7 luglio 2021


Nelle ansie sociali, la ruminazione è un processo mentale per il quale si è impegnati, in modo quasi ossessivo, nel ricordo di una esperienza, con una attività di valutazione e, al tempo stesso, di rammarico e sofferenza verso l’evento o la situazione che è stata vissuta.

Antony Williams - Margaret at ninety

L’attività del ruminare di una persona timida è caratterizzata da un lungo arco temporale che può durare da alcune ore a diversi giorni. L’individuo non riesce a smettere di ruminare.

Nei casi in cui se ne rende conto il soggetto è preso dalla ansia di voler interrompere quest’attività metacognitiva, ma più si sforza di farlo, più resta prigioniero della ruminazione.

La ruminazione, nelle persone timide, è orientata alla rivisitazione delle esperienze vissute con sofferenza.

Le esperienze vissute, soprattutto negli ansiosi sociali, sono memorizzate in associazione con le emozioni di dolore provate.

A loro volta, queste “celle” di memoria sono associate ad analoghe esperienze vissute che hanno prodotto analoghe emozioni di sofferenza.

Ciò significa che quando il soggetto timido va a rivisitare una specifica esperienza negativa, le valutazioni attengono all’insieme delle memorie della storia esperienziale che riguardano vissuti analoghi.

Con l’accumularsi delle esperienze negative la memoria di esse viene sistematicamente riscritta e la sofferenza è ricordata con una intensità superiore a quelle effettivamente provate.

Il ricordo della sofferenza acquisisce una valenza di intensità crescente nel corso del tempo.

Così, nella ruminazione, il ricordo del dolore tende ad essere vissuto come profonda sofferenza, talvolta, tale da essere considerata non sopportabile e a indurre la paura verso la possibilità di riviverlo in nuove esperienze.

Il processo meta cognitivo della ruminazione favorisce questa dinamica. Accade perché da una parte funziona come rinforzo e conferma del sistema di credenze disfunzionali, per altra parte perpetua l’abitudine alla ruminazione prolungata nel tempo, per altro verso alimenta quel sistema di memorizzazione dell’esperienza in termini di grande sofferenza.

Vale la pena prendere in esame anche il fatto che nella ruminazione è contenuta anche l’abitudine al giudizio negativo del sé, del sé con gli altri o degli altri.

Da questo puntò di vista, il ricordo del dolore e degli insuccessi vissuti forniscono, alla persona timida, ulteriori motivi di collegare tali memorie a presunte personali inadeguatezze.

In tal senso, l’ansioso sociale, avverte anche un senso di colpa di sé per ciò che è stata la propria vita socialmente ed emotivamente disfunzionale. Si tratta di un senso di colpa che esclude contesti e contingenze, è considerata una colpa esclusiva di sé verso cui non c’è appello.

Un altro aspetto della ruminazione e del contestuale ricordo del dolore è l’attivazione di emozioni di sofferenza analoghe a quelle provate nelle esperienze oggetto dell’attività ruminante.

Tuttavia, l’intensità delle emozioni attivate, non sono necessariamente equivalenti a quelli vissute nell’esperienza rammentata. In questi casi l’emozione può presentarsi come sottofondo, o con intensità comunque inferiore a quella realmente vissuta oppure, in altri casi, scatenare una condizione emotiva ad altissima intensità.

Nelle ansie sociali, la memoria del dolore è una caratteristica intrinseca dell’attività metacognitiva della ruminazione. Spesso è lo stesso ricordo del dolore a dar vita all’attività ruminante. Possiamo dire che ruminazione e memoria del dolore siano costituenti di un processo circolare.



3 luglio 2021


Uno dei fattori psicologicamente più invalidanti è la tendenza della persona timida e, in generale, negli ansiosi sociali, è quell’insieme di pensieri negativi rivolti al giudizio negativo di sé stessi e delle proprie qualità.

“Mi faccio schifo”; “sono una persona fallita”; “sono incapace di amare”; “non servo a niente”; “sono un incapace”; “non farò mai nulla di buono nella mia vita”.

Hopper Edward - Donna al sole

Queste, e tanti altri tipi di frasi, sono l’espressione di un giudizio senz’appello nei confronti della propria persona.

Certo, ci sono casi in cui il soggetto timido scarica sugli altri le cause o le colpe della propria condizione. Ma nella maggior parte degli individui timidi, si vive un senso di colpevolezza della propria condizione, ma soprattutto, si tende a individuare le cause della propria sofferenza interiore puntando l’indice verso questa o quella peculiarità apparente di sé.

Dato che la persona diventa timida per via di cognizioni inconsce negative su sé, l’indice puntato è indirizzato proprio verso quelle credenze di base disfunzionali che riguardano sé stessi, sé stessi con gli altri e gli altri.

Senza rendersene conto, la persona timida, indirizza le sue valutazioni negative sul sé guardando ciò che, in realtà, è solo evidenza apparente. I comportamenti disfunzionali non sono causati da inadeguatezze proprie, ma da strutture cognitive inconsce che hanno cominciato a formarsi in tenera età.

L’ansioso sociale che prova giudicare o valutare la propria persona, in tale operazione, è coinvolto emotivamente. Le sue valutazioni non possono che essere il frutto di pensieri emotivi, mai di pensieri oggettivi.

Ecco, dunque, che l’accettazione di sé assume una valenza prioritaria.

Accettarsi non significa arrendersi o rassegnarsi alla propria condizione. L’accettazione è la presa d’atto di una condizione oggettiva su cui non vanno ricercate colpe o colpevoli.

Accettarsi significa dirsi “ok, adesso son fatto così, ora come posso cambiare le cose?”.

Accettarsi significa non esprimere alcun tipo di giudizio o valutazione sulla propria persona. L’accettazione è orientata al problem solving.

L’accettazione di sé è il distacco dalla tendenza mentale di associare valori negativi a ogni evento della propria vita sociale e di ciò che ne deriva. Questo permette alla persona di riconciliarsi con la realtà al di là delle proprie spinte emotive, di approcciarsi alle esperienze con spirito libero. Il mondo reale è ciò che è, nella sua oggettività, scevro di condizionamenti emotivi.

Liberandosi da un atteggiamento mentale giudicante, l’accettazione ci permette di guardare dentro noi stessi come osservatori neutri, come se ci si guardasse dall’esterno.

Ciò permette di valutare comportamenti e conseguenze in maniera contestuale, inserendoli nell’ambito situazionale in cui si manifestano: anziché piangersi addosso, odiarsi o respingersi, ci si spinge verso la ricerca di soluzioni.

Ma non è tutto qui. L’accettazione di sé è il più importante atto d’amore verso la propria persona. Senza questo gesto d’amore verso di sé non è possibile una soluzione per la timidezza.

Una cosa, però, deve essere chiaro: l’accettazione non è qualcosa che bisogna attendere che giunga, non è una cosa che va conquistata, e nemmeno meritata, va fatto, punto e basta.