Buona parte dei problemi psichici si originano nell’ambiente familiare.
Un fattore primario è quello a carico del sistema motivazionale dell’attaccamento che non trova soddisfacimento ai propri impulsi.
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Rosanna Candido - vedere il mondo apparire |
Questo sistema è attivo per tutta la vita dell’individuo, tuttavia è nei primi anni di vita (dalla nascita alla preadolescenza) che influenza fortemente l’assetto cognitivo determinando i contenuti delle credenze di base relative alla definizione e rappresentazione del sé, del sé con gli altri e degli altri.
Ambienti familiari anassertivi, violenti, molto litigiosi, in grave stato di povertà, genitori ansiosi o con problemi interiori irrisolti, con problemi di tossicodipendenza o alcolismo, sono terreno di coltura dello sviluppo critico della psiche umana.
Come ho già avuto modo di scrivere in altre occasioni, quello dell’attaccamento, come tutti gli altri sistemi motivazionali, è innato. È deputato al soddisfacimento di bisogni di cura, affettività, conforto, protezione, vicinanza.
Date le sue peculiarità, si attiva da subito, già alla nascita quando il neonato è totalmente privo di capacità autonome per la sussistenza.
A esso sono collegate la gran parte delle emozioni. È proprio in base a come il bambino vive emotivamente l’interazione col caregiver (accudente) in relazione a come quest’ultimo risponde alle richieste di sostegno, cura e amore, che la mente forma il primo impianto cognitivo di base relative alla descrizione di sé e degli altri.
Ciò ci dà già l’idea di come lo stile genitoriale nel gestire l’interazione col bambino è di primaria importanza per uno sviluppo equilibrato del minore.
Un genitore, che critica frequentemente e negativamente il bambino, produce la formazione di credenze di base orientate alla definizione del sé come soggetto incapace a fronteggiare le esperienze con efficacia, l’essere di scarso valore, l’essere difettoso, incapace di apprendere o comprendere, essere inferiore agli altri. Una volta divenuto adulto, egli si percepisce imperfetto, con scarse capacità operative.
“Sei un cretino!”; “sei solo capace di fare cazzate”; “non capisci mai niente!”; “è meglio che non parli, che sai solo dire stronzate”; “non far nulla che non sei capace”; “sei la pecora nera della famiglia”; “tu nella vita non farai mai nulla di buono”.
Un genitore che colpevolizza il minore, favorisce la formazione di credenze di base sul sé centrate sui temi dell’essere indesiderabile, non meritevole di attenzione e amore, di essere difettoso, di essere causa di danni ad altri, di essere cattivo per natura. Da adulto egli proverà sensi di colpa nelle interazioni sociali, vergogna frequente, senso di inadeguatezza.
“Con tutto quello che faccio per te, questa è la ricompensa”; “mi farai morire di crepacuore”.
Un genitore che presta attenzione al bimbo in modo incostante, disattento, che si mostra fisicamente o mentalmente assente, favorisce il formarsi credenze di base collegate all’idea di essere non meritevole di amore, di attenzione, di interesse da parte degli altri, alla inaffidabilità degli altri: divenuto adulto egli si sente sul filo di lana, sottoposto al rischio incombente della non accettazione sociale, dell’isolamento, della discriminazione, della solitudine. Verso gli altri sviluppa un profondo senso di differenza, sfiducia, sospettosità. Avverte gli altri come ostili, escludenti, ipocriti, falsi. Mentre il mondo gli appare come pieno di insidie, inospitale.
Un genitore troppo protettivo, ansioso, che si sostituisce al figlio anche nelle decisioni più elementari, o che lo priva di frequenti interazioni con altri minori, impedisce al bimbo di fare esperienze e di sviluppare una equilibrata autonomia, di apprendere modelli relazionali sia in termini di comportamento, sia in quelli del linguaggio. In tali condizioni familiari, egli sviluppa credenze di base centrate sull’idea dell’incapacità, del non saper cosa fare, di non essere all’altezza degli altri e, quindi, di essere inferiore. Da adulto prova disagio nelle interazioni interpersonali, si sente fuori posto, inadatto alla socialità.
Un genitore autoritario, repressivo, impedisce al bambino di sviluppare una propria autonomia. Il minore sviluppa credenze sul tema dell’incapacità, dell’inabilità sociale. Da adulto sviluppa idee inerenti all’essere fuori dalle regole, imperfetto, di stare sempre sul filo di lana oltre il quale c’è l’errore, il fallimento. Sviluppa il timore del giudizio altrui.
Genitori anassertivi che trasmettono al bimbo leit motiv centrati sull’evitamento dei giudizi altrui, assunzioni, motti, massime morali e comportamentali, favoriscono la formazione di cognizioni di base che sviluppano credenze doverizzanti e condizionali limitanti della libertà espressiva.
Dai genitori ansiosi, depressi, i minori apprendono e assumono i loro comportamenti legati a queste peculiarità psichiche come modelli comportamentali, sviluppando, successivamente, anche quegli stessi modelli mentali e psichici. Acquisiscono sensibilità all’ansia e ai temi cognitivi disfunzionali del genitore. Se le condizioni dell’ambiente familiare non mutano, da adulti si portano appresso tali disfunzionalità.
Ciò non significa che ci sia una inevitabilità assoluta che il minore sviluppi disagi e disturbi psichici, ma le probabilità che accada è molto, assai più alta rispetto a minori che non hanno vissuto tali esperienze o che non abbiano un temperamento fragile.
L’homo sapiens è un essere vivente sociale, l’ambiente incide molto sulla forgia della personalità dell’individuo.
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