“Mi faccio schifo”; “c’è tutto di sbagliato in me”; “sono una frana, non merito niente”.
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Elena Vichi - profondità |
Un ansioso sociale sopraffatto da credenze negative sul sé, vive le sue giornate nel segno di insuccessi relazionali concepiti come colpe; non riesce a interagire con gli altri e fa la conta dei suoi innumerevoli difetti; guarda la sua diversità come segno dimostrativo dell’essere una macchina vivente sbagliata o difettosa per natura.
La persona timida che vive questi moti negativi di pensiero emotivo sul sé, tende anche a concepire la propria esistenza come colpa, come indecenza, come ignominia. Tutto ciò che di negativo accade è ricondotta a causali che riguardano la negatività della propria persona.
Giudizi e valutazioni, nella mente di questi ansiosi sociali, escludono le contingenze temporali e situazionali, l’esistenza della casualità, gli incidenti di percorso che pure capitano a chiunque, tutti i fattori emotivi che incidono sul proprio comportamento.
Si verifica un processo mentale che generalizza senza distinzione, che riconduce tutto alla propria persona nella sua globalità.
“Sono una persona fallita perché sbagliata”, questo potrebbe essere uno dei leitmotiv di chi non riesce ad accettare sé stesso.
Il pensiero emotivo non permette di cogliere dinamiche cognitive ed emotive e fattori causali che vanno a costituire un insieme articolato e connesso che sta dietro ai comportamenti disfunzionali delle persone ansiose.
In altre parole, non permette di cogliere l’aspetto composito di un insieme di elementi che andrebbero distinti tra loro per funzione, caratteristica, origine.
Eppure tali elementi sono tasselli modificabili, gestibili, in qualche caso, persino eliminabili.
Il giudizio negativo di sé, una volta dispiegato, impedisce ogni logica risolutiva, il ricorso al problem solving, l’oggettivazione delle esperienze, la separazione tra pensiero, emozione e fatti.
Portando a conclusioni generalizzanti, il giudizio negativo di sé, esclude la complessità, la varietà, i dettagli che costituiscono l’insieme dell'esperienza.
In tali condizioni l’ansioso sociale è schiacciato da una visione dicotomica: o sono ok, oppure non sono ok.
Dominato da cognizioni disfunzionali e negative sul sé, l’individuo che si giudica negativamente sulla base degli insuccessi sociali, sfocia nella non accettazione della propria persona.
La non accettazione di sé produce gli stessi effetti, ma amplificati, del giudizio negativo di sé.
Non accettarsi significa rifiutare il presente e rigettare il passato di modo che non esiste un punto di inizio da cui partire, in altre parole, non sono rintracciabili elementi di valutazione oggettiva su cui costruire un percorso di cambiamento.
L’accettazione di sé non va inteso come un atto di resa, di rassegnazione, bensì, è la presa d’atto di una condizione oggettiva sulla quale non vanno espresse giudizi di valore, valutazioni etiche o morali.
Ciò che si è ora, è solo un dato di fatto che scaturisce da una pluralità di fattori interconnessi scomponibili, analizzabili e da comprendere, e che possono dar vita a progetti di cambiamento.
Accettarsi significa volersi del bene, tenere a cuore la propria vita e la propria esistenza, uscire dal mondo del giudizio ed entrare in quello della comprensione.
L’accettazione di sé è il punto di partenza.
Solo con l’abbandono del giudizio negativo di sé e dal rinnegare la propria persona è possibile aprire la mente a modi nuovi di concepire e vedere sé stessi, entrare in una modalità oggettiva del pensare, individuare i reali fattori causali della propria condizione, trovare soluzioni.