23 dicembre 2020


Alla nascita, le aree del cervello di un essere umano deputate alla cognizione semantica, sono tabula rasa.

Goa - Emozioni celebrali

L’unica forma di coscienza di cui si è dotati sono quelle del proto sé  e quella nucleare che sono, sostanzialmente, deputate alla percezione del corpo e delle emozioni ma non della mente.

Il neopallio (o neocorteccia) è nella fase costitutiva delle “connessioni” destinate allo scambio interattivo e complesso di informazioni che conducono alla formazione della coscienza di ordine superiore e della corrispondente conoscenza esplicita.

Nei primi anni di vita il piccolo umano acquisisce informazioni in modo similare a quello degli altri animali, e cioè, sulla base degli impulsi dei sistemi motivazionali e delle emozioni innate da questi suscitate.

In termini semplici possiamo dire che, nei primi anni di vita, l’esperienza è memorizzata come associazione tra l’interazione col mondo esterno a sé e le emozioni provate con tali stimoli.

Fino alla preadolescenza il cervello del cucciolo umano non ha ancora sviluppato le capacità di pensiero astratto complesso e articolato. È praticamente incapace di valutare le esperienze e i messaggi che gli pervengono in modo tale da difendersi cognitivamente, correggendo o riscrivendo le prime cognizioni di base andando oltre le emozioni.

Il neonato, spinto dagli impulsi dettati dal sistema motivazionale dell’attaccamento, comincia a formare il primo impianto cognitivo (credenze di base) come rappresentazione del sé, degli altri (in primo luogo la madre) e del mondo.

C’è da dire che, soprattutto nel primo anno di vita, e comunque prima che l’infante acquisisce la padronanza del linguaggio verbale, il sé è prototipico. Damasio e Panksepp, lo definiscono “sé nucleare”, consiste nel percepirsi come soggetto a sé stante, simile ma distinto dagli altri.

In altre parole vi è la coscienza (nucleare) di distinguere tra sé e gli altri e di percepire questi ultimi come dotati di intenzionalità. Tale capacità di distinzione è possibile anche grazie al linguaggio non verbale la cui interpretazione è prerogativa sostanzialmente innata.

Non si tratta di cognizioni logiche, come accennato, queste sono determinate dal modo emotivo con cui percepisce l’interazione col caregiver (l’accudente), cioè dal soddisfacimento, o meno, degli impulsi del sistema motivazionale dell’accudimento.

Se le richieste e i bisogni indotti dal sistema dell’attaccamento sono soddisfatte, le emozioni sono positive e le credenze di base riflettono tale positività, al contrario, riflettono negatività sul sé, sugli altri e sul mondo.

Queste credenze sono inconsce e si formano con processi automatici. Ciò perché la parte del leone la fanno il cervello mammifero (area limbica) e quello rettiliano (tronco encefalico).

Esse acquisiscono forma verbale solo a seguito dell’apprendimento del linguaggio corrispondente ma, non essendo “logiche”, si presentano in forma sintetica. semplice e perentoria. Giusto per intenderci, è come se si esprimessero con una forma tipo soggetto, predicato e complemento: “io sono incapace”; “io sono difettosa/o”; “io sono stupida/o”; “non merito amore”.

Con l’inizio dell’adolescenza, il cervello umano, acquisisce le capacità del pensiero astratto, dell’elaborazione logica dell’esperienza. Comincia a essere capace di valutare le esperienze al di là delle emozioni.

È a partire da questo stadio dello sviluppo cerebrale che le cognizioni cominciano a essere definite anche sulla base di tali nuove potenzialità anche se le emozioni continuano a esercitare la propria influenza.

La coscienza di ordine superiore ha già cominciato a delinearsi poco prima dell’età scolare e l’idea di sé è già diventata semantica grazie all’apprendimento del linguaggio verbale.

Con la coscienza di ordine superiore, il sé diventa autobiografico grazie all'evoluzione della memoria storica.

Il sé autobiografico è un sé sociale in quanto la coscienza di ordine superiore si sviluppa grazie alla socialità.

Tuttavia, le credenze di base costituitasi precedentemente possono resistere ai processi di riscrittura. Ciò si verifica quando il bimbo ha vissuto una lunga reiterazione dei modi d’interazione problematici con le figure di riferimento.

La reiterazione abituale delle modalità problematiche dell’interazione genitore figlio/a, produce una continua conferma e rinforzo delle credenze inizialmente formatesi.

Queste si irrigidiscono, perdono di flessibilità e diventa difficile un loro adeguamento sulla base di nuove esperienze che indicano una diversa realtà che dovrebbe indurre a una rimodulazione delle credenze.

In questi casi, l’idea di sé riflette la memoria emotiva delle esperienze dolorose e che hanno impresso definizioni del sé come inadeguato, non amabile, non meritevole di attenzione, cura e amore, difettoso.

La memoria emotiva fa riferimento anche a quelle esperienze che la persona non ricorda e che la mente, a scopo difensivo, pone in un cantuccio non accessibile alla memoria operativa cosciente.

L’adulto, che ha vissuto un attaccamento problematico, si ritrova con cognizioni di base che non hanno subito invalidazioni, nonostante abbia capacità di analisi logica e critica.

Viene a trovarsi in una condizione per la quale, a livello cosciente e razionale si rende conto dell’incongruenza delle sue paure e dei suoi pensieri negativi sul sé, mentre a livello inconscio conserva le credenze di base formatasi durante l’età evolutiva.

Ciò gli crea dei conflitti interiori perché pone a confronto il suo pensare emotivo e il suo essere razionale e, tuttavia, non gli riesce di correggere o controllare con efficacia i propri moti e pensieri emotivi.

Vale la pena ricordare che i processi emotivi essendo controllati fondamentalmente dall’area limbica, sono automatici e non logici, mentre quelli razionali sono processi “gestiti” dalle aree della neocorteccia.

Al contrario, l’adulto che ha vissuto un attaccamento “normale” presenta un sistema cognitivo di base elastico e aperto alle invalidazioni, per cui riesce a correggere o riscrivere del tutto le proprie credenze di base. Egli è, pertanto, nella condizione di modificare l’idea di sé recependo le informazioni che gli pervengono dalle nuove esperienze indicative di una diversa realtà del proprio sé.

Un aspetto interessante di tale differenza è che vi è una diversa intensità emotiva tra l’ansioso sociale e colui che non ha una forte fragilità emotiva. Nell’ansioso sociale l’intensità emotiva può raggiungere un livello tale che le funzioni derivanti dal neopallio non riescono a gestirlo in modo efficace.

Dunque, in conclusione, l’idea di sé scaturisce dalle interazioni dell’individuo nel dominio interpersonale e memorizzate su base emotiva e/o in funzione dell’elaborazione dell’esperienza ad opera della coscienza di ordine superiore.



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