18 giugno 2021


Comincio subito col dire che la timidezza non è innata. 

Si determina in funzione del sistema delle cognizioni che va formandosi nel corso della vita già a partire dalla nascita.

Elena Vichi - darkness freedom

Infatti, già il neonato, comincia a costruire il proprio insieme di cognizioni in base a come i caregiver (l’accudente) si rapportano all’infante rispondendo alle sue richieste di accudimento, conforto, rassicurazione, attenzione ecc.

Le cognizioni così come si formano possono essere modificate, aggiornate, sostituite, ma anche rafforzate e radicalizzate.

Il problema della timidezza sta proprio nel rinforzo delle cognizioni disfunzionali che, nel tempo, se non vengono modificate, si radicalizzano producendo pensieri negativi sul sé, sul sé con gli altri, e sugli altri.

Sono questi pensieri negativi a indurre livelli di ansia e paure che si concretizzano con comportamenti e modi del pensare disfunzionali. Da questi processi mentali ed emotivi si attiva la timidezza.

Altra cosa importante è che la timidezza è sempre e soltanto relativa alla vita sociale: al di fuori della socialità la timidezza non esiste.

I comportamenti e i modi del pensare indotti dalla timidezza, una volta divenuti abituali, vanno a costituire il carattere della persona timida.

In altri termini, il carattere di un individuo è l’insieme dei comportamenti abituali e dei modi abituali del pensare a sé e agli altri.

Gestire la timidezza significa imparare a modificare le proprie cognizioni sul sé e sugli altri e a modificare e creare nuove abitudini comportamentali. Ciò non significa rinnegare sé stessi o la propria personalità e cultura.

Un processo di modificazione delle cognizioni e dei comportamenti disfunzionali non è semplice, né è una attività a breve termine.

Possono occorrere mesi o anni a seconda della radicalizzazione delle cognizioni disfunzionali. Inoltre i comportamenti abituali sono modificabili solo con la continua pratica di nuovi modi che devono essere sistematicamente ripetuti se si vuole che diventino nuove abitudini.

I tempi lunghi richiesti per il mutamento costituiscono uno dei problemi principali che la persona timida deve affrontare. 

Ma cosa comporta l’opera di cambiamento per superare la timidezza?
Tale processo implica:

Le credenze di base e quelle intermedie sono inconsce, pertanto, bisogna adottare specifiche tecniche per individuarle.

Inoltre, proprio la loro collocazione inconscia fa sì che esse abbiano una forte base emotiva e siano assai poco razionali. La loro modificazione richiede tempi lunghi anche perché occorre contrastare l’abitudine a pensare emotivamente.

Bisogna anche imparare a individuare e riconoscere i pensieri automatici che si presentano in varie forme (immagini mentali, paure, sensazioni, ecc.) e transitano tanto rapidamente nella mente che difficilmente si ha coscienza o memoria di averli avuti.

Va tenuto in conto il fatto che le persone timide, nel loro tentativo di capirci qualcosa e spiegarsi il perché della propria timidezza, costruiscono 
sistematicamente spiegazioni errate ma le considerano logiche, razionali.

Questo accade perché il sistema cognitivo, soprattutto quando si è radicalizzato, difende sempre sé stesso da ogni tentativo di modificazione e induce l’individuo a spiegazioni fuorvianti per allontanarlo dall’individuazione dei fattori causali reali.

Il soggetto timido nel meditare su sé o su sé con gli altri adotta sempre il pensiero emotivo, mai, e dico proprio mai, quello oggettivo.

La complessità dei processi mentali, per agire sulle cognizioni disfunzionali, richiede tecniche e strategie adeguate, adottarne di sbagliate significa peggiorare la propria condizione.



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