30 settembre 2010

Si utilizza spesso il termine “temperamento” come sinonimo di carattere o di personalità, creando confusione tra questi tre aspetti, diversi tra loro, che esprimono le caratteristiche di una persona. Chiariamo dunque le peculiarità di questi tratti dell’individuo. Il carattere esprime l’insieme delle peculiarità proprie d’adattamento ai valori ed alle tradizioni e consuetudini della società, si determina attraverso l’esperienza acquisita durante l’età evolutiva, sia in ambito familiare, sia in quello sociale.
La personalità si può definire come la sintesi tra temperamento e carattere, è frutto dell’interazione tra i fattori innati e quelli appresi.

Le definizioni del temperamento

De Chirico: Grande interiore metafisico
Le definizioni del temperamento sono molteplici e raggruppabili in tre filoni teorici, genetiche, emozionali, comportamentali, comune a tutte le teorie è il ritenere:
  • Che il temperamento abbia una base biologica,
  • Che sia stabile nel tempo ma che modificano le sue espressioni comportamentali in relazione all’ambiente sociale o fisico,
  • Che ci sia un legame diretto tra temperamento e comportamento in relazione alle mutate condizioni ambientali o che sia tale solo nella prima infanzia,
  • Che abbia una forte componente affettiva



Secondo il filone teorico “ereditario”, il temperamento si può definire come un’infrastruttura che raccoglie l’insieme delle inclinazioni affettive e comportamentali che nel corso della vita si evolvono in personalità. in quest’ottica costituisce la base biologica della personalità. Sulla base dello studio longitudinale effettuato ed ancora in corso, Kagan (vedi articolo precedente) ritiene che il patrimonio genetico iniziale non è deterministico ma definisce solo una predisposizione ed i fenotipi sono soggetti al cambiamento in relazione all’esperienza raccolta nel corso del tempo.
Per il filone teorico “comportamentale” è quel sistema che raggruppa l’insieme delle qualità stilistiche e formali del comportamento riguardanti l’affettività, la sensibilità, le risposte agli stimoli ambientali. Si può dire che sia il “come” del comportamento.
Nel filone teorico “emozionale” si definisce il temperamento come quei fenomeni che caratterizzano la natura emozionale di un individuo che coinvolgono la qualità dello stato tipico individuale dell’umore, l’energia o l’attenzione prestate agli stimoli ambientali.
In via del tutto generale, il temperamento è definibile come l’inclinazione a sperimentare e reagire, agli stimoli ambientali, con modalità caratteristiche proprie dell’individuo.

16 settembre 2010

Dallo studio del genoma umano non sono emersi, a tutt’oggi, elementi che lo confermano. Tuttavia vari studi inducono ad ipotizzare che possa esserci un’origine genetica dei disturbi d’ansia, e quindi della timidezza.

Nel 1992 uno studio dello psichiatra Kenneth Kendler, fatto su un campione molto ampio di 3700 gemelli, faceva emergere alcuni dati interessanti. Nei casi di gemelli omozigoti (nati da una cellula fecondata da uno spermatozoo ed aventi identico patrimonio genetico), se uno di loro era ansioso, nel 24% dei casi, lo era anche l’altro; La percentuale scende al 15% nei casi di gemelli di zigotici (nati da due diversi ovuli secondati da due diversi spermatozoi).

Uno studio longitudinale (monitoraggio nel corso degli anni), iniziato nel 1989 diretto dal dr. Jerome Kagan, e tutt’ora in corso, ha studiato il temperamento di bimbi appena nati e ne ha seguito la loro evoluzione sino ad oggi (attualmente hanno 21 anni). L’importanza del lavoro di Kagan è data dal fatto che gli individui presi in esame sono stati osservati durante tutto il loro processo di crescita fisica e comportamentale, dalla nascita alla maggiore età.

Per maggior chiarezza diciamo subito che 

il temperamento è definibile come la tendenza innata nello sperimentare e nel reagire, nei confronti dell’ambiente, in modo tipico, è la base biologica della personalità

ad esempio tratti del temperamento sono, l’inibizione nei confronti del nuovo, la tendenza sociale, l’attenzione prestata verso ciò che ci circonda, l’esprimere le emozioni sia positive sia negative, le attività motorie.

circa il 20% dei bimbi presi in esame, nella ricerca di Kagan, mostravano inibizioni comportamentali, vale a dire che erano molto reattivi; il 40% erano poco reattivi, sembravano privi d’insicurezza; il restante era in condizioni intermedie.

Sono emerse delle tendenze interessanti, i bambini molto reattivi a quattro anni hanno la possibilità di diventare significativamente inibiti ben quattro volte superiore ai bimbi poco reattivi; verso i sette anni la metà di loro presentavano già sintomi d’ansia, mentre tra i bimbi inizialmente “sicuri”, solo il 10% sviluppavano tali sintomi. Questo andamento si riduceva nell’età adolescenziale, solo un terzo dei bimbi molto reattivi mantenevano i tratti ansiosi.

Quanto agli ex ansiosi, questi, accettando il proprio temperamento che avevano ereditato, si erano liberati dei suoi vincoli, pur rimanendo poco disinvolti, se la cavavano bene.

Uno degli adolescenti ex reattivi, raccontava che nel sentir parlare del rischio di attentati all’antrace aveva provato un forte malessere, ma sapendo della sua eredità genetica e riflettendoci su, l’aveva superato.
Una ragazza, ora ventunenne si definiva diligente piuttosto che ansiosa, rispettosa delle regole, nutriva una forte passione per la danza e, in tal campo vi eccelleva.

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3 settembre 2010

Le persone timide per proteggersi dalle situazioni che scatenano in loro ansia e fenomeni fisici, attuano dei comportamenti elusivi, detti anche comportamenti di sicurezza.
per meglio comprendere quest’aspetto faccio alcune brevi premesse:
  • Molti di questi comportamenti in realtà sono processi mentali interni, nel mio libro “addio timidezza” si analizzano questi aspetti in modo approfondito.
  • Il soggetto tende ad utilizzare una pluralità di azioni elusive, che utilizza in relazione al tipo di situazione, al tipo di manifestazioni fisiche e ansiogene che insorgono.
  • Alcune azioni di sicurezza influenzano il comportamento delle persone con cui sono in relazione, accade per una difficoltà interpretativa dell’azione stessa che talvolta confonde l’interlocutore, confermando in questo modo, i timori del soggetto timido che riceve quindi un rinforzo delle credenze specifiche che fanno riferimento a quella data situazione.
  • Altri tipi di questi comportamenti attirano l’attenzione di altre persone, e ciò può provocare uno stato di disagio ulteriore, di vario grado, nell’individuo timido che li ha attuati, e favorire anche in questo caso, un processo di rinforzo delle credenze attinenti.


Appare chiaro, a questo punto, che le azioni svolte per proteggersi dalle situazioni critiche, seppure hanno una temporanea riduzione dei fenomeni ansiogeni, ragione per la quale vengono attuate, finiscono con l’aggravare questi ultimi e confermare quelle convinzioni cognitive che ne sono alla base operando, quindi, un rinforzo delle credenze relative.

Le tattiche protettive che vengono poste in essere, possono riassumersi in quatto principali gruppi di azioni:
  1. L’evitamento che è, possiamo dire, il comportamento principe data la semplicità della sua attuazione. Il soggetto timido agisce in modo preventivo, rinuncia all’azione, evita di farsi coinvolgere o nel trovarsi in quelle circostanze che le sue valutazioni previsionali giudicano pericolose.
  2. L’inibizione che si attua nelle situazioni che, non essendo state evitate, pongono le persone timide, nell’esigenza di avere comunque un atteggiamento di sicurezza. Esse si chiudono nella riservatezza o manifestano comportamenti decisamente inibiti. Il fare scena muta in un gruppo di persone è un esempio rappresentativo di questi tipi di atteggiamenti.
  3. La fuga, che forse più di altre esprime la drammaticità della condizione interiore in cui può versare un soggetto socio-ansioso o timido. Quando la situazione raggiunge un livello di insostenibilità emotiva e/o fisiologica egli abbandona di colpo la scena e scappa.
  4. La fuga in avanti che consiste nell’affrontare, in modo volontario, proprio le situazioni che procurano paura. La scelta di fare del teatro da parte di chi teme l’esposizione in pubblico è un esempio di questo tipo di comportamento.

 Se la quarta tipologia di azioni può anche rivelarsi uno strumento di superamento o agile gestione delle difficoltà che incontra una persona timida, va da sé che le altre tipologia di azioni, non solo accentuano i caratteri e le forme critiche presenti in un socio-ansioso o di un timido, ma procurano anche una decisa caduta di autostima che va ad inserirsi nel circolo vizioso dell’intero processo della patologia.

Ci sono altre azioni di protezione che vengono attuate per far fronte alle difficoltà che si incontrano e possono considerarsi integrative di quelle che ho poc’anzi illustrato e che hanno per lo più lo scopo di mascherare ciò che è visibile agli altri, come l’arrossimento, lo sguardo il viso, la sudorazione, il tremore, l’ansia. Lo si fa ricorrendo all’uso di occhiali da sole, il trucco marcato, far scendere i capelli sul viso, evitare di togliersi la giacca, tenere la braccia raccolte, tenere spesso le mani sulle guance, evitare di guardare gli interlocutori, parlare senza fare pause e in modo veloce, stringere con forza gli oggetti o evitarne la prese per altri, sfregare le mani sui vestiti, tenere le mani nelle tasche, fare uso di alcolici o di droghe e tranquillanti prima di affrontare le circostanze che si temono.

In realtà questi stratagemmi non risolvono la condizione di disagio, per cui finiscono con l’essere solo un’illusione di cui i soggetti stessi, spesso, se ne rendono conto pur continuando ad attuarli come se fossero l’ultima spiaggia.