nelle relazioni interpersonali che segna e caratterizza la storia del vissuto dell’ansioso sociale, conducono talvolta, all’estremizzazione del comportamento evitante.

Carra - solitudine

Il ritiro sociale è l’espressione dello scoramento e della conseguente demotivazione all’interazione con gli altri.

La persona che si ritira dalla vita sociale, restando per la gran parte della giornata in casa, chiusa tra le mura della propria camera, uscendo all’aperto solo per lo stretto necessario o scegliendo percorsi da seguire in solitaria mobilità, ha maturato una profonda paura a relazionarsi con gli altri.

A seconda delle credenze di base disfunzionali che improntano il personale sistema cognitivo, la paura di interagire socialmente è timore del fallimento, del subire il rifiuto, di essere giudicati negativamente, di apparire persona sfigata, stupida, inopportuna, idiota, fallita, imbranata, vuota, di essere considerata non gradita, di essere etichettata con aggettivi negativi. 

23 novembre 2020

19 novembre 2020


L’eritrofobia è la paura di arrossire. Il suo manifestarsi implica, necessariamente, l’avere una storia di arrossamenti in volto generalmente accompagnati da vampate di calore.


Nicoletta Spinelli - la timida

Mentre le emozioni peculiari dell’arrossire sono la vergogna e l’imbarazzo, quella dell’eritrofobia è la paura del giudizio altrui.

Il timore di arrossire comporta l’innesco di un processo circolare di emozioni: la paura, l’imbarazzo e la vergogna.

La persona timida che ha paura di arrossire, inevitabilmente arrossisce.

Questo accade perché tale timore attiva un flusso di pensieri previsionali che presagiscono l’arrossire come evento certo.

Come in tutte queste forme di pensiero, non esistono probabilità alternative valutate dal soggetto.

La mente del soggetto timido fa riferimento alla propria storia emozionale che è considerata come dimostrazione inoppugnabile di un evento che non può non verificarsi.

Ciò significa che il solo pensiero di arrossire innesca tale fenomeno ansioso ed emotivo.

Va specificato che l’imbarazzo conseguente all’arrossire o l’accorgersi di essere diventati rossi in volto, di per sé, non si configura come eritrofobia, la quale, sussiste solo se la paura di arrossire subentra prima che la persona arrossisce.

Come accennavo, è necessario che tale paura subentra dopo che la mente sia pervasa da pensieri che presagiscono tale evento.

Sottostanti all’eritrofobia e all’arrossire vi sono credenze disfunzionali di base riferite alle qualità del sé. 

Il sentirsi trasparente, l’idea che le personali presunte inadeguatezze possano essere visibili agli altri, è un problema che si riscontra anche in altri aspetti e problemi della timidezza.

Ma quando l’esposizione sociale attiva le credenze disfunzionali del sé innescando livelli emotivi elevati, alle paure più ricorrenti si aggiunge quella della vergogna.

Ciò implica la vergogna di essere persona timida, il pensiero che suscita tale specifica vergogna può non essere avvertita con consapevolezza al momento topico. Più che altro, il pensiero avvertibile coscientemente è quello riferito al timore di essere giudicati negativamente o di suscitare ilarità negli altri.

In genere, il pensiero previsionale si confonde con l’emozione della paura, tanto che la persona timida le avverte come un tutt’uno, per cui, le risulta difficile separare, distinguere tra pensiero ed emozione.

La vergogna di essere timidi è un sentimento che parte dalla considerazione, anche questa spesso inconscia, che la timidezza e l’arrossire siano una sorta di violazione delle norme del comportamento ritenute importanti dal soggetto timido.

Timidezza e rossore al volto sono, talvolta, oggetto di assunzioni e motti per i quali tali condizioni e manifestazioni ansiose siano espressione di debolezza e, in quanto tale, peculiarità negativa della persona.

Quante implicazioni possono esservi nell’eritrofobia, nevvero?

Ciò sta a indicarci la complessità di questo problema.
Il rossore al volto e la sua evoluzione in eritrofobia fanno, dunque, riferimento agli schemi cognitivi disfunzionali riferiti al sé.

L’eritrofobia assume tratti problematici tali che alcuni ansiosi sociali pensano a un intervento di tipo chirurgico per evitare di arrossire. L’intervento chirurgico “chiude” il nervo simpatico che provoca l’arrossire o l’eccessiva sudorazione associata. 
Se l’arrossire è di sola natura biologica, il problema si risolve. Ma se è di natura psicologica, come accade negli ansiosi sociali, nelle persone depresse ecc., il problema che è all’origine del rossore al volto permane, per cui, se non può “sfogare” nell’arrossire, sfocia in altri sintomi di natura psicosomatica. La strada migliore resta la psicoterapia cognitivo comportamentale.



9 novembre 2020


È una delle principali cause che conducono al fallimento della psicoterapia.

Nelle ansie sociali, quindi nella anche timidezza, nei disturbi dell’umore (depressione) e non solo, la demotivazione annichilisce la forza di volontà e l’interesse.

Goa - Acqua amara

L’ansioso sociale demotivato si sente privo di energie, non vede vie d’uscita, non si percepisce in grado di reagire con efficacia, considera ogni tentativo di cambiare lo stato delle cose, una azione vana.
 

Il flusso di pensieri negativi assorbe la gran parte delle energie mentali tanto da non averne a sufficienza per il problem solving riguardanti il sé e la propria vita relazionale.

Le cause sono da ricercare sia nella storia emotiva ed esperienziale, sia nell’insieme del sistema cognitivo dell’ansioso sociale.

Col sommarsi delle esperienze di sofferenza vissute a seguito, e nelle interazioni sociali, la persona timida avverte sempre di più un senso di impotenza, l’idea di incapacità personale a districarsi nella dimensione interpersonale.

In tanti ansiosi sociali e persone depresse, a complicare questa condizione, vi è sovente il fatto che nel tempo il soggetto non ha elaborato o coltivato interessi che hanno la capacità di sviluppare la curiosità e articolare la capacità attentiva.

In genere, questo aspetto si è definito quando, soprattutto in età infantile e scolare, il bambino non ha ricevuto stimoli adeguati, o non ne ha avuti a sufficienza, provenienti dalle figure di riferimento.

La demotivazione è, dunque, uno stato mentale ed emotivo che, per lo più, costituisce uno sfondo permanente fuori o tangente allo stato cosciente.

In quanto sfondo del paesaggio mentale, non è percepito con consapevolezza, l’ansioso sociale avverte tale condizione solo per il fatto che si sente privo di stimoli capaci di attivare la sua attenzione e interesse.

Pur non essendo una caratteristica propria, la demotivazione è spesso collegata all’assenza dal momento presente, alla disattenzione verso il mondo circostante.

È difficile, a esempio, vedere un ansioso sociale demotivato interessarsi alla fioritura in primavera e apprezzarne la bellezza. Se solo lo facesse e ne facesse commenti, descrizioni, divagazioni!

La solitudine, la paura verso le relazioni di coppia, la difficoltà a instaurare, o tenere in vita, relazioni interpersonali e/o a inserirsi nei contesti sociali, le carenze affettive, la penuria o assenza di una vita sessuale, l’idea di impossibilità, accentuano e/o alimentano l’insorgere della demotivazione.

La persona che vive questa condizione mentale ed emotiva tende all’auto isolamento spostando, talvolta, le ragioni del fare sui comportamenti altrui, come se attendesse di essere trascinata all’azione dall’iniziativa degli altri. Talvolta, la mancata iniziativa altrui diventa motivo di formazione o rinforzo di credenze sull’altro concepito come indisponibile, non affidabile, ostile. 

In questi casi, così come nelle autovalutazioni svalutanti del sé, sono gli schemi cognitivi a indurre a modi del pensare che dirottano i processi mentali valutativi verso pensieri che allontanano il soggetto dalla individuazione delle cause oggettive della propria condizione.

È chiaro che l’ansia sociale in sé, con le credenze di base, intermedie, insieme alle emozioni collegate, è il motore generatore della demotivazione.

Infatti, la demotivazione fa leva sul sistema cognitivo disfunzionale che produce pensieri negativi sul sé, sul sé con gli altri e sugli altri.

Percependosi negativamente, l’ansioso sociale, valuta ogni sua possibile iniziativa votata al fallimento, al rifiuto, al giudizio negativo altrui. È come se un pensiero implicito e “silenzioso” gli dicesse: “Che t’impegni a fare se tutto fallisce?”. Monta la demotivazione.



2 novembre 2020

Il pessimismo è un tratto tipico del pensare emotivo nelle ansie sociali e, dunque, nella timidezza.

I pensieri previsionali sono improntati dalle idee del fallimento, del giudizio negativo altrui, del rifiuto da parte degli altri, dell’esclusione, dell’emarginazione e delle conseguenze negative che deriverebbero dall’insuccesso dei tentativi di interazione sociale.

Vincenzo Pinto - La chiavetta di dentro...

I pensieri automatici negativi previsionali scartano ogni ipotesi di configurazione positiva o neutra del futuro prossimo o remoto.
 

In questi pensieri negativi previsionali le ipotesi di riuscire sono considerate talmente improbabili da essere ritenute impossibili: si ritiene che le probabilità di esiti positivi rasentano lo zero. Basti pensare al fatto che tante persone con fobia sociale o con comportamento evitante della personalità rifiutano con decisione netta e convinta ogni ipotesi positiva: in queste persone il pensiero emotivo è ben radicato ed è considerato pensiero oggettivo e razionale.