26 novembre 2020


Le reiterate difficoltà nell’inserimento sociale, la somma degli insuccessi nelle relazioni interpersonali che segna e caratterizza la storia del vissuto dell’ansioso sociale, conducono talvolta, all’estremizzazione del comportamento evitante.

Carra - solitudine

Il ritiro sociale è l’espressione dello scoramento e della conseguente demotivazione all’interazione con gli altri.

La persona che si ritira dalla vita sociale, restando per la gran parte della giornata in casa, chiusa tra le mura della propria camera, uscendo all’aperto solo per lo stretto necessario o scegliendo percorsi da seguire in solitaria mobilità, ha maturato una profonda paura a relazionarsi con gli altri.

A seconda delle credenze di base disfunzionali che improntano il personale sistema cognitivo, la paura di interagire socialmente è timore del fallimento, del subire il rifiuto, di essere giudicati negativamente, di apparire persona sfigata, stupida, inopportuna, idiota, fallita, imbranata, vuota, di essere considerata non gradita, di essere etichettata con aggettivi negativi. 

Tutti timori che sottintendono una paura più profonda che è la sofferenza conseguente alla previsione di una interazione infelice.

Queste persone vedono, per sé, un futuro di solitudine, di noia, di una vita incolore.

In genere, le paure che fanno riferimento alle qualità personali
o riferite agli altri, corrispondono alle credenze di base sul sé o sugli altri: “sono una persona incapace”; “sono insignificante”; “sono brutto/a”; “sono sbagliato/a dalla nascita”; “non sono all’altezza degli altri”; “sono inferiore”; “non incapace di amare”; non sono una persona interessante”; “gli altri sono inaffidabili”; “il mondo che mi circonda è ostile”.

Quando un ansioso sociale ha credenze di base che definiscono gli altri come inaffidabili, scelgono il ritiro sociale ritenendo che i propri problemi vanno risolti da soli perché dagli altri non ci si può aspettare aiuto o sostegno valido, perché non ci si può fidare.

Questa forma accentuata di evitamento della socialità si manifesta anche nei periodi di crisi quando giungono nelle fasi di picco emotivo.

In genere, in tali momenti, si temono i comportamenti e le verbalità altrui. Sentirsi dire frasi che aumentano il livello di sofferenza emotiva o essere oggetto di comportamenti vissuti dall’ansioso sociale come oppressivi, soffocanti, insensibili, determinano un senso di insopportabilità. Tutto ciò al di là delle reali intenzioni altrui.

Il ritiro sociale chiude le porte a ogni possibile cambiamento, alla possibilità di apprendere modelli comportamentali funzionali, alla possibilità di relazioni sociali o di coppia soddisfacenti, di affermare la propria identità al di là degli schemi cognitivi che si hanno di sé.

La scelta del ritiro sociale è, in genere un comportamento abituale che, pertanto, diventa automatico. Anche per questo è una scelta emotiva.

I pensieri previsionali, in tali contesti, presagiscono insuccessi nell’interazione interpersonale: le persone timide si sentono sconfitte in partenza, anche per questo i loro approcci sono destinati al fallimento.

Va tenuto presente che i pensieri previsionali negativi, soprattutto nella forma di immagini mentali, sono caratterizzati da una dimensione temporale ridotta a pochi istanti, quelli che sono espressione o rappresentazione dell’insuccesso: uno sguardo, una mimica facciale, un gesto, un comportamento che si consuma in pochi attimi, il senso di umiliazione, di vergogna, di ostilità altrui.

La congettura previsionale si ferma a qui momenti, come una sorta di fermo immagine. Non va oltre. Quello che potrebbe accadere dopo, nei giorni o nei mesi seguenti non è una prerogativa di questi tipi di pensiero negli ansiosi sociali.



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