Quando si parla di “esperienze interne” ci si riferisce a tutto quanto perviene allo stato cosciente e diventa oggetto di meta pensiero.
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Mauro Massaro - s. t. |
Detto in altri termini, ogni esperienza, di qualsiasi tipo, che viviamo allo stato cosciente e ci induce a pensare a essa, alle emozioni che ci fa provare, a come le proviamo, a come vi reagiamo, a come valutiamo noi stessi in relazione a tali emozioni e all’esperienza stessa, in pratica, a cosa proviamo dentro di noi, produce un rapporto, una relazione tra noi stessi, la nostra mente e l’esperienza vissuta o che stiamo provando.
Nel momento in cui stiamo pensando a quell’esperienza nei termini che ho descritto, noi stabiliamo un rapporto con le esperienze interne.
Sono esperienze interne in quanto le avvertiamo dentro di noi in termini di emozioni, sensazioni, come un “sentire”.
Dunque, le esperienze interne le percepiamo per il fatto che producono, nella nostra mente e nel nostro corpo un insieme di emozioni e sintomi ansiolitici che ci spingono a dirigere la nostra attenzione verso esse.
Il meta pensiero è l’attività mentale con cui stabiliamo questo rapporto.
Rimuginìo e ruminazione fanno la parte del leone.
Il rapporto con le esperienze interne non hanno un quadro temporale unico, possono far riferimento al passato, al presente, al futuro o a un passato che si pensa si stia ripetendo.
Nel momento in cui i nostri pensieri stabiliscono questo rapporto, le emozioni provate nell’esperienza si replicano, oppure, se ne elicitano di nuove.
A essere elicitati sono anche i pensieri automatici che fanno eco alle credenze strutturali sottostanti attivate.
Perché provo tutto questo? E io che faccio?
Sono, forse, le domande implicite che ci si fa quando comincia l’attività meta cognitiva.
I modi di rapportarsi alle esperienze interne delineano modelli di relazione caratterizzati da precise impostazioni con cui sono processati, cognitivamente, gli stimoli prodotti dalle stesse esperienze. Tali impronte cognitive tendono ad essere abituali e, quindi, nel tempo a diventare processi automatici.
Ciò implica che il rapporto con le esperienze interne, vissuto con modelli cognitivi e comportamentali sono esplicati sempre allo stesso modo.
Negli ansiosi sociali quello con le esperienze interne è un rapporto tristemente, spesso drammaticamente, di sofferenza.
Nelle ansie sociali si fa strada il giudizio negativo di sé.
Perché gli altri non hanno questi problemi? Cosa c’è in me che non funziona?
Il problema della non accettazione di sé diventa piuttosto evidente nella gran parte degli ansiosi sociali.
L’incalzare dei pensieri negativi toglie il fiato a modelli interpretativi alternativi e l’ansioso sociale finisce col cadere prigioniero dei processi metacognitivi della ruminazione o del rimuginìo da cui non riesce a staccarsi prorogando nel tempo tali attività di pensiero.
Diventa un circolo vizioso dove emozioni, pensieri negativi e sintomi d’ansia si alimentano l’un l’altro, talvolta, sino a produrre una condizione permanente di sfondo dell’umore sofferente.
Nelle ansie sociali, quello con le esperienze interne è un rapporto, dunque, conflittuale.
La persona che ne è afflitta non riesce a viverlo in una modalità da problem solving: i pensieri si bloccano in ristretti archi temporali senza riuscire a inquadrare il divenire molteplice delle cose, oppure sulla sola esistenza del problema senza che vi sia un processo produttivo di ricerca delle soluzioni.
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