15 dicembre 2020


“Mi sento gli occhi di tutti addosso”; “di sicuro stanno parlando di me”; “c’è qualcosa di sbagliato in me se gli altri mi guardano”; “per strada mi sento in imbarazzo”.
Queste e altri tipi di osservazioni sono l’espressione di sentirsi al centro dell’attenzione altrui.

Chierici Simonetta - migrazione-spaesamento

Accade perché i processi mentali delle persone timide sono focalizzati su sé stessi, il loro essere l’oggetto della timidezza, sulle loro sensazioni interne, sulla propria percezione di sé.

La timidezza è dominata dalle emozioni suscitate dall’idea negativa che hanno di sé e delle proprie qualità.

L’auto focalizzazione è spesso uno stato mentale inconscio e, pertanto, automatico. Quando invece è cosciente, si configura soprattutto come processo metacognitivo in cui a dettar legge sono le credenze di base.

Conscio o inconscio che sia, l’auto focalizzazione esclude gli altri come soggetti dotati di conflittualità interne, di una storia emotiva, cognitiva e relazionale propria: essa è centrata sul sé.

Timore del giudizio altrui, paura di essere visibili, troppo visibili, vergogna per la propria condizione. Sono le emozioni più prossime al sentire dei timidi.

Nei luoghi pubblici, la persona timida si sente nuda, esposta ai giudizi negativi, all’etichettamento.

Come un ladro che ha appena compiuto un furto e vede in ogni persona che incrocia un poliziotto o qualcun altro che lo sgama, così il soggetto timido si sente scoperto nella propria timidezza.

Quando si sentono sotto i riflettori, nelle persone timide sono attivate le credenze di base sul sé.

Si tratta di credenze disfunzionali, rappresentazioni del sé che definiscono la persona come incapace a districarsi nelle situazioni in modo efficacie, inabile nell’interazione interpersonale, difettoso per nascita, non meritevole di amore, non essere interessante come persona.

Quando le credenze disfunzionali sono attive, la persona timida riflette sé stessa nei comportamenti, nelle verbalità e nelle gestualità altrui. Legge e interpreta ciò che vede o sente ciò che essa stessa pensa di sé, ciò che sente o teme di essere.

Gli altri funzionano come una sorta di specchio in cui guardare o leggere le proprie presunte inadeguatezze.

Giacché teme il giudizio degli altri per le conseguenze negative che ciò possa comportare per la propria vita relazionale e sociale in generale, gli ansiosi sociali hanno paura che le qualità negative personali che ritengono o sentono di avere, siano visibili, riconoscibili da tutti.

Da qui, l’imbarazzo, la vergogna, il sentirsi trasparente. Si chiedono cosa c’è che non va in sé: vestono male? Sono goffi? Come appaiono agli altri? Le inadeguatezze che pensano di avere sono tanto evidenti?

Ecco allora che sentirsi al centro dell’attenzione è, per le persone timide, un vero guaio. Se si sentono incapaci, pensano che gli altri le giudicano come tale; se si sentono persone sfigate, pensano che gli altri le stanno etichettando come tale, se si percepiscono sbagliate il loro timore è “stanno pensando che sono una persona sbagliata, strana”; e così via.

La paura comporta l’insorgere dell’ansia, vorrebbero scappare, diventare invisibili anche quando sentendosi tali vorrebbero non esserlo: “non guardatemi, non giudicatemi, che già sto male di mio!”.

Nei loro processi metacognitivi, come la ruminazione, tornano a pensare alle sensazioni e alle paure provate, a ciò che hanno pensato.

Spesso si rendono conto dell’irrazionalità dei propri pensieri e delle proprie paure. Avvertono un senso di impotenza, si sentono incapaci di gestire tali situazioni, di essere alla mercé delle proprie emozioni e delle proprie incapacità a reagire con razionalità.

Ciò le sprofonda in una ulteriore condizione di sconforto, cominciano ad auto criticarsi anche selvaggiamente, a pensare: “è vero, sono proprio così”.

Senza rendersene conto confermano e rinforzano proprio quelle cognizioni di base del sé disfunzionali che sono alla radice della propria condizione.



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