22 dicembre 2010


Che fare con i bimbi timidi? 1

La causa principale della timidezza è l’ambiente familiare ma può anche avere una concausa genetica.
Un bambino che nasce ansioso e cresce in un ambiente familiare assertivo, riesce a superare l’handicap iniziale, così come un bambino che nasce non ansioso ma che cresce in un ambiente non confacente ai suoi bisogni emotivi, sviluppa processi ansiosi.
Ma come si può intervenire quando il bambino è timido?

Ara Pacis: bimbo di famiglia imperiale 
L’accettazione: il bambino ha bisogno di avvertire uno spirito solidale intorno a sé. Accettatelo per quello che è senza riserve, egli non deve essere l’oggetto delle personali ambizioni, sogni e desideri del genitore. Non si può nemmeno pretendere che si comporti come se fosse un adulto. Bisogna sempre fargli capire che gli si vuole bene a prescindere.

Il disagio va compreso: innanzi tutto va evitata l’ironia e la presa in giro; non vanno sottolineati, anche se in modo scherzoso, gli elementi che caratterizzano la sua timidezza, i disagi, le ansie e le preoccupazioni. Un problema, che per un adulto, è banale o insussistente, per un bambino assume grande importanza, cercare di risolvere la questio con frasi del tipo “è una cosa da niente”, “è una sciocchezza”, serve solo a farlo sentire solo e incompreso, egli ha bisogno di essere rassicurato, aiutato, di avvertire il sostegno dei genitori e la loro comprensione.

Non dire in sua presenza che è timido: quando un bambino sente affermare dai genitori o da altre persone adulte che è timido, si convince che quello è il suo carattere e che tale resterà, ne assume la condizione come caratteristica stabile e di riconoscimento della sua persona, ne ripete i comportamenti in modo sistematico, può anche accadere che ritenendosi timido non faccia più alcun sforzo di socializzazione, utilizzando il suo ritenersi timido come alibi per evitare le situazioni ostiche, non solo, sa che quello è il giudizio che gli altri (e soprattutto i genitori) gli danno, chi ha letto il mio e-book “addio timidezza”, sa quanto incide negativamente, nelle persone timide, l’idea del giudizio altrui. La parola “timido” va bandita dal vocabolario di un genitore. 
Queste conseguenze sono ancora più gravi se si pensa che la timidezza infantile può anche essere solo temporanea e scomparire del tutto nel giro di qualche anno o con l’adolescenza. Spesso accade anche che si confonde la naturale e normale ritrosia del bambino, nei confronti degli sconosciuti, come segno di timidezza. Se a dire, in presenza del bambino, che è timido non è il genitore, ma un parente o un estraneo, bisogna intervenire negando con fermezza l’affermazione correggendola con frasi del tipo “no, è solo che ci mette un po’ a scaldarsi”, “non è vero, te ne accorgerai quando si scatena”, “no, è prudente”, “no, è sensibile”. Va evitato anche l’uso di sinonimie, tipo “è molto tranquillo”, “è remissivo”, “ha un carattere chiuso”.

Non forzare: questo è un errore frequente da parte dei genitori. Il bambino non va mai forzato a vivere situazioni per le quali non si sente pronto, né bisogna mai buttarlo nella mischia. Da evitare assolutamente è il volerlo porre al centro dell’attenzione, ponendolo come protagonista di performance di vario genere.

Incoraggiare la socializzazione: buona cosa è favorire dei momenti in cui il bambino si incontri con altri bimbi, anche organizzando delle feste ad hoc. Naturalmente, giacché ci riferiamo a fanciulli timidi, ci vuole gradualità; si può cominciare con un solo amichetto, e poi pian piano, quando si avverte che è pronto, si prova con due o tre bambini. Un altro elemento da tenere in considerazione è la scelta di bambini da affiancargli, è bene che abbiano un'età non superiore perché ciò potrebbe metterlo in difficoltà o in una condizione di sudditanza, che siano amichetti caratterialmente non aggressivi, in breve tranquilli compagni di gioco.

15 dicembre 2010


Quale approccio? – 2

Oggi continuerò col parlare di forme d’approccio da evitare o gestire con cautela e attenzione.
Evitare di sostituirsi ai figli: a volte la fretta o l'idea che il proprio figlio sia impacciato, spinge il genitore a sostituirsi a lui nell'operare delle scelte o nell’esecuzione di compiti di vario genere, o peggio ancora si accompagna il proprio intervento con frasi che trasmettono messaggi di inabilità. Questi tipi di atteggiamenti finiscono con l'essere interpretati come dimostrazione di una presunta incapacità, il bimbo acquisisce insicurezza e può cominciare a comportarsi come se fosse inabile nello svolgere determinate attività.
Quando non è il bambino a chiedere soccorso nelle sue attività e bene lasciarlo fare; in questo modo egli acquisisce autonomia operativa e vive le proprie esperienze senza coinvolgimenti emotivi negativi riguardanti la sua persona.

Pietro gaudenzi: maternità 2
Autorizzare l'errore: il bambino va educato ad accettare e gestire gli insuccessi; va aiutato a comprendere che gli errori sono possibili e che non per questo diminuisce il proprio valore. In queste situazioni è molto utile raccontargli episodi in cui noi stessi abbiamo commesso degli errori, talvolta si può anche ricorrere a sbagliare volutamente e mostrargli come gestire tali situazioni, in questi casi il genitore viene percepito come un modello da imitare. I rimproveri, soprattutto se accompagnati con frasi veicolanti messaggi di incapacità, procurano sentimenti di umiliazione e di inadeguatezza. Molto meglio spiegare il senso dell'errore e le possibili conseguenze con l'apporto di esempi chiarificatori, senza però ricorrere a frasi che rimandano a sensi di colpa.

Evitare la pedagogia nera: con questa terminologia la dr. Alice Miller definiva le punizioni estreme come ad esempio, quelle corporali o come il chiudere il bambino in luoghi bui o nudi in spazi esterni. Questi comportamenti hanno ripercussioni gravi anche in età adulta; i soggetti che subiscono queste forme di punizione sviluppano comportamenti depressivi o autoritari, tendono a ripetere le stesse azioni subite anche in età adulta e nei confronti della propria prole o dei partner; i bambini possono anche assumere atteggiamenti che riflettono l’immagine di sé, così come viene da loro percepita per mezzo dei comportamenti genitoriali, ad esempio se il messaggio percepito e quello di essere capriccioso, si comporta in tal modo, ciò perché egli ritiene che quella sia la sua identità. Ha molto più senso una punizione che indirizza la sua azione vietando l'uso o azioni che al bimbo piacciono molto, ad esempio l'uso delle PlayStation, del computer, della tv; il bambino è perfettamente in grado di valutare vantaggi e svantaggi, per cui se valuta che un suo comportamento implica un costo alto, penserà bene su quale sia l'atteggiamento più conveniente; in questi casi bisogna anche tener presente che il bimbo deve essere avvertito delle conseguenze cui va incontro in seguito ad un suo comportamento ritenuto sbagliato.

Non infondere sensi di colpa: un comportamento frequente è quello di far leva sul senso di colpa, in questo modo, in realtà, il bambino costruisce un'immagine di sé come di un soggetto negativo, non amabile, non meritevole di attenzione e cura. Si tenga sempre presente che il bambino tende a far coincidere il particolare con il generale, e che nel momento in cui si convince che la sua identità è caratterizzata negativamente, ne assume i comportamenti rispondenti a tale immagine, sviluppando così miti e disfunzioni cognitivi.

Non parlare in "adultese": spesso si parla ai bambini discorsi in un linguaggio che non possono comprendere, o gli si esprimono principi che appartengono al mondo adulto che non sono in grado di comprendere; gli si parla di impegno, di responsabilità, di sacrificio, di dovere, e quant'altro. Questi tipi di atteggiamenti genitoriali non tengono conto che si ha di fronte un bambino che percepisce il mondo, le cose, gli eventi, in una modalità totalmente diversa da quella adulta e che i concetti astratti sono molto lontani dalla loro capacità di comprensione.

Diamogli la possibilità di fare esperienze: comportamenti protettivi o apprensivi costituiscono una deviazione dell'apprendimento e la formazione convinzioni sulla propria persona in senso negativo. Dall’apprensività dei genitori il bambino apprende i comportamenti ansiosi e li assorbe; dagli atteggiamenti protettivi, il bimbo trae un’immagine di sé come di un soggetto inadeguato e debole. Questi comportamenti genitoriali privano il bambino di modalità di apprendimento che lo rendono indipendente e auto determinante, oltre a generare il manifestarsi di stati ansiosi e carenze comportamentali nelle relazioni sociali.

9 dicembre 2010

Quale approccio? - 1

Ma come bisogna comportarsi con i bambini? Cerchiamo di delineare alcune linee guida per potersi orientare nel difficile ruolo del genitore. Prima, però, desidero ricordare alcuni assiomi:
  • Il linguaggio degli adulti non è il linguaggio dei bambini;
  • Il modo di ragionare degli adulti non è il modo di ragionare dei bambini;
  • Il mondo degli adulti non è il mondo dei bambini;
  • La percezione degli adulti non è la percezione dei bambini;
  • I significati degli adulti non sono i significati dei bambini;
  • Anche i bambini sono persone, rispettiamoli come tali;
  • Le conseguenze dei comportamenti genitoriali, spesso emergono a posteriori o durante l’adolescenza;

Pietro Ggaudenzi: maternità

Rispettare la sua intimità: anche i bambini hanno una loro intimità, è il campo dove risiedono quelle paure non comprese dagli altri, le loro difficoltà, i loro problemi di relazione, di salute, quelli che per gli altri (genitori soprattutto) sono difetti, inabilità, elementi di diversità. Sono i loro punti deboli, perché dall’esterno non sono compresi, accettati, visti come fattori negativi, come fragilità.
In queste cose si sentono deboli e indifesi, esposti all’ignominia, al rifiuto, al pubblico dileggio. é importante evitare, in sua presenza, di parlare con altre persone, anche se familiari, dei suoi problemi di qualsiasi natura. egli vive quelle situazioni con un intenso senso di vergogna o di umiliazione.

Attenzione con le critiche: Essere eccessivamente critici, ridicolizzarli, umiliarli, soprattutto in presenza di altre persone (familiari e non), significa spingerli a sentirsi inferiori agli altri, inabili, sbagliati. Bisogna tener sempre presente che i bambini traducono il particolare in una legge generale, una critica fatta su un loro comportamento specifico, viene interpretata come una inabilità, una caratteristica strutturale della propria persona nel suo complesso. È bene che il richiamo sia fatto con parole e frasi che si riferiscono al particolare e non inglobano di per sé la persona, ad esempio si eviti l’uso di termini come cretino, stupido, idiota ecc. Il bimbo non è questo o quello, ma ha fatto questa o quella azione.

Attenzione a paragoni e aspettative : Molti genitori spingono i figli alla competizione, a volte consapevolmente, a volte involontariamente. Questi modi di fare, ottengono risultati ben diversi da quelli sperati o perseguiti dai genitori. Ricordiamoci sempre di avere a che fare con dei bambini e non con individui adulti. Se un bambino viene paragonato ad un altro indicato come esempio, vengono generati sentimenti di incapacità, inabilità, di inferiorità, di esclusione; egli si convince di essere esattamente ciò che esprimono i sentimenti che prova, si sentirà e si considererà un diverso. Se si addestra un bimbo ad avere una mentalità competitiva, insegnandogli che l’importante è l’avere successo, essere il migliore, essere vincenti, si ha come risultato un bambino che si convincerà anche che, stima, apprezzamenti, amore, rispetto, si ottengono solo avendo ottimi risultati, egli si vota alla perfezione; ogni insuccesso viene vissuto come una discesa agli inferi, la perdita del diritto all’amore, il non meritare rispetto, il fallimento come persona e come agente, l’essere un debole, un incapace. In breve il proprio valore non dipende da ciò che si è come persona, ma dal successo che si riesce ad ottenere.
Quando un bambino avverte di non riuscire a soddisfare le aspettative riposte in lui, sviluppa la paura di essere giudicato male e tende ad evitare ogni confronto sociale in cui ritiene di essere a rischio, diventa ansioso.
Un altro rischio è che possa diventare un soggetto passivo o sottomesso, per evitare di uscire perdente dai confronti.

Evitare le etichette: Quando diciamo ad un bambino che è questo o quello, egli si convince di esserlo, non solo, prima o poi comincia anche ad assumere quei comportamenti caratteristici che hanno generato quella etichetta. Se gli diciamo che è timido, si convince di esserlo, e ritenendosi tale, si comporta da timido perché quel comportamento esprime la sua identità. I bambini, pur nel loro modo di intendere le cose, prendono molto sul serio ciò che dicono i “grandi”, soprattutto i genitori che sono per loro, l’esempio da cui apprendere. Se diciamo ad un bimbo “stupido”, “cretino”, “sei cattivo”, “sciocco”, ecc, gli abbiamo appiccicato un’etichetta e lui la considererà la propria identità.


1 dicembre 2010

Presta attenzione a ciò che dici - 2

Oggi continuerò ancora in questo viaggio nelle frasi abituali che producono danni cognitivi ai bambini. Do molta importanza a ciò, perché conosco una gran quantità di vittime di questi comportamenti che oggi, da adulti, ne pagano pesantemente le conseguenze. Purtroppo assisto ancora abbondantemente a questi modi genitoriali di relazionarsi con i propri figli, spesso umiliati, incompresi, repressi, talvolta anche molto oltre il limite della decenza.


Se gli dici cose del tipo:

un giorno di questi, mi farai morire dal dispiacere”
con tutti i sacrifici che facciamo per te, è così che ci ringrazi?”
ci aspettavamo dei buoni voti e invece guarda che fai”
dopo tutto quello che abbiamo fatto per te, ci dai sempre una delusione, vuoi farci star male?”


Il genitore pensa di indurre il figlio a cambiare, pensa di responsabilizzarlo.
In realtà producendo nel bimbo il senso di colpa, non fa altro che instillare nella sua mente inconscia la convinzione di essere un individuo indegno, non meritevole di stima e di affetto. un bambino identifica il genitore come l ’”altro da sé”, cioè tutti gli altri, il mondo esterno alla sua persona. Se egli si sente indegno di affetto e apprezzamento, si sentirà tale nei confronti di tutti gli altri.
Queste convinzioni si fissano negli schemi di memoria del sistema cognitivo, condizionando in modo sistemico, la sua vita da adulto. Già verso la fine della prima adolescenza potrà cominciare a manifestare timidezza, passività, depressione, subalternità nei confronti altrui, incapacità nel far valere i propri diritti o la convinzione di non averne. Se un bambino ha già predisposizione all’ansia, questi sintomi possono manifestarsi anche in età infantile.


Se gli dici cose del tipo:

te lo dico per il tuo bene, per assicurarti un futuro”
lo faccio per il tuo bene, per il tuo futuro”
la vita è fatta di sacrifici, se vuoi avere qualcosa dalla vita te la devi guadagnare con l’impegno, lottando”
hai il dovere di impegnarti a scuola, i giochi e gli amici sono meno importanti, possono anche aspettare”

Magari gli si chiede se ha capito e lui risponderà di si, solo che lui ha si capito, ma nel modo dei bambini, non certo nel senso che intendono gli adulti.
Un bambino interpreta queste frasi nel senso che le cose che gli piacciono sono cattive, che non gli è concesso di farle oppure che non le merita, e giacché gli piace giocare, si convincerà di valere poco perché il genitore non lo considera importante.
I bambini non hanno una vera cognizione del futuro, è qualcosa di troppo astratto per la loro mente che non ha ancora sviluppato, in senso compiuto, la percezione del tempo, anche il concetto di sacrificio è qualcosa di alieno per la loro mente. In generale tutti i concetti astratti sono per loro incomprensibili nei termini che intendono gli adulti.
Con questi tipi di frasi, il bimbo percepisce solo, e genericamente, che da lui ci si aspetta molto. Quando si sente dire sovente queste cose sviluppa fenomeni come ad esempio l’ansia da prestazione, e già questa da sola gli procurerà da adulto molti problemi.


Se gli dici cose del tipo:

“Ti ho detto un sacco di volte che questo non lo devi fare, che puoi farti male”
sta sempre vicino a mamma (o papà) che ti puoi perdere”
sta sempre vicino a me, che puoi andare sotto un’auto”
smettila di correre (o giocare a pallone) che sudi e ti ammali”
non giocare con quelli là, che possono farti male”
queste cose da solo non le devi fare, se non c’è mamma o papà”
devi fare solo quello che ti dice mamma o papà”

Una delle maggiori cause dell’insorgenza dell’insicurezza, della timidezza, dell’ansia provengono da genitori apprensivi o ansiosi. Un bambino deve poter sperimentare esperienze da solo per poter acquisire una precisa cognizione dei rischi e delle opportunità offerte dalla vita. Un bimbo frenato diventa un adulto con molte carenze comportamentali, timido, insicuro, ansioso, imbranato.
Questi tipi di frasi danno al bambino la percezione di essere debole e incapace e si convince di ciò. può sviluppare l’idea che la sua sicurezza dipende solo dagli altri ma non da se stesso.
Un genitore deve essere una presenza protettiva ma non invadente, rispetto ai rischi, deve coinvolgere il figlio in modo attivo senza trasmettergli la sensazione di essere fragile.


Se gli dici cose del tipo:

un uomo vero non piange mai”
non piangere, che non serve a niente”
smettila di aver paura, che non c’è motivo”
solo i deboli piangono”
ma insomma è mai possibile che ti spaventi ancora per queste cose, alla tua età?”
non arrabbiarti che è stupido”
non essere triste, i bambini non lo sono mai”

Un bambino ha bisogno di comprendere e apprendere le emozioni che prova, ha bisogno di scoprire come gli altri vivono le emozioni e come interpretano le sue; sente anche il bisogno di conforto e che si mostri interesse per la sua condizione emotiva. Queste emozioni non vanno interpretate per “supposizione”, con i bimbi bisogna dialogare ed essere solidali.
se non ricevono partecipazione, non imparano a definire e a dare senso alle loro emozioni, sensazioni e percezioni, restano esperienze sconosciute, non comprensibili, a cui non sanno dare risposte. Le conseguenze di questo mancato apprendimento si riversa anche nelle relazioni interpersonali, non comprendendo i sentimenti degli altri, non riescono a rispondere in modo adeguato alle emozioni altrui, finendo con l’essere rifiutati o isolati dal gruppo di cui fanno parte.
Se gli si trasmette il messaggio emozione = debolezza, egli le vivrà con un livello di conflittualità interiore drammatico, ritenendo di non poter contare sugli altri, non le esprime per vergogna, per non essere emarginato o non essere mal giudicato.
Non riuscire ad esprimere le proprie emozioni significa non riuscire a comunicare in modo adeguato con gli altri, e ad avere comportamenti non assertivi.