Ci sono modelli di pensiero inadeguati sia per la valutazione degli eventi e delle situazioni, sia per la scelta dei comportamenti da avere. Ellis li chiama “miti”.
I miti possono formarsi per mezzo di cognizioni strutturali disfunzionali e/o tramite apprendimento.
In ambedue i casi si tratta dei processi cognitivi che si sviluppano a partire dalle tenere età.
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Thomas Lerooy - Il peso del pensiero - scultura |
In relazione alle cognizioni strutturali disfunzionali, i miti costituiscono la costruzione di pensieri che siano funzionali alle cognizioni strutturali da cui derivano. Questi, pertanto, sono modelli di pensiero che traducono in forma logica (apparentemente), più o meno articolata, il contenuto delle cognizioni di base.
In tema di apprendimento, i miti si acquisiscono tramite le attività educative familiari per la maggior parte dei casi e nei processi formativi in conseguenza delle relazioni sociali.
Proprio perché possono formarsi nel mondo delle interazioni sociali (familiari o esterni alla famiglia), questi modelli di pensiero sono riscontrabili nei tessuti culturali delle popolazioni soprattutto, ma non solo, se caratterizzati da livelli bassi di istruzione o da ridotti ventagli di conoscenza. Proprio la loro forte presenza nei tessuti sociali, nel comune sentire popolare, rende i miti difficili da sradicare.
L’aspetto fondamentale della struttura di un mito è l’essere caratterizzato da una forma morale o ideale, quindi, da una regola culturale cui deve obbedire ogni comportamento.
Strettamente correlate a queste sono il senso dell’obbligo comportamentale e l’apparire sociale.
I miti sono molto ben radicati nella mente del soggetto il quale, non li considera “miti” ma regole del buon senso, della ragionevolezza, della logicità.
Un ansioso sociale difficilmente è consapevole, o almeno cosciente, delle origini e dei reali effetti causali che sottendono ai propri miti.
Oltre ad avere una forma morale o ideale, i miti possono svolgere una funzione inibitoria.
Il mito del vero amico
È da considerare sicuramente un mito dell’obbligo. Coloro che fanno riferimento a questo modo di pensare ripongono aspettative esagerate nei confronti degli altri o dell’altro.
Essi ritengono che l’amico/a sia in grado e debba comprendere quanto nell’altro non è riscontrabile visivamente e che debba persino anticiparne gli stati emotivi. Tale convinzione pone l’ansioso sociale nel ritenere che l’amico/a debba, come obbligo morale o etico, operare in modo funzionale alle attese riposte in tali persone.
Una persona timida che crede in questo mito è chiaramente pervasa da attività mentali incentrate su sé stessa e, pertanto, sfugge alla propria attenzione ogni considerazione relativa a bisogni, esigenze e stile di vita dell’altro/a.
Il mito della modestia
La modestia esprime una alterazione, in negativo, del concetto di umiltà. Se l’umiltà rappresenta l’essere cosciente della propria relatività nel contesto sociale multiculturale, dei limiti delle proprie capacità, potenzialità e possibilità, di una generale assenza di certezze assolute, la modestia è espressione di una logica svalutante del proprio valore individuale, giunge anche a rinnegare o nascondere il valore soggettivo.
Per un ansioso sociale che assume culturalmente tale mito, la modestia è considerata una virtù, una qualità, persino un obbligo morale.
Chi crede in questo mito considera l’esprimere propri pensieri ed opinioni, da una parte, come una attività di esaltazione ed elogio irragionevole dell’ego, dall’altra, come una esposizione al rischio di un giudizio negativo altrui. Ritenendosi, in qualche modo, inadeguata, la persona timida avverte un senso di inferiorità per cui il mondo delle opinioni e della libera espressione, appare come un terreno minato.
L’assunzione del mito della modestia è indicativa di processi attentivi indirizzati verso le presunte debolezze, fragilità o incapacità della propria personalità. Da tal punto di vista, questo modo di pensare funziona come conferma e rinforzo delle credenze disfunzionali che si hanno del sé.
I soggetti che assumono il mito della modestia hanno, tendenzialmente, difficoltà nell’accettazione dei complimenti, nel parlare di sé positivamente se non attraverso la dichiarazione della propria modestia.
L’attribuzione di valore morale al mito della modestia è configurabile come comportamento mentale in risposta all’importanza riposta nei giudizi degli altri. Le persone che credono in questo mito sono soggiogate da ciò che gli altri possono pensare della loro persona e dei propri comportamenti.
La tendenza alla svalutazione della persona, delle potenzialità e dei mezzi propri disponibili non è sostenuta da valutazioni oggettive del sé.
Il mito dell’obbligo
È un mito tipico riscontrabile nelle persone che vivono il problema di essere e sentirsi socialmente accettate. È spesso anche espressione dei comportamenti passivi.
L’ansioso sociale che crede in questo mito evita la richiesta di aiuto e piaceri considerando tali comportamenti come inopportuni, forma di ingiusta obbligazione verso gli altri, forieri di fastidio. Per un altro verso ritiene che non vanno rifiutati favori o servigi a persone da cui si desidera l’accettazione e a cui, dunque, si vuol piacere.
Il mito dell’ansia
Questo mito è riferito all’idea che la manifestazione dell’emozione della paura, dell’ansia sia espressione di debolezza. Chiaramente, le persone soggiogate da questo mito aspirano a un sé ideale caratterizzato da grande autosufficienza e di avere piena padronanza di sé. Hanno la paura, o addirittura il terrore, che possa apparire evidente il proprio stato d’ansia.
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