24 novembre 2022



Per inabilità sociale si intende il non sapersi “muovere”, con efficacia, nelle situazioni che comportano il relazionarsi agli altri, ciò, riferito:

  • Al comportamento.
  • Alla comunicazione verbale.
  • Alla organizzazione mentale orientata al problem solving.
Clara woods - autoritratto 


Sebbene l’abilità sociale possa essere favorita da capacità insite nella specie umana, la sua esplicitazione efficace è una “variabile” dipendente da diversi fattori:

  • L’apprendimento diretto o indiretto proveniente delle esperienze umane. 
  • Sistemi e schemi cognitivi riguardanti le definizioni e descrizioni del sé, del sé con gli altri e degli altri. 
  • Sistemi e schemi cognitivi riguardanti i modelli operativi, detto con altre parole, il modo di approcciarsi, mentalmente, alla soluzione di un problema o una situazione.
  • Gli stati umorali ed emotivi attivi nei momenti occorrenti.

Molto potenti sono gli schemi cognitivi disfunzionali sul sé. Questi, non solo hanno non solo inducono all’inibizione, ma favoriscono l’insorgere dei sintomi d’ansia, impediscono l’apprendimento di modelli comportamentali e verbali funzionali alla socialità, non facilitano il ricorso e l’uso di quelle abilità sociali già acquisite. 

L’idea dell’inabilità sociale nasce, fondamentalmente, dagli insuccessi susseguitesi e sommati nel tempo. La reiterazione delle esperienze negative nel relazionamento sociale elicitano le credenze disfunzionali sul sé rafforzandole e radicalizzandole. Alla fine, la persona timida interpreta i propri insuccessi in termini di incapacità personale nel relazionarsi agli altri.

Nel momento in cui un individuo timido si convince di non essere capace o abile a districarsi nella vita sociale, nei rapporti con gli altri, tutti i suoi comportamenti orientati alla socialità sono condizionati dai sintomi dell’ansia, dalla paura del fallimento, dell’essere giudicati male, di restare soli. In questo quadro, i soggetti timidi finiscono con l’assumere o comportamenti evitanti o impacciati o non funzionali alla socialità.


Si tenga presente che perché ci sia un comportamento sono necessarie le funzioni automatiche e/o elaborative del sistema cerebrale, in altre parole, i comportamenti evitanti, impacciati o comunque disfunzionali, sono il risultato di processi che avvengono nel nostro cervello, la gran parte dei quali non pervengono al livello consapevole.

Il pensiero delle persone timide che hanno sviluppato l’idea di inabilità sociale si focalizza sulle proprie presunte inadeguatezze senza dirigersi mai nella ricerca oggettiva di soluzioni. La mente si blocca sull’esistenza di tale problema e, ritenendosi incapace, diviene preda dello sconforto, della demotivazione, dell’idea dell’inutilità di qualsiasi tentativo.

Ritenersi socialmente inabile significa sentirsi condannati a una condizione immutabile che, quindi, non ha sbocchi.

La formazione e la persistenza di cognizioni strutturali disfunzionali, riguardanti il sé e il sé con gli altri, implicano a livelli anche non patologici, la timidezza. Così come anche il mancato o insufficiente apprendimento di modelli di relazionamento sociale, sia comportamentali, sia verbali. 

Il mancato apprendimento di modelli di comunicazione verbale e/o comportamentale limita la persona timida in una efficace socializzazione poiché vengono a mancare gli strumenti sociali di comunicazione.

L’ansia, le emozioni (soprattutto la paura) sono terreno fertile per il pensiero emotivo che poggia su basi ben forti assicurate dalle cognizioni strutturali disfunzionali.

Giacché l’essere vivente persegue il piacere, la non sofferenza, l’insorgere di emozioni negative e dell’ansia favorisce tutti quei comportamenti atti a fermare tali impulsi.

L’idea dell’inabilità induce a pensieri previsionali negativi e, con tali congetture, la tendenza ad evitare esperienze negative la fa da padrona.



29 ottobre 2022


La nostra vita è regolata dalle emozioni che ci segnalano l’esigenza di soddisfare i bisogni necessari alla nostra sopravvivenza fisica o mentale. Queste sono prodotte da processi cerebrali chiamati sistemi motivazionali (o modelli operativi interni, o sistemi emotivi oppure sistemi operativi interni).

Goa - Emozioni celebrali

I sistemi motivazionali sono processi neurali automatici, quindi, non accedono ai livelli coscienti. Sono innati e formati lungo tutta la storia evolutiva del cervello. Quando un bisogno non è soddisfatto il sistema operativo interno di riferimento attivo produce emozioni di sofferenza.

Tra quelli che si attivano nella vita quotidiana di una persona vi sono i sistemi motivazionali dell’attaccamento e del rango.
Nel vivere quotidiano di una persona timida questi due sistemi motivazionali possono determinare grandi sofferenze.

Il sistema operativo interno dell’attaccamento è una derivazione evolutiva di quello della difesa e si attiva già alla nascita. Infatti, “l’attaccamento” ha lo scopo di ottenere cura e protezione. Con il crescere della complessità della vita animale, tale sistema compare con la formazione dell’area limbica del cervello e andava a soddisfare la necessità di fronteggiare l’incapacità di alimentarsi e difendersi del neonato e la sua fragilità.

Il sistema dell’attaccamento si è poi ulteriormente evoluto quando la socialità nelle specie animali si è affermata generando nuove esigenze. Nel corso dell’evoluzione “l’attaccamento” si è sempre più integrato e oggi è attivo per tutta la vita di individuo.

L’uomo sente il bisogno di conforto, sostegno, attenzione e cura da parte delle altre persone e ciò fa sì che si attiva, lungo tutto il corso della vita, il sistema motivazionale dell’attaccamento.

Laddove i bisogni affettivi e/o di appartenenza sociale (o familiare) di un individuo sono insoddisfatti, il sistema dell’attaccamento attiva quelle emozioni di sofferenza che, reiterate nel tempo, partecipano alla formazione del disagio sociale, delle varie forme di timidezza, delle forme depressive e altri disturbi psicologici.

La memorizzazione di tali esperienze emotive di sofferenza conduce alla formazione o rinforzo delle cognizioni di base disfunzionali che tendono a rappresentare il sé come non amabile, incapace, inabile, inferiore agli altri.

Giacché l’uomo è inserito in un contesto di relazioni sociali viene coinvolto anche il sistema del rango che va a intrecciarsi con quello dell’attaccamento.

Il sistema motivazionale del rango (detto anche competitivo) nasce come derivazione evolutiva del più antico sistema predatorio. Anch’esso compare con l’aumentata complessità della socialità nella vita animale.

Questo sistema influenza quei comportamenti finalizzati a definire le gerarchie sociali all’interno di un insieme di individui.

Un ansioso sociale, una persona timida i cui sistemi cognitivi del sé sono improntati alle idee dell’incapacità, della non amabilità, dell’inabilità sociale, vive la personale vita relazionale con la paura della non appartenenza, dell’esclusione, del fallimento. 

In tali condizioni, adotta comportamenti sostanzialmente passivi, timorosi; nel disperato tentativo di essere o sentirsi accettato, cede agli altri i livelli di rango sociale più alti e, percependosi inadeguato, finisce con l’essere perdente nella competizione.

Il soggetto timido, proprio nei domini dell’attaccamento e del rango, accumula la maggior parte della sofferenza per la propria condizione.


 

20 ottobre 2022


Negli anni 80 dello scorso secolo, nel macaco, furono individuati, nella corteccia pre motoria, i cosiddetti neuroni specchio. A metà degli anni 90 si dimostrò la loro esistenza anche nell’uomo.

Per comprendere la loro funzione è necessaria una piccola premessa. 

Angelo Giarmana - ricerca di identità

Il nostro cervello “mappa” (mappa cerebrale) continuamente il corpo e lo fa anche in risposta agli stimoli emotivi. In quest’ultimo caso ciò che viene mappato è una sorta di simulazione dell’emozione. In breve il cervello può simulare determinati stati del corpo come se questi si stessero veramente verificando. Volendo fare una battuta potremmo dire che il cervello è capace anche di creare una fiction nel corpo di cui è parte.

Ebbene, le specchio sono cellule neuronali che hanno la capacità di registrare i comportamenti di altri soggetti e permettono, così, al cervello di creare la loro simulazione. 

La funzione della rete dei neuroni specchio è permettere al cervello di intuire prontamente l’intenzionalità nel comportamento di un altro soggetto.

Questo ci conduce al concetto di sincronia tra stati mentali in relazione tra loro. Detto in altri termini, due persone che entrano in relazione significativa vivono stati sincronici mentali. 

Per fare qualche esempio banale, lo stato di sincronia mentale lo puoi riscontrare se fai caso al fatto che lo stato emotivo di una persona con cui stai interagendo in modo significativo, finisce col condizionare anche il tuo stesso stato mentale. Pensa ai sorrisi che ti mettono di buon umore, alle risate di un amico che fanno ridere anche te, alla tristezza di una persona vicina che rende triste anche te, al particolare rapporto di relazione che si crea tra il neonato e la madre. Sono condizioni di stati mentali sincronici.

Gli stati mentali sincronici e la comprensione dell’intenzionalità dell’altro entrano, a pieno titolo, nella formulazione cognitiva riguardante l’idea di sé e di sé con l’altro. Chiaramente in tutto ciò entrano in gioco anche altri fattori.

Dunque, io formulo un’idea di me in funzione della storia delle mie esperienze relazionali, di come le ho vissute emotivamente, di ciò che queste esperienze hanno prodotto nella mia vita individuale e sociale.

Prima ho parlato di mappe cerebrali. In altri articoli e riferendomi al sé, le ho chiamate “credenze” o “cognizioni del sé”. Sto parlando di modelli interpretativi della realtà che la mente costruisce per permettere il raggiungimento degli scopi.

In realtà, non formulo una idea unica di me, ma una pluralità di idee di me e di me stesso con l’altro. E qui entra in gioco la questione delle identità. Io sono A se mi sto relazionando con Adele, sono B se lo sto facendo con Aldo, sono C se lo faccio con Tizio, sono D se mi sto relazionando con Caio, sono E se sto con tutti loro messi insieme, e così via.

Perché succede? Perché con ciascuna di queste persone con cui ho interagito ho vissuto specifiche esperienze che non sono state le stesse con gli altri, ho provato quella specifica emozione con quella determinata intensità che non ho provato con gli altri, mi sono comportato in quel determinato modo che non si è ripetuto con gli altri, ho vissuto esiti di quell’interazione che non sono stati gli stessi verificatesi con gli altri, perché quella specifica persona ha interagito con me in modo diverso da come gli altri hanno interagito con me. Perché ho percepito me stesso in modo diverso da come mi sono percepito con gli altri. Con ciascuna di queste persone, il mio cervello ha disegnato una mia specifica identità.

Facci caso. Con certe persone sei più sciolto/a, con altre timoroso/a, con altre ancora nervoso/a, con alcune parli senza smettere, con altre non hai nulla da dire.

Tuttavia tutto ciò non significa, né implica, che viviamo in una bolgia confusa di identità. 

Più che altro, abbiamo una identità dominante che si manifesta nella nostra quotidianità e una serie di “variazioni” che s’innestano a seconda delle circostanze relazionali.



13 luglio 2022


La paura della delusione o dell'abbandono è paura della sofferenza che tale evento produce.

Nelle ansie sociali la delusione può essere considerata in vario modo:

  • Il venir meno di aspettative riposte nell’altra/o;
  • Considerarsi colpevole di aver favorito il verificarsi della delusione stessa con il proprio comportamento;
  • Avere una storia di sofferenze nelle relazioni interpersonali;
  • Essere il risultato di idealizzazioni eccessive riguardanti la relazione a cui si aspira;
  • Essere il risultato di propri comportamenti disfunzionali;
Noell S. Oszvald - autoritratto

Sovente si verifica con la fine di una relazione di coppia e, in tal caso, la scottatura produce sentimenti di sconforto, tristezza, senso di abbandono, abbattimento emotivo, avvilimento.

Nelle persone ansiose, l’evento che produce la batosta emotiva può avere ripercussioni in termini di sofferenze psicologiche che possono protrarsi anche per anni quando tale esperienza non viene elaborata e, quindi, superata. 

È proprio quando la delusione relazionale non è elaborata e superata che subentra la paura della delusione come fattore di sofferenze ritenute insormontabili e non sopportabili.

La condizione di sofferenza per delusione e/o abbandono può comportare la formazione di cognizioni disfunzionali riguardanti gli altri: si fa avanti l’idea consistente e, spesso, permanente dell’inaffidabilità dell’altro/a. Tuttavia non sempre è così.

Altrettanto potente è l’azione che può svolgere la memoria emotiva. Quando una sofferenza è memorizzata associando l’esperienza in sé con le emozioni negative vissute, il richiamo della memoria riporta un ricordo in cui l’intensità della sofferenza è fortemente amplificata. 

In queste situazioni l’idea che possa verificarsi il ripetersi di analoghe esperienze conduce a valutazioni previsionali in cui la sofferenza è considerata non sopportabile o portatrice di grave e perdurante danno mentale e/o con la perdita delle capacità di autocontrollo.

Quando l’esperienza della delusione relativa ai rapporti amicali si ripete più volte nel corso del tempo, l’idea dell’inaffidabilità dell’altro si rafforza e radicalizza. In quest’ambito, la sfiducia riposta negli altri finisce col compromettere anche la nascita di nuove amicizie o conoscenze: i comportamenti dell’ansioso diventano sempre più di difesa e chiusura.

La paura è l’emozione principe di tutte le forme di ansia, a essa è sempre connesso il comportamento evitante che esprime l’azione come risposta ai processi cognitivi di valutazione e previsione.

Come ho spesso scritto, nelle ansie sociali, la paura della sofferenza induce a comportamenti evitanti. Ciò implica anche che l’evitamento della sofferenza produce altra sofferenza che si manifesta in termini di solitudine, di scarsa socialità, di condizione permanente di tristezza o infelicità di fondo.

Quando una persona ansiosa ha una storia di ripetute delusioni e/o abbandoni nell’ambito delle relazioni interpersonali, di coppia o amicali, quello evitante può non essere l’unico tipo di comportamento a essere attuato, infatti, in taluni casi, essa tende a manifestare la propria condizione di sofferenza psicologica o emotiva, con comportamenti di irritabilità, scontrosità, aggressività, oppure con atteggiamenti verbali respingenti, di allontanamento dell’altro/a.




30 maggio 2022


Nella timidezza, e in altre forme di ansia sociale, la paura degli altri può coniugarsi anche come timore di giudizi altrui, paura di loro possibili reazioni negative a un proprio comportamento, timore di esclusione e rifiuto sociale.

Arecco Alessandra - angoscia

In questi casi non è da intendersi come paura dell’altro in quanto tale, ma come timore delle conseguenze sociali che possono scaturire dal proprio comportamento che possono comportare nocumento alla qualità della propria vita.

Tuttavia, in alcuni casi l’altro è visto come soggetto pericoloso, inaffidabile, cattivo. Ciò è possibile quando il sistema cognitivo di base ha assunto una visione generale dell’altro e degli altri orientata a tali idee.