20 gennaio 2022


Tutte le persone quando vivono una sofferenza interiore cercano di individuare le cause e i motivi che sono all’origine del proprio malessere. Si fanno domande del tipo: “perché sto così male?”; “C’è qualcosa in me che non va?”.

Carmelo Lombardo - introspezione

Questo lavoro di ricerca delle cause o delle origini della propria sofferenza ha, chiaramente, l’obiettivo di trovare soluzioni alle personali condizioni di disagio. È, dunque, una normale attività metacognitiva che ciascuno di noi pone in atto come strategia rivolto al problem solving. È una sorta di psicologia fai-da-te.

Un tale lavoro meta cognitivo, che ha la caratteristica di essere prettamente soggettivo, sfocia nella determinazione di una o più teorie, inerenti la propria sofferenza, tendenti a inquadrare il caso personale nell’auto descrizione di ciò che si presume essere la causa o l’origine del malessere interiore che si vive. 

Tuttavia, tale attività ha il rovescio della medaglia. Quando tali teorie “naif” sono elaborate sotto l’influsso delle proprie condizioni emotive, il loro contenuto non è aderente alla realtà e finiscono per avere un effetto boomerang che si ritorce, negativamente, contro il soggetto stesso.

Particolarmente nella timidezza e le altre forme di ansia sociale, la storia personale delle esperienze nelle relazioni sociali vissute negativamente e delle emozioni di sofferenza agiscono come riverbero di quelle che sono le cognizioni strutturali disfunzionali sul sé e sul sé con gli altri.

Nel processo meta cognitivo che conduce alle teorie personali, due sono gli indirizzi generali cui sono orientate le attribuzioni di causa, significato ed effetto: l’orientamento verso fattori interni come l’idea del passato che si ripete, aspetti biologici, l’aspetto fisico esteriore, la deformità genetica, le abilità e le qualità personali; l’altra direttrice è rivolta ai fattori esterni come l’ambiente sociale, la famiglia, la scuola, la scuola, gli altri.

L’attribuzione delle cause e le stesse teorie naif, che vengono elaborate dall’ansioso sociale, non colgono mai il cuore del problema. Ciò per il fatto che gli stili di crescita della conoscenza che sono strutture, formatesi nel tempo, deputate a conservare l’idea di validità delle cognizioni strutturali, si attivano per il mantenimento dello status quo cognitivo.

Volendo utilizzare una metafora, possiamo dire che tali stili agiscono per depistare l’attività di indagine.

Queste teorie fai-da-te, essendo poggiate sulla storia personale della sofferenza, e quindi soggettive, non sono mai strutturate su esperienze verificabili oggettivamente.

La carenza di oggettivazione sfocia in processi disfunzionali di auto focalizzazione e nella pervasività delle attività metacognitive della ruminazione e del rimuginìo.

Un altro problema è dato dal fatto che la costruzione di queste teorie personali non è in grado di accedere ai costrutti inconsci, in pratica non è nelle condizioni di andare a intaccare il quadro cognitivo strutturale disfunzionale che gran parte non è disponibile allo stato cosciente.

Del resto, ciò che ognuno di noi è in grado di captare della personale esperienza cosciente è solo quel che emerge nelle sue forme apparenti del comportamento sia fisico che verbale. Cioè, le percezioni sensitive, le emozioni ad elevata intensità, i comportamenti propri che si attuano, le reazioni degli altri tali comportamenti, la somatizzazione dell’ansia, i fallimenti nei rapporti sociali.




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