L’ansia da competenza si manifesta quando l’individuo si trova in situazioni in cui ritiene sia necessaria la competenza che pensa di non avere.
Alberto è sempre stato criticato sin da bambino dai propri genitori. I genitori di Amelia si sono sempre sostituiti a lei nelle decisioni e anche nelle scelte semplici. Carlotta e Ruben, sin dall’infanzia, sono stati abitualmente apostrofati dai genitori con parole o frasi del tipo: “sei un imbecille”; “non capisci niente”; “sei un incapace”; “mi fai fare solo brutte figure”; “sei la pecora nera della famiglia”.
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Goa - Magia portami via |
Cristina che soffre di depressione si sente sempre dire, da uno o ambedue i genitori, che deve darsi una mossa, che deve smettere di frignare, che non fa niente, che deve cambiare registro, che deve fare questo o quello.
Ciro è cresciuto in un ambiente anassertivo dove il giudizio positivo degli altri è considerato una necessità assoluta.
Sergio ha una famiglia in cui si ritiene che avere sempre successo è doveroso, che è necessario essere dei vincenti, che l’errore non gli deve appartenere.
Questi sono esempi di casi nei quali il soggetto che subisce tali comportamenti e assunzioni sviluppa credenze di base inerenti a idee del sé e del sé con gli altri improntate ai concetti di incapacità, inabilità, inutilità, di fallimento come persona, di difettosità.
Credenze di base che, a loro volta, favoriscono il formarsi di cognizioni intermedie e derivate che, oltre a confermarle, rinforzarle e irrigidire, determinano comportamenti evitanti che poi diventano abituali e automatizzati.
Si tratta di schemi cognitivi che possono sia attivare emozioni negative e stati d’ansia, sia essere attivati da questi generando il processo circolare della timidezza.
Se ci si sente incapace, inabile o inutile, o persona fallita, i pensieri previsionali automatici e negativi, così come quelli di valutazione, conducono sempre alle stesse conclusioni: l’insuccesso. Tutto a prescindere dalle reali capacità e potenzialità personali.
Così, l’idea di incompetenza radicata e fondamentalmente inconscia produce inibizioni molto potenti.
Messa di fronte a situazioni sociali che attivano questi schemi cognitivi negativi, la persona timida è pervasa dall’emozione della paura e insorge l’ansia.
I pensieri automatici negativi di previsione si risolvono in locuzioni del tipo: “farò una figura di merda”; “mi giudicheranno negativamente”; “rideranno di me”; “andrà a finire male”; “come al solito mi bloccherò e non riuscirò a far nulla”; “tutti si accorgeranno che non valgo niente”; “capiranno che sono una persona incapace”; “sarà l’ennesimo fallimento”; “non sono all’altezza”.
La timidezza si esprime in molte forme; tra queste c’è l’ansia da competenza. Questi tipi di problemi ricevono “sostegno” dai quei valori veicolati dai media che riguardano i concetti sull’essere vincenti, sul successo, sulla competizione.
Nel momento in cui tali concetti acquisiscono valore primario e/o di riferimento culturale nella mente dell’individuo timido che si percepisce incapace, inabile socialmente, di scarso valore, egli vive le relazioni sociali con un senso di inferiorità e/o di inadeguatezza, sentendosi un pesce fuor d’acqua, condannato a vivere una vita priva di affettività e/o sessualità, destinato anche a una vita sociale piuttosto scarna.
I processi cognitivi cui ho poc’anzi accennato innescano la paura e, conseguentemente, i sintomi dell’ansia. Quest’ultima può manifestarsi con effetti inibitori sia in termini fisici (impaccio nei movimenti, sudorazione, rossore nel viso, battito cardiaco accelerato eccetera eccetera), sia in termini mentali (difficoltà di accedere alla memoria, blocco mentale, eccetera).
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