24 novembre 2022



Per inabilità sociale si intende il non sapersi “muovere”, con efficacia, nelle situazioni che comportano il relazionarsi agli altri, ciò, riferito:

  • Al comportamento.
  • Alla comunicazione verbale.
  • Alla organizzazione mentale orientata al problem solving.
Clara woods - autoritratto 


Sebbene l’abilità sociale possa essere favorita da capacità insite nella specie umana, la sua esplicitazione efficace è una “variabile” dipendente da diversi fattori:

  • L’apprendimento diretto o indiretto proveniente delle esperienze umane. 
  • Sistemi e schemi cognitivi riguardanti le definizioni e descrizioni del sé, del sé con gli altri e degli altri. 
  • Sistemi e schemi cognitivi riguardanti i modelli operativi, detto con altre parole, il modo di approcciarsi, mentalmente, alla soluzione di un problema o una situazione.
  • Gli stati umorali ed emotivi attivi nei momenti occorrenti.

Molto potenti sono gli schemi cognitivi disfunzionali sul sé. Questi, non solo hanno non solo inducono all’inibizione, ma favoriscono l’insorgere dei sintomi d’ansia, impediscono l’apprendimento di modelli comportamentali e verbali funzionali alla socialità, non facilitano il ricorso e l’uso di quelle abilità sociali già acquisite. 

L’idea dell’inabilità sociale nasce, fondamentalmente, dagli insuccessi susseguitesi e sommati nel tempo. La reiterazione delle esperienze negative nel relazionamento sociale elicitano le credenze disfunzionali sul sé rafforzandole e radicalizzandole. Alla fine, la persona timida interpreta i propri insuccessi in termini di incapacità personale nel relazionarsi agli altri.

Nel momento in cui un individuo timido si convince di non essere capace o abile a districarsi nella vita sociale, nei rapporti con gli altri, tutti i suoi comportamenti orientati alla socialità sono condizionati dai sintomi dell’ansia, dalla paura del fallimento, dell’essere giudicati male, di restare soli. In questo quadro, i soggetti timidi finiscono con l’assumere o comportamenti evitanti o impacciati o non funzionali alla socialità.


Si tenga presente che perché ci sia un comportamento sono necessarie le funzioni automatiche e/o elaborative del sistema cerebrale, in altre parole, i comportamenti evitanti, impacciati o comunque disfunzionali, sono il risultato di processi che avvengono nel nostro cervello, la gran parte dei quali non pervengono al livello consapevole.

Il pensiero delle persone timide che hanno sviluppato l’idea di inabilità sociale si focalizza sulle proprie presunte inadeguatezze senza dirigersi mai nella ricerca oggettiva di soluzioni. La mente si blocca sull’esistenza di tale problema e, ritenendosi incapace, diviene preda dello sconforto, della demotivazione, dell’idea dell’inutilità di qualsiasi tentativo.

Ritenersi socialmente inabile significa sentirsi condannati a una condizione immutabile che, quindi, non ha sbocchi.

La formazione e la persistenza di cognizioni strutturali disfunzionali, riguardanti il sé e il sé con gli altri, implicano a livelli anche non patologici, la timidezza. Così come anche il mancato o insufficiente apprendimento di modelli di relazionamento sociale, sia comportamentali, sia verbali. 

Il mancato apprendimento di modelli di comunicazione verbale e/o comportamentale limita la persona timida in una efficace socializzazione poiché vengono a mancare gli strumenti sociali di comunicazione.

L’ansia, le emozioni (soprattutto la paura) sono terreno fertile per il pensiero emotivo che poggia su basi ben forti assicurate dalle cognizioni strutturali disfunzionali.

Giacché l’essere vivente persegue il piacere, la non sofferenza, l’insorgere di emozioni negative e dell’ansia favorisce tutti quei comportamenti atti a fermare tali impulsi.

L’idea dell’inabilità induce a pensieri previsionali negativi e, con tali congetture, la tendenza ad evitare esperienze negative la fa da padrona.



29 ottobre 2022


La nostra vita è regolata dalle emozioni che ci segnalano l’esigenza di soddisfare i bisogni necessari alla nostra sopravvivenza fisica o mentale. Queste sono prodotte da processi cerebrali chiamati sistemi motivazionali (o modelli operativi interni, o sistemi emotivi oppure sistemi operativi interni).

Goa - Emozioni celebrali

I sistemi motivazionali sono processi neurali automatici, quindi, non accedono ai livelli coscienti. Sono innati e formati lungo tutta la storia evolutiva del cervello. Quando un bisogno non è soddisfatto il sistema operativo interno di riferimento attivo produce emozioni di sofferenza.

Tra quelli che si attivano nella vita quotidiana di una persona vi sono i sistemi motivazionali dell’attaccamento e del rango.
Nel vivere quotidiano di una persona timida questi due sistemi motivazionali possono determinare grandi sofferenze.

Il sistema operativo interno dell’attaccamento è una derivazione evolutiva di quello della difesa e si attiva già alla nascita. Infatti, “l’attaccamento” ha lo scopo di ottenere cura e protezione. Con il crescere della complessità della vita animale, tale sistema compare con la formazione dell’area limbica del cervello e andava a soddisfare la necessità di fronteggiare l’incapacità di alimentarsi e difendersi del neonato e la sua fragilità.

Il sistema dell’attaccamento si è poi ulteriormente evoluto quando la socialità nelle specie animali si è affermata generando nuove esigenze. Nel corso dell’evoluzione “l’attaccamento” si è sempre più integrato e oggi è attivo per tutta la vita di individuo.

L’uomo sente il bisogno di conforto, sostegno, attenzione e cura da parte delle altre persone e ciò fa sì che si attiva, lungo tutto il corso della vita, il sistema motivazionale dell’attaccamento.

Laddove i bisogni affettivi e/o di appartenenza sociale (o familiare) di un individuo sono insoddisfatti, il sistema dell’attaccamento attiva quelle emozioni di sofferenza che, reiterate nel tempo, partecipano alla formazione del disagio sociale, delle varie forme di timidezza, delle forme depressive e altri disturbi psicologici.

La memorizzazione di tali esperienze emotive di sofferenza conduce alla formazione o rinforzo delle cognizioni di base disfunzionali che tendono a rappresentare il sé come non amabile, incapace, inabile, inferiore agli altri.

Giacché l’uomo è inserito in un contesto di relazioni sociali viene coinvolto anche il sistema del rango che va a intrecciarsi con quello dell’attaccamento.

Il sistema motivazionale del rango (detto anche competitivo) nasce come derivazione evolutiva del più antico sistema predatorio. Anch’esso compare con l’aumentata complessità della socialità nella vita animale.

Questo sistema influenza quei comportamenti finalizzati a definire le gerarchie sociali all’interno di un insieme di individui.

Un ansioso sociale, una persona timida i cui sistemi cognitivi del sé sono improntati alle idee dell’incapacità, della non amabilità, dell’inabilità sociale, vive la personale vita relazionale con la paura della non appartenenza, dell’esclusione, del fallimento. 

In tali condizioni, adotta comportamenti sostanzialmente passivi, timorosi; nel disperato tentativo di essere o sentirsi accettato, cede agli altri i livelli di rango sociale più alti e, percependosi inadeguato, finisce con l’essere perdente nella competizione.

Il soggetto timido, proprio nei domini dell’attaccamento e del rango, accumula la maggior parte della sofferenza per la propria condizione.


 

20 ottobre 2022


Negli anni 80 dello scorso secolo, nel macaco, furono individuati, nella corteccia pre motoria, i cosiddetti neuroni specchio. A metà degli anni 90 si dimostrò la loro esistenza anche nell’uomo.

Per comprendere la loro funzione è necessaria una piccola premessa. 

Angelo Giarmana - ricerca di identità

Il nostro cervello “mappa” (mappa cerebrale) continuamente il corpo e lo fa anche in risposta agli stimoli emotivi. In quest’ultimo caso ciò che viene mappato è una sorta di simulazione dell’emozione. In breve il cervello può simulare determinati stati del corpo come se questi si stessero veramente verificando. Volendo fare una battuta potremmo dire che il cervello è capace anche di creare una fiction nel corpo di cui è parte.

Ebbene, le specchio sono cellule neuronali che hanno la capacità di registrare i comportamenti di altri soggetti e permettono, così, al cervello di creare la loro simulazione. 

La funzione della rete dei neuroni specchio è permettere al cervello di intuire prontamente l’intenzionalità nel comportamento di un altro soggetto.

Questo ci conduce al concetto di sincronia tra stati mentali in relazione tra loro. Detto in altri termini, due persone che entrano in relazione significativa vivono stati sincronici mentali. 

Per fare qualche esempio banale, lo stato di sincronia mentale lo puoi riscontrare se fai caso al fatto che lo stato emotivo di una persona con cui stai interagendo in modo significativo, finisce col condizionare anche il tuo stesso stato mentale. Pensa ai sorrisi che ti mettono di buon umore, alle risate di un amico che fanno ridere anche te, alla tristezza di una persona vicina che rende triste anche te, al particolare rapporto di relazione che si crea tra il neonato e la madre. Sono condizioni di stati mentali sincronici.

Gli stati mentali sincronici e la comprensione dell’intenzionalità dell’altro entrano, a pieno titolo, nella formulazione cognitiva riguardante l’idea di sé e di sé con l’altro. Chiaramente in tutto ciò entrano in gioco anche altri fattori.

Dunque, io formulo un’idea di me in funzione della storia delle mie esperienze relazionali, di come le ho vissute emotivamente, di ciò che queste esperienze hanno prodotto nella mia vita individuale e sociale.

Prima ho parlato di mappe cerebrali. In altri articoli e riferendomi al sé, le ho chiamate “credenze” o “cognizioni del sé”. Sto parlando di modelli interpretativi della realtà che la mente costruisce per permettere il raggiungimento degli scopi.

In realtà, non formulo una idea unica di me, ma una pluralità di idee di me e di me stesso con l’altro. E qui entra in gioco la questione delle identità. Io sono A se mi sto relazionando con Adele, sono B se lo sto facendo con Aldo, sono C se lo faccio con Tizio, sono D se mi sto relazionando con Caio, sono E se sto con tutti loro messi insieme, e così via.

Perché succede? Perché con ciascuna di queste persone con cui ho interagito ho vissuto specifiche esperienze che non sono state le stesse con gli altri, ho provato quella specifica emozione con quella determinata intensità che non ho provato con gli altri, mi sono comportato in quel determinato modo che non si è ripetuto con gli altri, ho vissuto esiti di quell’interazione che non sono stati gli stessi verificatesi con gli altri, perché quella specifica persona ha interagito con me in modo diverso da come gli altri hanno interagito con me. Perché ho percepito me stesso in modo diverso da come mi sono percepito con gli altri. Con ciascuna di queste persone, il mio cervello ha disegnato una mia specifica identità.

Facci caso. Con certe persone sei più sciolto/a, con altre timoroso/a, con altre ancora nervoso/a, con alcune parli senza smettere, con altre non hai nulla da dire.

Tuttavia tutto ciò non significa, né implica, che viviamo in una bolgia confusa di identità. 

Più che altro, abbiamo una identità dominante che si manifesta nella nostra quotidianità e una serie di “variazioni” che s’innestano a seconda delle circostanze relazionali.



13 luglio 2022


La paura della delusione o dell'abbandono è paura della sofferenza che tale evento produce.

Nelle ansie sociali la delusione può essere considerata in vario modo:

  • Il venir meno di aspettative riposte nell’altra/o;
  • Considerarsi colpevole di aver favorito il verificarsi della delusione stessa con il proprio comportamento;
  • Avere una storia di sofferenze nelle relazioni interpersonali;
  • Essere il risultato di idealizzazioni eccessive riguardanti la relazione a cui si aspira;
  • Essere il risultato di propri comportamenti disfunzionali;
Noell S. Oszvald - autoritratto

Sovente si verifica con la fine di una relazione di coppia e, in tal caso, la scottatura produce sentimenti di sconforto, tristezza, senso di abbandono, abbattimento emotivo, avvilimento.

Nelle persone ansiose, l’evento che produce la batosta emotiva può avere ripercussioni in termini di sofferenze psicologiche che possono protrarsi anche per anni quando tale esperienza non viene elaborata e, quindi, superata. 

È proprio quando la delusione relazionale non è elaborata e superata che subentra la paura della delusione come fattore di sofferenze ritenute insormontabili e non sopportabili.

La condizione di sofferenza per delusione e/o abbandono può comportare la formazione di cognizioni disfunzionali riguardanti gli altri: si fa avanti l’idea consistente e, spesso, permanente dell’inaffidabilità dell’altro/a. Tuttavia non sempre è così.

Altrettanto potente è l’azione che può svolgere la memoria emotiva. Quando una sofferenza è memorizzata associando l’esperienza in sé con le emozioni negative vissute, il richiamo della memoria riporta un ricordo in cui l’intensità della sofferenza è fortemente amplificata. 

In queste situazioni l’idea che possa verificarsi il ripetersi di analoghe esperienze conduce a valutazioni previsionali in cui la sofferenza è considerata non sopportabile o portatrice di grave e perdurante danno mentale e/o con la perdita delle capacità di autocontrollo.

Quando l’esperienza della delusione relativa ai rapporti amicali si ripete più volte nel corso del tempo, l’idea dell’inaffidabilità dell’altro si rafforza e radicalizza. In quest’ambito, la sfiducia riposta negli altri finisce col compromettere anche la nascita di nuove amicizie o conoscenze: i comportamenti dell’ansioso diventano sempre più di difesa e chiusura.

La paura è l’emozione principe di tutte le forme di ansia, a essa è sempre connesso il comportamento evitante che esprime l’azione come risposta ai processi cognitivi di valutazione e previsione.

Come ho spesso scritto, nelle ansie sociali, la paura della sofferenza induce a comportamenti evitanti. Ciò implica anche che l’evitamento della sofferenza produce altra sofferenza che si manifesta in termini di solitudine, di scarsa socialità, di condizione permanente di tristezza o infelicità di fondo.

Quando una persona ansiosa ha una storia di ripetute delusioni e/o abbandoni nell’ambito delle relazioni interpersonali, di coppia o amicali, quello evitante può non essere l’unico tipo di comportamento a essere attuato, infatti, in taluni casi, essa tende a manifestare la propria condizione di sofferenza psicologica o emotiva, con comportamenti di irritabilità, scontrosità, aggressività, oppure con atteggiamenti verbali respingenti, di allontanamento dell’altro/a.




30 maggio 2022


Nella timidezza, e in altre forme di ansia sociale, la paura degli altri può coniugarsi anche come timore di giudizi altrui, paura di loro possibili reazioni negative a un proprio comportamento, timore di esclusione e rifiuto sociale.

Arecco Alessandra - angoscia

In questi casi non è da intendersi come paura dell’altro in quanto tale, ma come timore delle conseguenze sociali che possono scaturire dal proprio comportamento che possono comportare nocumento alla qualità della propria vita.

Tuttavia, in alcuni casi l’altro è visto come soggetto pericoloso, inaffidabile, cattivo. Ciò è possibile quando il sistema cognitivo di base ha assunto una visione generale dell’altro e degli altri orientata a tali idee.

24 maggio 2022


Perché abbiamo un livello cosciente e uno inconscio?


Ciò che perviene allo stato cosciente della nostra mente è il risultato finale di un insieme di processi che si sono svolti e che impegnano diverse aree e sistemi cerebrali.

Giuseppe Rubicco - trasparenze mentali

La differenza tra le quantità di informazioni che giungono allo stato cosciente e quelle che non vi pervengono è enorme. Non salendo allo stato cosciente, tutte queste informazioni sono inconsce.

Per fare una battuta potremmo dire che il livello inconscio fa il lavoro “sporco” che nessuno di noi conosce, mentre il livello cosciente e, in particolar modo quello di ordine superiore nell’uomo, ci permette di operare utilizzando le capacità logiche della neocorteccia; in questo livello siamo coscienti di essere coscienti. 

La differenza tra il modo di operare del cervello allo stato cosciente e quello del livello inconscio sta in due fattori principali: il livello cosciente e, particolarmente, quello della coscienza di ordine superiore, vede implicate aree del cervello poste al livello corticale e il suo modo di procedere è di tipo sequenziale; il livello inconscio non necessita di processi elaborativi corticali, infatti, sono implicate sostanzialmente le aree cerebrali sotto corticali. A questo livello i processi neurali si svolgono in parallelo.

A questi due tipi di operare del cervello possono essere associati i processi logici propri dello stato cosciente e i processi “irrazionali” del livello inconscio.

L’irrazionalità


In realtà più che parlare di irrazionalità dell’inconscio, si tratta di processi automatici che, in condizioni normali, ci permettono di agire con tempestività.

Il livello inconscio è, in termini evolutivi del cervello, quello più antico e ha permesso al mondo animale di adattarsi all’ambiente, difendersi dai predatori, riprodursi, apprendere attraverso processi cerebrali automatici memorizzando, sostanzialmente, l’associazione tra le esperienze e le emozioni provate con esse.

Al livello inconscio l’associazione esperienza-emozione, una volta memorizzata, va a far parte di quella che viene chiamata conoscenza implicita.

In tale livello, alla mente non importa di avere ragione o torto, gli importa di agire con la massima tempestività e salvaguardare le condizioni omeostatiche. I processi neurali che vi si svolgono operano una selezione automatica di tutte le informazioni che pervengono al cervello.

La logica


È una capacità propria della corteccia cerebrale dove hanno luogo tutti i processi elaborativi coscienti.

In questo caso la corteccia e le aree sotto corticali si scambiano informazioni reciprocamente.

Le informazioni legate all’associazione esperienza-emozione che si è svolta nel livello inconscio giungono alle aree corticali solo in minima parte e in modo grezzo, qui sono elaborate coscientemente e con modalità logica.


Tuttavia, il processo neurale logico lavora su un insieme di cognizioni costituitesi nel livello inconscio assumendone i contenuti come se fossero dati oggettivi.

Il fatto che il livello cosciente e logico tratta le informazioni, provenienti dal piano subcosciente (particolarmente la associazione esperienza-emozione), come dati oggettivi crea non pochi problemi all’uomo.

Per fare qualche esempio semplice è come se io dovessi fare dei calcoli aritmetici assumendo la nozione che 2 + 2 è uguale a 5. In tal caso, anche applicando una buona logica, i miei calcoli avrebbero comunque una conclusione errata.

È quello che succede nelle ansie sociali quando il pensiero razionale è chiamato a fare i conti con cognizioni, formatesi al livello inconscio e riguardanti la definizione del sé, del sé con gli altri e degli altri.

La memorizzazione emotiva delle esperienze che non ha subito un processo di elaborazione cosciente influenza, in modo deciso, anche i processi logici.




14 maggio 2022


L’ansia da competenza si manifesta quando l’individuo si trova in situazioni in cui ritiene sia necessaria la competenza che pensa di non avere. 

Alberto è sempre stato criticato sin da bambino dai propri genitori. I genitori di Amelia si sono sempre sostituiti a lei nelle decisioni e anche nelle scelte semplici. Carlotta e Ruben, sin dall’infanzia, sono stati abitualmente apostrofati dai genitori con parole o frasi del tipo: “sei un imbecille”; “non capisci niente”; “sei un incapace”; “mi fai fare solo brutte figure”; “sei la pecora nera della famiglia”.

Goa - Magia portami via

Cristina che soffre di depressione si sente sempre dire, da uno o ambedue i genitori, che deve darsi una mossa, che deve smettere di frignare, che non fa niente, che deve cambiare registro, che deve fare questo o quello.

Ciro è cresciuto in un ambiente anassertivo dove il giudizio positivo degli altri è considerato una necessità assoluta.
Sergio ha una famiglia in cui si ritiene che avere sempre successo è doveroso, che è necessario essere dei vincenti, che l’errore non gli deve appartenere.

Questi sono esempi di casi nei quali il soggetto che subisce tali comportamenti e assunzioni sviluppa credenze di base inerenti a idee del sé e del sé con gli altri improntate ai concetti di incapacità, inabilità, inutilità, di fallimento come persona, di difettosità.

Credenze di base che, a loro volta, favoriscono il formarsi di cognizioni intermedie e derivate che, oltre a confermarle, rinforzarle e irrigidire, determinano comportamenti evitanti che poi diventano abituali e automatizzati.

Si tratta di schemi cognitivi che possono sia attivare emozioni negative e stati d’ansia, sia essere attivati da questi generando il processo circolare della timidezza.

Se ci si sente incapace, inabile o inutile, o persona fallita, i pensieri previsionali automatici e negativi, così come quelli di valutazione, conducono sempre alle stesse conclusioni: l’insuccesso. Tutto a prescindere dalle reali capacità e potenzialità personali.

Così, l’idea di incompetenza radicata e fondamentalmente inconscia produce inibizioni molto potenti.

Messa di fronte a situazioni sociali che attivano questi schemi cognitivi negativi, la persona timida è pervasa dall’emozione della paura e insorge l’ansia.

I pensieri automatici negativi di previsione si risolvono in locuzioni del tipo: “farò una figura di merda”; “mi giudicheranno negativamente”; “rideranno di me”; “andrà a finire male”; “come al solito mi bloccherò e non riuscirò a far nulla”; “tutti si accorgeranno che non valgo niente”; “capiranno che sono una persona incapace”; “sarà l’ennesimo fallimento”; “non sono all’altezza”.

La timidezza si esprime in molte forme; tra queste c’è l’ansia da competenza. Questi tipi di problemi ricevono “sostegno” dai quei valori veicolati dai media che riguardano i concetti sull’essere vincenti, sul successo, sulla competizione.

Nel momento in cui tali concetti acquisiscono valore primario e/o di riferimento culturale nella mente dell’individuo timido che si percepisce incapace, inabile socialmente, di scarso valore, egli vive le relazioni sociali con un senso di inferiorità e/o di inadeguatezza, sentendosi un pesce fuor d’acqua, condannato a vivere una vita priva di affettività e/o sessualità, destinato anche a una vita sociale piuttosto scarna.

I processi cognitivi cui ho poc’anzi accennato innescano la paura e, conseguentemente, i sintomi dell’ansia. Quest’ultima può manifestarsi con effetti inibitori sia in termini fisici (impaccio nei movimenti, sudorazione, rossore nel viso, battito cardiaco accelerato eccetera eccetera), sia in termini mentali (difficoltà di accedere alla memoria, blocco mentale, eccetera).



11 aprile 2022



La cognizione è conoscenza. 

Può sembrare strano, ma la cognizione non è una prerogativa esclusiva delle specie umana: buona parte delle specie animali sono dotate o sviluppano la cognizione. Tuttavia, c’è cognizione e cognizione.

Franco Dalla - L'albero della conoscenza

Ciò che distingue la specie umana dagli altri animali è l’esistenza, nell’uomo, della coscienza di ordine superiore che gli permette di avere e produrre livelli più complessi di cognizione.

Come avrai già capito, abbiamo due livelli di cognizione, quella tacita o implicita e quella esplicita.

Sia chiaro che la conoscenza non è una entità, ma un processo neurale che si estende nella mente (anche questa è un processo neurale ma è sovraordinato alla cognizione) fino alla determinazione del comportamento.

Conoscenza implicita


Essendo il livello evolutivamente più antico, è presente in tutte le forme di vita animale ed è collegato in modo diretto alla coscienza primaria.

La conoscenza implicita si determina attraverso processi di memorizzazione per mezzo dell’esperienza sensoriale ed emotiva.

Si tratta di attività neurali continue e costanti di processi con cui il cervello opera per mappare e rimappare il corpo, il cervello, la mente e l’ambiente: è grazie a ciò che il cervello è in grado di gestire l’organismo vivente.

La conoscenza implicita si esplica attraverso processi automatici e, in quanto tali, non richiedono elaborazioni neurali coscienti e/o di natura neocorticale.

Buona parte della conoscenza implicita è addirittura innata ed è quindi trasmessa per via genetica. Questi tipi di conoscenza implicita si differenziano da specie a specie.

Conoscenza esplicita


Tipica delle specie umana, si può esprimere in forma verbale.

Evolutivamente è più recente della conoscenza implicita, è stata possibile grazie ai processi neocorticali e con la comparsa del linguaggio verbale.

La sua processazione avviene anche attraverso il pensiero e a tempi elaborativi maggiori rispetto alla conoscenza implicita.

Nell’uomo, la conoscenza esplicita può essere descritta anche come un processo di memoria che, applicato ed elaborato, giunge alla coscienza di ordine superiore la quale esplica funzioni di gestione della cognizione stessa, di consentire la coscienza e il controllo delle emozioni, di indirizzare la conoscenza in direzione degli scopi personali, di meditare sulle esperienze.

I contenuti della coscienza esplicita riguardano dati oggettivi ed emotivi, dunque, in essi coesistono soggettività e oggettività.

Nella specie umana, la conoscenza implicita e quella esplicita coesistono e interagiscono tra loro attingendo reciprocamente informazioni.

Tuttavia solo una minima parte della conoscenza implicita giunge allo stato cosciente e sfocia in quella esplicita. Possiamo dire che la cognizione esplicita appare come un processo di selezione e sintesi della conoscenza implicita.

Lo scenario è alquanto complesso. Ambedue i livelli di conoscenza risentono delle esperienze emotive. Ciò è possibile in quanto il nostro cervello non memorizza la sola esperienza di vita in quanto tale, ma la associa all’emozione provata nell’esperienza stessa.

Ciò implica che la conoscenza è al tempo stesso memoria della “nozione” e dell’emozione di ogni singola esperienza. Questo è il fattore, forse, principale per cui nell’uomo si verifica sia il pensiero oggettivo che quello emotivo.




27 marzo 2022


Il comportamento è l’atto finale e attuativo di un insieme di processi cerebrali attivati da stimoli esterni o interni. 

Capita a tutti di far cose come se si avesse un pilota automatico. Molti di questi comportamenti si hanno quando sono abitudinari.

Comportamenti sub coscienti 

Vittorio Piscopo - Orchestrazione

Sono quei comportamenti i cui processi mentali non raggiungono il livello di coscienza di ordine superiore.
Proprio perché non richiedono elaborazione mentale consapevole, hanno una rapida attuazione e necessitano di un impulso emotivo.

A questi processi sottende la gran parte della conoscenza implicita e, perciò, la loro automaticità non richiede necessariamente la reiterazione. Tale categoria di comportamento sono, in genere, automatici, li attuiamo in maniera “istintiva”.

Comportamenti coscienti

Si tratta di quei comportamenti i cui processi cerebrali sono sottoposti al vaglio delle funzioni mentali della coscienza di ordine superiore. Sono il risultato dell’interazione tra processi inconsci ed elaborazione cognitiva cosciente. 

Questa seconda classe di comportamenti fa ricorso sia alla conoscenza esplicita, che a quella implicita. Ne fanno parte anche i comportamenti appresi. Acquisiscono automaticità tramite la loro reiterazione.

Nel processo di automazione di un comportamento, risultante dall’interazione tra processi neurali inconsci ed elaborazione cognitiva, intervengono anche le emozioni e la memoria “emotiva” delle esperienze vissute; proprio per questo, nelle ansie sociali, i comportamenti automatici sono anche il risultato della storia delle esperienze dell’individuo.

C’è una stretta correlazione tra i comportamenti coscienti automatici e il carattere di un individuo. Infatti, il carattere è costituito dall’insieme dei comportamenti abituali di una persona.

Le emozioni giocano un ruolo significativo nell’attivazione di un comportamento. Nelle ansie sociali il comportamento cosciente, anche se vi sottende un processo di valutazione cognitiva, risente della potenza delle emozioni e ne è fortemente condizionato.

Una persona timida è costretta a fare i conti con l’emozione della paura e il conseguente insorgere dell’ansia, fattori questi che, insieme alle attività di pensiero emotivo di segno negativo, alimentano il circolo vizioso della timidezza.

La paura dell’insuccesso, dell’essere rifiutati, del giudizio negativo altrui, in altre parole, della sofferenza, alimenta i pensieri automatici negativi e, questi, riattivano le emozioni e le ansie perpetuandole.

La conseguenza di tutto ciò è l’attuazione di comportamenti di fuga o evitamento. L’individuo timido si chiude in sé stesso, rinuncia a quelle azioni preferite che gli procurano paura e ansia, fomentate dai pensieri previsionali negativi.

Dato che un ansioso sociale attua questi tipi di comportamento in modo sistematico in tutte le situazioni ansiogene, conferisce agli stessi carattere automatico.

Parlo, dunque, di comportamenti che nel tempo diventano l’abituale risposta agli stimoli ansiogeni. Risposte comportamentali che sono anche il frutto di un forte condizionamento dovuto, non solo ad ansia ed emozioni, ma anche e soprattutto all’attivazione di credenze disfunzionali di base, intermedie e dei pensieri automatici negativi.

Tali risposte abituali, nel tempo, diventano gli unici strumenti presenti nel paniere comportamentale dell’ansioso sociale che li attua come se fosse oggetto di un impulso “istintivo”, effetto questo, dovuto dal processo di automazione che si è già sviluppato.

Generalmente, il soggetto timido, dopo aver praticato un comportamento automatico come reazione alla situazione ansiogena, è cosciente di quanto accaduto e ciò gli comporta una ulteriore sofferenza e un processo alle proprie intenzioni.

Egli tende ad una critica feroce nei propri confronti che va ad alimentare, confermare e rinforzare tutte quelle cognizioni disfunzionali sul sé, sul sé con gli altri e sugli altri che ineriscono alle idee di incapacità, inabilità, non amabilità, difettosità fisica o mentale della propria persona.




7 marzo 2022


Alberto non si approccia ad altre persone perché pensa di dar loro fastidio; Carmela non va a far visita ad amici e conoscenti perché pensa di essere inopportuna; Michela non partecipa alle conversazioni perché pensa di essere fuori luogo.

La fine nell`inizio -Gemma Spada 

Nella timidezza, come nelle altre forme di ansia sociale, l’idea di procurare fastidio agli altri genera comportamenti di evitamento che producono auto isolamento ed esclusione sociale, solitudine, una vita relazionale assai povera, grandi difficoltà nella costruzione di rapporti di amicizia, di coppia, di lavoro.

Questo tipo di pensiero e i comportamenti conseguenti che genera sono, spesso, reiterati talmente tante volte da acquisire carattere automatico.

Uno dei problemi di base che ricorre in questi casi è quello dell’accettazione sociale e, questo, fa riferimento al bisogno di socialità che, nella specie umana, assume importanza fondamentale per l’equilibrio psicofisico dell’individuo.

La socialità nell’evoluzione della nostra specie (e del cervello umano) ha prodotto la comparsa di diversi sistemi motivazionali come quelli dell’attaccamento, dell’affiliazione, del legame sessuale.

L’idea di essere un soggetto disturbante non nasce all’improvviso ma si forma e radicalizza nella mente già a partire dalla nascita.

Sottostanti a questi pensieri ci sono credenze di base che descrivono e definiscono il sé come individuo non amabile, non attraente come persona, non meritevole di attenzione e amore, “difettoso” per nascita.

Un bambino che ha avuto genitori disattenti, assenti, poco partecipi alle sue richieste di accudimento, ha elevatissime probabilità di sviluppare questi tipi di credenze.

Altrettanto può accadere a un bambino con genitori ipercritici nei suoi confronti o con tendenze violente.

Tuttavia, l’idea di recare disturbo, di essere di impiccio agli altri, può subentrare anche nel corso della vita dell’ansioso sociale quando si è già generato uno stato di isolamento, quando ci si viene a trovare in una condizione di non appartenenza sociale.

In questi casi il soggetto timido conia l’idea di essere di impiccio agli altri sulla base della propria storia emotiva e delle interazioni sociali segnate da abbandoni, fallimenti relazionali traumatici o comunque al limite dello shock emotivo, isolamento attuato dagli altri come risposta ai comportamenti disfunzionali.

Infatti, quando l’ansioso sociale viene a trovarsi nella condizione di non appartenenza sociale che si protrae per lunghi periodi, quando non si sente accettato dagli altri, tende a sviluppare cognizioni strutturali del sé e del sé con gli altri, improntate all’idea di non essere meritevole di attenzione o di amore. Egli si sente rifiutato e, pertanto, ritiene che ogni suo tentativo di partecipazione possa essere percepito come una seccatura, una rottura di scatole, inopportuno o generare insofferenza.

Anche credenze di base inerenti all’idea di essere incapace o inabile socialmente possono produrre l’idea di recare fastidio agli altri, così come può accadere anche nel caso in cui ci si percepisce come soggetto fisicamente difettoso.

In quest’ultimo caso la persona timida, percependosi difettosa nella propria corporeità, sviluppa l’idea che tale sua condizione possa generare sentimenti di repulsione o di schifo.

Comunque sia, il modello comportamentale che segue ai processi mentali condizionati da un sistema cognitivo disfunzionale viene sempre posto nel quadro di un comportamento evitante.

Il soggetto ansioso valuta l’idea di non essere gradito come se fosse un dato di fatto reale e pressoché certo.

In altre parole quest’idea negativa sul sé con gli altri, travalica il principio della descrizione e dell’ipotesi fino a diventare, essa stessa, dimostrazione della validità e verità del non essere graditi.

Stando così le cose, la persona timida se solo tenta di sfidare tale pensiero si ritrova travolto dall’emozione della paura e dai sintomi dell’ansia, fattori che possono presentarsi con alti livelli di intensità, tanto da scoraggiare ogni altra iniziativa.




8 febbraio 2022


Il problem solving è una dimensione del pensiero, è il porsi in una modalità oggettivante nella valutazione di situazioni e condizioni che presentano problemi da risolvere.

Si tratta di un atteggiamento mentale che richiede alcune conditio sine qua non:
  • Necessita di un approccio razionale del pensiero, quindi, capace di oggettivazione.
  • Distacco dall’emotività nella valutazione delle risorse personali e nei pensieri previsionali.
  • Cessazione degli atteggiamenti mentali tendenti all’autocritica e ai giudizi negativi del sé e degli altri.
  • Restare attaccati al momento presente.
  • Essere aperti al concetto di possibilità, cioè, ritenere che il problema sia risolvibile dalla propria persona, con o senza ausilio di strumenti esterni.
  • Mettere in pausa, sospendere, anzi, abbandonare il ricorso alla memoria di esperienze negative del proprio vissuto come metodo di valutazione.
  • Essere concentrati solo sul cosa fare.
  • Distinguere, nettamente, i fatti oggettivi da emozioni e pensieri.
Il problem solving si attua attraverso quattro fasi: le prime tre sono di valutazione e l’ultima è di attuazione.


Ma perché parlo di queste cose che sembrano anche del tutto ovvie?

Negli ansiosi sociali, quindi anche nelle persone timide, il ricorso alla modalità del problem solving è, generalmente, del tutto fallimentare.

Nelle ansie sociali il pensiero emotivo è predominante e ciò preclude la possibilità di valutare la realtà in modo oggettivo. Infatti, il pensiero emotivo, è una attività soggettiva che poggia, sostanzialmente, sugli stati emotivi del presente, sulla memoria emotiva del passato, sulle sofferenze irrisolte.

La persona timida nel momento in cui tende a cercare soluzioni ai propri problemi, a situazioni che implicano la socialità, viene sopraffatto da una serie di fattori.

  • Ricorre alla memoria della propria storia emotiva, dei propri fallimenti, delle sofferenze vissute.
  • Elicita e attiva le credenze disfunzionali di base e derivate sul sé, sul sé con gli altri e sugli altri.
  • Fa del proprio vissuto emotivo un fattore dominante di valutazione sui mezzi personali disponibili e sulle proprie capacità. Ciò implica valutazioni e giudizi negativi su sé stesso.
  • È pervaso da pensieri automatici negativi che comprendono quelli previsionali o inerenti alle personali capacità.
Tali attività mentali non sono oggetto di uno stato di consapevolezza. L’ansioso sociale, anche quando è impegnato nella soluzione delle proprie problematiche, non è cosciente del fatto che la modalità del problem solving non è concretamente attiva.

Egli è sopraffatto da attività metacognitive pervasive che lo bloccano in una condizione di stallo mentale per cui il pensiero, come in un fermo immagine, si staziona sull’idea di avere un problema, su scene e immagini mentali reclutate dalla memoria, sulle valutazioni negative del sé. In tale condizione si allontana dalla possibilità di trovare soluzioni.

Spesso, la persona timida, è indotta a comportamenti come la procrastinazione, l’abbandono dell’attività, la demotivazione.

Possono verificarsi anche altri tipi di comportamento mentale: si tende a programmare obiettivi non raggiungibili, talvolta, di natura idealistica. In tali casi gli obiettivi impossibili fanno riferimento a valori cui la persona timida conferisce alta validità e importanza e ciò, senza prendere in considerazione i reali mezzi disponibili nella condizione presente.

La mancata risoluzione dei problemi è vissuta dall’ansioso sociale come un fallimento della propria persona. Fatto, questo, che alimenta la conferma e il rinforzo delle cognizioni strutturali disfunzionali.




20 gennaio 2022


Tutte le persone quando vivono una sofferenza interiore cercano di individuare le cause e i motivi che sono all’origine del proprio malessere. Si fanno domande del tipo: “perché sto così male?”; “C’è qualcosa in me che non va?”.

Carmelo Lombardo - introspezione

Questo lavoro di ricerca delle cause o delle origini della propria sofferenza ha, chiaramente, l’obiettivo di trovare soluzioni alle personali condizioni di disagio. È, dunque, una normale attività metacognitiva che ciascuno di noi pone in atto come strategia rivolto al problem solving. È una sorta di psicologia fai-da-te.

Un tale lavoro meta cognitivo, che ha la caratteristica di essere prettamente soggettivo, sfocia nella determinazione di una o più teorie, inerenti la propria sofferenza, tendenti a inquadrare il caso personale nell’auto descrizione di ciò che si presume essere la causa o l’origine del malessere interiore che si vive. 

Tuttavia, tale attività ha il rovescio della medaglia. Quando tali teorie “naif” sono elaborate sotto l’influsso delle proprie condizioni emotive, il loro contenuto non è aderente alla realtà e finiscono per avere un effetto boomerang che si ritorce, negativamente, contro il soggetto stesso.

Particolarmente nella timidezza e le altre forme di ansia sociale, la storia personale delle esperienze nelle relazioni sociali vissute negativamente e delle emozioni di sofferenza agiscono come riverbero di quelle che sono le cognizioni strutturali disfunzionali sul sé e sul sé con gli altri.

Nel processo meta cognitivo che conduce alle teorie personali, due sono gli indirizzi generali cui sono orientate le attribuzioni di causa, significato ed effetto: l’orientamento verso fattori interni come l’idea del passato che si ripete, aspetti biologici, l’aspetto fisico esteriore, la deformità genetica, le abilità e le qualità personali; l’altra direttrice è rivolta ai fattori esterni come l’ambiente sociale, la famiglia, la scuola, la scuola, gli altri.

L’attribuzione delle cause e le stesse teorie naif, che vengono elaborate dall’ansioso sociale, non colgono mai il cuore del problema. Ciò per il fatto che gli stili di crescita della conoscenza che sono strutture, formatesi nel tempo, deputate a conservare l’idea di validità delle cognizioni strutturali, si attivano per il mantenimento dello status quo cognitivo.

Volendo utilizzare una metafora, possiamo dire che tali stili agiscono per depistare l’attività di indagine.

Queste teorie fai-da-te, essendo poggiate sulla storia personale della sofferenza, e quindi soggettive, non sono mai strutturate su esperienze verificabili oggettivamente.

La carenza di oggettivazione sfocia in processi disfunzionali di auto focalizzazione e nella pervasività delle attività metacognitive della ruminazione e del rimuginìo.

Un altro problema è dato dal fatto che la costruzione di queste teorie personali non è in grado di accedere ai costrutti inconsci, in pratica non è nelle condizioni di andare a intaccare il quadro cognitivo strutturale disfunzionale che gran parte non è disponibile allo stato cosciente.

Del resto, ciò che ognuno di noi è in grado di captare della personale esperienza cosciente è solo quel che emerge nelle sue forme apparenti del comportamento sia fisico che verbale. Cioè, le percezioni sensitive, le emozioni ad elevata intensità, i comportamenti propri che si attuano, le reazioni degli altri tali comportamenti, la somatizzazione dell’ansia, i fallimenti nei rapporti sociali.