24 novembre 2010

Presta attenzione a ciò che dici - 1

Un bambino fino a che non supera l’età adolescenziale, pensa da bambino, non da adulto, né è in grado di pensare come adulto, non perché è stupido, ma per il fatto che egli percepisce il mondo, le persone, le azioni, le cose o quanto gli diciamo, in un modo tutto suo. D’altra parte, se potesse pensare e ragionare come gli adulti, non sarebbe più un bambino, ma un adulto.

Tutto ciò che apprende oggi come bambino, tenderà a metterlo in pratica quando non sarà più un bimbo, comprese le convinzioni negative su di sé che si formano ascoltando le tue parole di oggi.

Per un bambino il genitore è punto di riferimento, rappresenta colui o colei che sa tutto, che è saggio, per cui una sua parola diventa verità assoluta.

Se gli dici cose del tipo:

“Tu non sei capace di……”
lascia perdere, quando sarai più grande imparerai
questo non è adatto a te, è difficile
sei un idiota o idiota!
sei un imbecille o imbecille!
sei un cretino o cretino!
Sei uno scostumato
Sei un asino
Sei cattivo
“Sei la pecora nera….”
“Stupido!”
“Non capisci niente”
“Quante volte ti ho detto che…”

Savina Lombardo: disegno a penna
Per un bambino le etichette rappresentano ciò che egli   è   come persona, nella sua interezza, non contestualizza la frase o la parola nella specifica situazione, perché non ha ancora appreso pienamente a collegare le cose nella loro relatività (processo che si completa verso la fine della prima adolescenza, cioè dai 12 ai 14 anni).
Tuo figlio si convincerà di esserlo di natura, di essere nato così e di restare tale per tutta la vita. Queste convinzioni si fissano nel suo io inconscio (sistema cognitivo) e cominciano a manifestare i loro effetti deleteri soprattutto durante la seconda adolescenza (dai 15 anni in poi), quando entrerà nella fase in cui comincia a delineare il suo ruolo e le sua personalità sociale. Queste convinzioni lo fanno sentire inadatto, inferiore agli altri, incapace. Ne conseguono comportamenti di evitamento come il fare scena muta quando è in gruppi di persone, timidezza quando si deve approcciare ad individui dell’altro sesso, quando è chiamato a fare delle performance artistiche, di lavoro o di qualsiasi altro tipo; diventa ansioso ogni qual volta una situazione gli suscita pensieri inerenti le proprie convinzioni negative su se stesso, ha comportamenti passivi nei confronti degli altri. La sua vita da adulto diventa una sofferenza interiore perenne.

Se gli dici cose del tipo:

“Vergognati, hai visto che Tizio ha fatto meglio di te?”
“Lui è più bravo di te”
“Guarda Caio, lui si che va bene”

i confronti con gli altri, vengono interpretati dal bambino, come dimostrazione della sua “diversità” in termini di capacità, di abilità, rispetto agli altri. Si convince di essere inferiore. Già dalla seconda adolescenza (se non prima) sviluppa il timore di confrontarsi ed esprimere proprie opinioni, di prendere iniziative. Potrà avere comportamenti passivi e di evitamento.

Se gli dici cose del tipo:

devi sempre puntare in alto”
da te mi aspetto grandi cose”
“….puoi fare di più”
devi fare meglio”
non deludermi”
non sei stato abbastanza bravo”

Il genitore pensa così di spronarlo, di stimolarlo, in realtà per un bambino queste frasi sono batoste. vengono interpretate come un obbligo alla perfezione per evitare il fallimento. Come ho già detto prima, il bambino assolutizza  i messaggi che gli arrivano, per lui il dato particolare diventa norma generale, per cui il mancato raggiungimento di uno standard richiesto, non è vissuto come incidente di percorso, come episodio, ma come fallimento totale come persona, come catastrofe. Il bimbo comincia ad inseguire la perfezione, l’adolescente e l'adulto dopo, si darà sempre standard elevatissimi e non raggiungibili, e giacché la perfezione non esiste, vivrà in una condizione di frustrazione e disperazione costante. In questi casi sono frequenti sentimenti di terrore e l’insorgenza di stati d’ansia in ogni tipo di situazioni che prevedono delle prestazioni: sessuali, lavorative, esibizioni artistiche o di semplice svago.
 
Se gli dici cose del tipo:

“Se non andrai bene alla interrogazione, farai una bruttissima figura”
“Se sbagli gli altri penseranno che sei scarso”
“Non bisogna mai piangere, sennò gli altri penseranno che sei un tipo debole”
“Che penseranno gli altri se fai questo?”
“Sta attento che gli altri sono pronti a metterti in croce”
“Gli altri sono sempre pronti a giudicarti”
“Se fai così gli altri penseranno che sei un incapace”

Quando dai importanza al giudizio altrui, non fai altro che convincere tuo figlio che il suo valore non dipende dalle sue qualità, che egli non è, né sarà mai, artefice della propria vita, delle proprie fortune o sventure. Il bambino matura la convinzione che il suo valore, le sue qualità, le sue abilità, le sue fortune, la sua immagine, dipendono solo e soltanto dal giudizio altrui. Così si forma un individuo ossessionato dal giudizio esterno, che fa di tutto per non dispiacere gli altri, sviluppa una personalità passiva, succube, sottoposta, che subisce umiliazioni senza reagire, molto ansiosa.

17 novembre 2010

Il mondo dei bimbi 

i bambini capiscono ciò che diciamo loro? Sì e no. Nei primi 18 mesi il bambino attraversa la fase di sviluppo delle attività sensoriali e motorie e non vi è una funzione di pensiero. 

Tra i due e i quattro anni è in una fase preconcettuale e non è ancora in grado di utilizzare i concetti di spazio, tempo, causa ed effetto. Il suo ragionamento non è ancora deduttivo o induttivo, in quest'età il bambino conferisce agli oggetti una vita animata, non riconosce una convenzione umana nei nomi delle cose anzi, egli pensa che sia una proprietà intrinseca dell'oggetto stesso. Pensa che quanto lo circonda sia soggetto alla volontà sua e dell'uomo. A tutto ciò cui non sa dare spiegazione attribuisce significati magici e conferisce agli oggetti e agli avvenimenti, sensi e i significati legati al suo stato emotivo.

Tra i sette e i dieci anni il bambino comincia a pensare in modo induttivo e deduttivo, a ragionare in astratto e a categorizzare, e solo verso i dodici anni che il ragionamento del bambino si avvicina sufficientemente al pensiero maturo. L'età adolescenziale si configura pertanto come punto di passaggio tra una fase di strutturazione, ad una di esercizio compiuto del pensiero.

sistema cognitivo e apprendimento

Gli assunti principali della teoria dell'attaccamento stabiliscono che ogni essere umano, da quando nasce fino alla morte, ha bisogno:

  • di avere la certezza di essere accettato;
  • di avere la certezza di essere nutrito sul piano fisico;
  • di avere la certezza di essere sorretto sul piano emotivo;
  • di avere la certezza di essere confortato se è triste;
  • di avere la certezza di essere rassicurato se è spaventato.

Per un bambino questi bisogni sono assolutamente essenziali. Dal modo con cui le persone che lo accudiscono (in genere i genitori) rispondono alle sue richieste di conforto e cura, la sua mente crea degli schemi di memoria che costituiscono l'interpretazione del mondo, delle cose, di se e degli altri; pertanto la sua percezione di ciò che è esterno a se e di se stesso, sarà veicolato da tali schemi di memoria.
Questo processo inizia sin dalla nascita, e per alcuni ricercatori, anche durante l'ultima fase di gestazione. Si ritiene che verso i quattro anni di età, un bimbo abbia già formato un insieme strutturato di schemi di memoria (dette anche credenze). Quest'insieme costituisce il sistema cognitivo di base, che sarà punto di riferimento di ogni suo comportamento, di valutazione e di previsione; in base a questi, egli adotterà le azioni necessarie al raggiungimento dei suoi scopi.

i tre stili genitoriali

il comportamento dei genitori, incide in modo significativo sulla formazione del sistema cognitivo e della personalità del bambino, soprattutto nel periodo che va dalla nascita all'età adolescenziale; l'eventuale comparsa di stati ansiosi nell’adolescente sono spesso originati da comportamenti  inappropriati dei genitori.
Esistono tre stili di comportamento genitoriale:

Lo stile genitoriale permissivo: è caratterizzato da un'assenza di regole per il bambino e da una scarsa disponibilità e risposte alle sue istanze. questo modello comportamentale determina, nel bambino, la convinzione di non essere accettabile, degno di attenzione e affetto, non desiderabile, si sentono trascurati e non amati.

Lo stile genitoriale autoritario: è caratterizzato dall'atteggiamento duro e intransigente nei confronti del bimbo che deve attenersi, pedissequamente e senza contestazione, a regole e costumanze che gli vengono dettate. Parliamo dei genitori che esigono perfezione, disciplina, ubbidienza, comportamenti formali precisi e che mal sopportano vizi e capricci, finendo con l'essere insensibili e indifferenti ai bisogni del figlio. Questo stile porta il bimbo a considerarsi di scarso valore, insicuro, inidoneo, dotato di scarse capacità, e con forti sentimenti di inferiorità.

Lo stile genitoriale autorevole: è uno stile che permette di stabilire regole che vengono applicate con determinazione, ma non con uno stile impositivo. Questo tipo di genitore è attento alle esigenze e alle istanze del figlio, si pone come guida decisa, autorevole e democratica; predilige il dialogo all'imposizione, è disponibile a modificare le regole quando ciò si rende utile o necessario.

11 novembre 2010

Bernard Pothastgi: la madre premurosa
Come nasce la timidezza? Una teoria interessante che può aiutarci a comprendere le possibili cause della timidezza è la teoria dell’attaccamento. Il sistema di attaccamento è un insieme di comportamenti tesi a regolare il rapporto tra il bambino e la persona che se ne prende cura, chiamata caregiver (che in genere coincide con la figura genitoriale). L’attaccamento è innato e si attiva quando il bambino avverte il bisogno di assistenza o di protezione. Secondo i sostenitori di questa teoria, l’attaccamento è attivo
soprattutto nei primi tre anni di vita, nel periodo in cui il bambino è totalmente dipendente data la sua non autosufficienza.

Il principio di base è che il bambino genera dei luoghi di memoria che sono copioni di comportamento, attraverso i quali si relaziona con la figura dell’attaccamento (caregiver). Già dai primi mesi di vita, secondo alcuni ricercatori, il neonato genera delle attese nei confronti del caregiver e dal modo in cui il genitore risponde alle sue richieste di assistenza e cura, il bimbo sviluppa delle credenze sia su se stesso sia sul caregiver. L’insieme delle aspettative, delle credenze e dei comportamenti sono chiamati Modelli Operativi Interni (MOI).

Entro la fine del primo anno, il modo in cui il caregiver risponde alle aspettative del bambino determinano in lui lo stile di attaccamento chiamato pattern. Sono stati delineati quattro diversi pattern: il sicuro, l’ansioso evitante, l’ansioso ambivalente ed il pattern disorganizzato.

Nel pattern sicuro i MOI descrivono un bambino che ha sviluppato una credenza di sé come amabile e accettato ed il caregiver come figura disponibile, che risponde alle aspettative in modo positivo.

Nel pattern ansioso evitante, abbiamo un bambino che percepisce se stesso come non amabile, incapace di suscitare comportamenti affettuosi e vede il caregiver come non disponibile, distante, ostile.

Il quadro del bimbo con pattern ansioso ambivalente è più complesso, in quanto si sovrappongono o si alternano il modo ansioso evitante e quello sicuro, in questo caso il bambino, che ha dei genitori dai comportamenti instabili o incostanti, sviluppa una sostanziale confusione; non essendo in grado di avere credenze ben delineate si comporta in modo variabile.

Il pattern disorganizzato descrive un bambino dai molteplici modelli operativi, percepisce sia se stesso sia il caregiver, come soggetti da “controllare” in modo reciproco.

Per quanto riguarda gli adulti, gli studi di altri teorici hanno portato a delineare una diversa tipologia di pattern di attaccamento, lasciando intendere che tali stili si modificano nel corso degli anni anche se in modo non radicale. sono stati descritti quattro tipi: il pattern sicuro, il pattern preoccupato, il pattern timoroso ed il pattern distaccato-svalutante.

Nel pattern sicuro abbiamo una persona a proprio agio con se stesso e percepisce positivamente gli altri.
Nel pattern preoccupato si delinea uno stato di preoccupazione nelle relazioni con gli altri.
Il pattern timoroso è caratterizzato da una condizione di timore nell’intimità e dall’evitamento sociale, descrive una valutazione di sé svalutata mentre la credenza degli altri è orientata ad una visione di dipendenza e a rischio di accettazione.
Il pattern distaccato-svalutante esprime il rifiuto dell’intimità e della dipendenza.

4 novembre 2010

Trattelli - Condizione Umana
Oggi ti presento un test con il quale potrai avere una indicazione di massima sul tuo livello di timidezza, ma ti consiglio di non dare ad esso un valore assoluto o specifico. Nei precedenti articoli ho indicato i principali sintomi, e la situazioni critiche nelle quali si manifesta la timidezza, prendi in considerazione anche quegli elementi. Seleziona le affermazioni che ti corrispondono.

O  Non ami parlare in pubblico.
O  Hai difficoltà a parlare con persone sconosciute.
O  Eviti di guardare le persone negli occhi.
O  Odi usare i bagni pubblici.
O  Non ami fare shopping da solo/a.
O  Provi tensione emotiva quando ti presentano a qualcuno che non conosci.
O  Non sai che dire quando sei insieme a un gruppo di persone che discutono.
O  Hai difficoltà a parlare con persone dell’altro sesso.
O  Non sopporti quando ti prendono in giro.
O  Odi rispondere al citofono.
O  Non sopporti le persone che ti guardano continuamente.
O  Diventi nervoso/a nelle conversazioni faccia a faccia.
O  Non ti piace chiedere aiuto.
O  Non ti riesce agevole leggere ad alta voce.
O  Non ti piace rispondere a domande che ti vengono poste.
O  Ti imbarazza ordinare al ristorante.
O  Alle feste se non conosci tutti molto bene, non ti senti a tuo agio.
O  In certe occasioni eviti di parlare perché hai paura di esprimere opinioni       inadeguate.
O  Vorresti essere più estroverso/a.
O  Non ti piace stare al centro delle stanze.
O  Reagire ai complimenti minimizzando.
O  Preferisci leggere, scrivere o ascoltare la musica anziché stare in un gruppo
 numeroso.
O  Arrossisci facilmente.
O  Trascorri molto tempo nella tua stanza.
O  Non ami parlare di cose personali.

Somma tutte le x e moltiplica per 4: avrai la tua percentuale di timidezza