Il comportamento è l’atto finale e attuativo di un insieme di processi cerebrali attivati da stimoli esterni o interni.
Capita a tutti di far cose come se si avesse un pilota automatico. Molti di questi comportamenti si hanno quando sono abitudinari.
Comportamenti sub coscienti
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Vittorio Piscopo - Orchestrazione |
Sono quei comportamenti i cui processi mentali non raggiungono il livello di coscienza di ordine superiore. Proprio perché non richiedono elaborazione mentale consapevole, hanno una rapida attuazione e necessitano di un impulso emotivo.
A questi processi sottende la gran parte della conoscenza implicita e, perciò, la loro automaticità non richiede necessariamente la reiterazione. Tale categoria di comportamento sono, in genere, automatici, li attuiamo in maniera “istintiva”.
Comportamenti coscienti
Si tratta di quei comportamenti i cui processi cerebrali sono sottoposti al vaglio delle funzioni mentali della coscienza di ordine superiore. Sono il risultato dell’interazione tra processi inconsci ed elaborazione cognitiva cosciente.
Questa seconda classe di comportamenti fa ricorso sia alla conoscenza esplicita, che a quella implicita. Ne fanno parte anche i comportamenti appresi. Acquisiscono automaticità tramite la loro reiterazione.
Nel processo di automazione di un comportamento, risultante dall’interazione tra processi neurali inconsci ed elaborazione cognitiva, intervengono anche le emozioni e la memoria “emotiva” delle esperienze vissute; proprio per questo, nelle ansie sociali, i comportamenti automatici sono anche il risultato della storia delle esperienze dell’individuo.
C’è una stretta correlazione tra i comportamenti coscienti automatici e il carattere di un individuo. Infatti, il carattere è costituito dall’insieme dei comportamenti abituali di una persona.
Le emozioni giocano un ruolo significativo nell’attivazione di un comportamento. Nelle ansie sociali il comportamento cosciente, anche se vi sottende un processo di valutazione cognitiva, risente della potenza delle emozioni e ne è fortemente condizionato.
Una persona timida è costretta a fare i conti con l’emozione della paura e il conseguente insorgere dell’ansia, fattori questi che, insieme alle attività di pensiero emotivo di segno negativo, alimentano il circolo vizioso della timidezza.
La paura dell’insuccesso, dell’essere rifiutati, del giudizio negativo altrui, in altre parole, della sofferenza, alimenta i pensieri automatici negativi e, questi, riattivano le emozioni e le ansie perpetuandole.
La conseguenza di tutto ciò è l’attuazione di comportamenti di fuga o evitamento. L’individuo timido si chiude in sé stesso, rinuncia a quelle azioni preferite che gli procurano paura e ansia, fomentate dai pensieri previsionali negativi.
Dato che un ansioso sociale attua questi tipi di comportamento in modo sistematico in tutte le situazioni ansiogene, conferisce agli stessi carattere automatico.
Parlo, dunque, di comportamenti che nel tempo diventano l’abituale risposta agli stimoli ansiogeni. Risposte comportamentali che sono anche il frutto di un forte condizionamento dovuto, non solo ad ansia ed emozioni, ma anche e soprattutto all’attivazione di credenze disfunzionali di base, intermedie e dei pensieri automatici negativi.
Tali risposte abituali, nel tempo, diventano gli unici strumenti presenti nel paniere comportamentale dell’ansioso sociale che li attua come se fosse oggetto di un impulso “istintivo”, effetto questo, dovuto dal processo di automazione che si è già sviluppato.
Generalmente, il soggetto timido, dopo aver praticato un comportamento automatico come reazione alla situazione ansiogena, è cosciente di quanto accaduto e ciò gli comporta una ulteriore sofferenza e un processo alle proprie intenzioni.
Egli tende ad una critica feroce nei propri confronti che va ad alimentare, confermare e rinforzare tutte quelle cognizioni disfunzionali sul sé, sul sé con gli altri e sugli altri che ineriscono alle idee di incapacità, inabilità, non amabilità, difettosità fisica o mentale della propria persona.