28 febbraio 2011

Il sistema cognitivo, e dunque le credenze, producono previsioni: questo sistema di schemi è tale da far sì che, a fronte di determinate caratteristiche riscontrabili in una data situazione, sia possibile un'associazione di queste con altre caratteristiche presenti in esperienze trascorse. Questa peculiarità permette all'individuo la disponibilità di più elementi di conoscenza, anche se solo ipotetici, che lo pongono nella condizione di non doversi affidare esclusivamente ai soli dati provenienti dalla percettività.

Giacché una persona può conoscere esclusivamente ciò che è già presente come schema nel sistema cognitivo, può accadere che certe informazioni provenienti dall'esterno, possano non essere prese in considerazione, cioè non elaborate, in quanto il sistema cognitivo è sprovvisto di quegli schemi di conoscenza che possono permetterne l'interpretazione.
Il fine delle previsioni è di mettere l'individuo in condizione di poter decidere i comportamenti più opportuni per centrare i propri scopi o in alternativa, scegliere gli obiettivi che, secondo l’autovalutazione di sé e delle proprie capacità nel perseguirli, appaiono più raggiungibili. Sia la scelta degli obiettivi, sia l'esito nel loro perseguimento, producono nell'uomo delle reazioni che chiamiamo emozioni.

S. Dalì - uomo con la testa piena di nuvole
Schachter e Singer (1962) definivano le emozioni come " il risultato dell’elaborazione concettuale di stati d’attivazione fisiologica per il quale il soggetto non ha un’immediata spiegazione". Possiamo dire che le emozioni sono il prodotto del processo di valutazione cognitiva, un insieme di fenomeni racchiusi tra l'evento scatenante è il comportamento che ne consegue. Giacché, sia la valutazione cognitiva sia il comportamento, prefigurano un’attività di pensiero, la comprensione delle emozioni passa attraverso l'individuazione dei pensieri che le hanno precedute. Esse ci informano sulla previsione di successo o fallimento, e su come le cose stanno andando nei fatti.

Tuttavia le emozioni sono collegate direttamente agli scopi e solo in modo indiretto alle previsioni, infatti, come ho già detto, le previsioni operano in funzione degli obiettivi che rappresentano il fattore centrale che giustifica il senso e l'esistenza stessa del sistema cognitivo; è la previsione del fallimento del proprio obiettivo, che rende visibile o apparente l'errore della previsione stessa, e la scoperta dello sbaglio provoca un'emozione negativa; al contrario, la previsione del successo rende visibile il risultato positivo della predizione, e quindi si ha un'emozione positiva.
L'emozione, più che esprimere la positività o negatività della previsione, manifesta il perseguimento o meno dello scopo in termini di maggior padronanza dell'ambiente.

Il sistema cognitivo non ha tanto l'obiettivo di verificare l'esattezza delle proprie previsioni, quanto quello di raggiungere i propri scopi, perché questi sorreggono i motivi di base che spinge l'individuo in direzione della propria sussistenza psichica e fisica. Lo scopo, pertanto, ha senso finché c'è una credenza che considera in modo positivo il perseguimento dell'oggetto insito nello scopo stesso: senza obiettivi la vita umana, come quella animale, non avrebbe possibilità di esistere.
Il raggiungimento dell'obiettivo comporta la necessità che il sistema cognitivo possa adeguare con continuità l'insieme delle proprie credenze in modo che queste siano rispondenti il più possibile alla realtà perché ciò permette una maggiore efficacia per il soddisfacimento degli scopi.

24 febbraio 2011

Nella prima parte ho provato a sgombrare il campo da opinioni generalizzanti tendenti a trasformare idee e pensieri delle persone timide, ansiose in generale, in teorie e pareri dai contenuti fuori dalla logica, o viziata dalla condizione psicologica, a prescindere dai contenuti, dalle forme, dal campo della conoscenza, dalle circostanze: nulla di più falso.
Luca Alinari - dubitare dei sensi
In quell'occasione ho specificato che nei soggetti timidi, pensieri e convinzioni influenzati dalla condizione ansiosa, sono strettamente legati alle sole credenze coinvolte e chiamate in causa dalla situazione ansiogena, mentre tutti gli altri meccanismi di pensiero sono scevri da condizionamenti psicologici legati alla timidezza.
Come ho scritto nel mio libro "Addio timidezza", i pensieri figli della condizione ansiosa, sono emanazione delle credenze insite nel sistema cognitivo.

 Ma come nascono queste idee?

In questo secondo articolo e in quello successivo, cercherò di rispondere a tale domanda.
Secondo le teorie cognitive, per soddisfare necessità e bisogni, far fronte ai propri obiettivi e interagire con l’ambiente, l'uomo, sin dalla nascita, costruisce un sistema di conoscenza che riguarda se stesso, gli altri, il mondo e le cose intorno a sé. Queste conoscenze hanno lo scopo di informarlo su se stesso e su tutto l'altro esterno a sé, di porsi delle aspettative, di prevedere gli eventi e le loro conseguenze, in modo da poter determinare comportamenti adeguati a soddisfare i propri obiettivi.

Ciascun individuo la costruisce attraverso l'apprendimento che avviene in modo variegato: per mezzo dei sensi, le esperienze dirette o indirette, i comportamenti provenienti dagli altri, per similitudine, analogia, attraverso i modi della percezione, delle emozioni, la verbalità, per trasmissione.
Questa conoscenza è organizzata gerarchicamente in strutture chiamate schemi: sono configurazioni articolate e adattabili di conoscenza generale riguardante il sé e il mondo esterno a sé, non sono rappresentazioni esatte di eventi e situazioni particolari o della realtà oggettiva.
Questi schemi essendo al servizio degli scopi, anch'essi gerarchicamente organizzati, e formandosi sulla base delle esperienze individuali, si presentano come strutture soggettive, anche se parte di esse, afferenti a situazioni socialmente diffuse, sono costruite in modo analogo.

L'individuo conosce solo ciò che è già rappresentato come schema nel sistema cognitivo, quindi solo quanto è patrimonio della sua esperienza e dell’apprendimento, il che implica una limitazione della conoscenza; d'altra parte, se conoscessimo tutto quello che non giunge a noi, direttamente o indirettamente, non avremmo bisogno di schemi e saremmo onniscienti, probabilmente sin dalla nascita.

Gli schemi sono alla base sia della gerarchia degli scopi, sia delle scelte delle strategie disponibili per il raggiungimento degli scopi. Occorre qui ricordare che lo scopo è l'elemento motivazionale dell'uomo, esso è tale in quanto esiste una credenza che valuta positivamente il perseguimento di ciò che è oggetto dello scopo.
Gli schemi hanno una gerarchia che pone alla base, quelli che rappresentano oggetti, per risalire verso quelli che rappresentano azioni specifiche, fino a quelli oggetto dell'astrazione.
Gli schemi rappresentativi di azioni e astrazioni sono detti anche credenze.

Le credenze sono suddivisibili in tre classi:
  • Le regolatrici che sovrintendono al comportamento sociale.
  • Le condizionali che afferiscono ai modi del comportamento, riguardano cioè, le conseguenze e le forme dell'esecuzione del comportamento.
  • Le negative, assolute, non condizionali, che riguardano se stessi.

Esse sono convinzioni basilari di ogni persona che le considera verità assolute ed essenziali, punti di riferimento, grazie ai quali ogni azione, pensiero e situazione, sono percepite e interpretate, dando luogo alle attività di previsione degli eventi.

17 febbraio 2011

Ho più volte affermato che la timidezza (l’ansia sociale in generale) esiste solo e soltanto in relazione ai rapporti sociali, che fuori da tale sfera non ha alcuna ragion d’essere. Ciò significa che l’essere umano può essere timido solamente quando ha a che fare con altri esseri umani.

Questa considerazione di base, ha un’implicazione molto importante: tutto ciò che non afferisce ad attività che prevedono relazioni interpersonali, non subisce l’influenza determinante dell'ansia sociale.
Da qui discende l’osservazione che non tutte le idee e le riflessioni di una persona timida possano scaturire da questa sua condizione o esserne l'espressione. Non è un caso che molti individui timidi, nella vita, siano stati o sono protagonisti nella storia della conoscenza, delle scienze, dell'arte e dei mestieri.

Salvador Dalì - segnali di angoscia
Va anche precisato che non tutti i pensieri di un soggetto timido, sono influenzati da tale condizione, nelle sue attività di relazione sociale.
La timidezza può manifestarsi in relazione sia ad un unico tipo di situazione, sia ad una pluralità di tipi di circostanze; questo significa che i pensieri condizionati sono quelli riferiti alla percezione e considerazione di sé, in termini di abilità o accettabilità da parte degli altri, relativamente alle questioni mentali che sono oggetto della situazione ansiogena.
Va da sé che nelle situazioni in cui non si avverte disagio sociale, il pensare non riflette condizioni emotive legate a stati ansiosi che si manifestano, invece, in altri e diversi tipi di circostanze.
Tutto questo accade perché il sistema cognitivo è un insieme di credenze, modelli previsionali e di valutazione, inerenti una pluralità di esperienze e apprendimenti.

Non esiste una credenza unica di sé, ma una pluralità di schemi del sé interagenti tra loro e che riguardano diversi aspetti. Il loro essere interagenti non implica necessariamente un’interrelazione deterministica o condizionante, molto dipende dagli stimoli esterni che intervengono nel corso degli eventi.

Un individuo può percepirsi inabile rispetto a certe attività, e abile riguardo ad altre, e quindi manifesta idee e comportamenti distinti, in base a come valuta le proprie competenze.
Le idee, i pensieri, le convinzioni, figlie della timidezza, e dell’ansia sociale in generale, fanno riferimento a se stessi, ai comportamenti altrui, alle idee che coinvolgono questi soggetti in modo attivo.

Le idee legate ad aspetti tecnici e/o professionali, le idee filosofiche che non riguardano le indole sociali umane, le idee politiche, estetiche, artistiche in generale, l'etica, non vengono intaccate (o se si, in modo irrilevante) dai processi cognitivi degli ansiosi.

Il problema si pone quando il soggetto timido interpreta i comportamenti altrui o quelli personali e le situazioni ansiogene, perché i pensieri esercitati sono diretta espressione di credenze che male interpretano la realtà.

10 febbraio 2011

Nel precedente articolo ho definito l’ansia come la risposta ad una condizione mentale che produce pensieri, valutazioni e previsioni, tutte di segno negativo.
Ma perché viene l’ansia? A questa domanda si può rispondere in vario modo, secondo diversi punti di vista, e che pertanto a mio parere, sono da considerarsi complementari tra loro.
Penso che sia bene fare qualche ragionamento su ciò che la provoca, e di porci quindi un'altra domanda. Cosa accade prima che sovviene l’ansia?

Quando un individuo timido viene a trovarsi in una situazione per lui difficile da vivere o da gestire, la sua mente è pervasa da una serie di pensieri che svolgono le funzioni di valutazione della circostanza, valutazione dei propri personali mezzi, previsione dei possibili esiti ad ipotetiche azioni che egli potrebbe attuare. L'operazione che il soggetto svolge è dunque un processo "istruttorio" che ha come finalità lo stabilire il comportamento e le azioni più consone al raggiungimento dell'obiettivo che si vuol perseguire.
Giacché una persona timida assegna ai suoi processi mentali istruttori, sempre dei valori negativi, inevitabilmente riceve da questi, l'indicazione di trovarsi in una situazione di rischio.

Perché viene l’ansia?

René Magritte: presenza della mente
Tutti sappiamo che il nostro organismo è dotato di sistemi di difesa che si esplicano attraverso meccanismi che possiamo chiamare di avviso, allarme, indicatori di disfunzione: sono sintomi che si manifestano in forma emotiva o fisiologica.
L'ansia è un sintomo che ci avverte di una condizione di pericolo, essa è un indicatore di rischio il cui compito è di indurre un comportamento che allontani o estingua il pericolo.
Per le persone timide, l'ansia si traduce in un avviso di rischio sociale, emesso dal sistema cognitivo, che tende a salvaguardare il proprio equilibrio interno e mantenere l'attributo di validità, nei confronti delle credenze chiamate in causa nella specifica situazione in cui il soggetto timido è, o sta per essere, coinvolto.

Non a caso l'attuazione del comportamento, conseguente all'intero processo mentale istruttorio svolto dal soggetto timido, si ha dopo il manifestarsi dei sintomi indicatori dello stato di rischio. L'ansia è tale che chi ne viene colto, la vive con preoccupazione ed ulteriore ansia, tant'è che il suo obiettivo immediato diventa quello di liberarsene; giacché essa è collegata con la situazione "pericolosa", il comportamento che viene posto in essere, ha come obiettivo, l’allontanare la condizione di rischio, per mezzo dell’evitamento, della fuga, o dell’elusione parziale.

L'ansia è innata, nel senso che questo tipo di sintomo fa parte del nostro armamentario. Oggi si pensa che la propensione ad un suo manifestarsi con facilità o con una maggiore frequenza, possa essere anche di origine genetica, e in tal caso dovremmo parlare di predisposizione genetica all'ansia. Gli studi di Kennet Kendler (1992) e di Jerome Kagan (sono ancora in corso) ci fanno ritenere valida una tale ipotesi, ciò che pure emerge da questi lavori, è anche la forte incidenza dei fattori ambientali, soprattutto familiari, nella manifestazione dell'ansia patologica.

Nel precedente articolo pubblicato su questo sito, facevo notare un ulteriore aspetto legato al condizionamento psicologico e all'apprendimento. Infatti, l'ansia si configura anche come condizionamento operante.

Possiamo dunque concludere che l'ansia:

  • È la risposta ad una condizione mentale.
  • È uno strumento innato di allarme della specie umana (forse del mondo animale).
  • Entra nel meccanismo del condizionamento operante.
  • La forma patologica può avere un’origine genetica.


Gli strumenti per far fronte a questo che per molti è un dannato problema sono sostanzialmente tre: il rilassamento muscolare progressivo (rmp), il training autogeno, l'ipnosi. Chi fosse interessato a ciò, può leggere l'articolo, dedicato al rilassamento e che ho pubblicato nel luglio 2010; così come può scaricare gratuitamente il training autogeno e l’rmp.

1 febbraio 2011

Tra ansia e timidezza, quale discende dall’altra? A regime questi due fattori si alimentano reciprocamente, ma la questione se sia nato prima l’uovo o la gallina qui non si pone.


La timidezza è generata da un apparato cognitivo non funzionale in una o più parti dell’insieme che lo costituisce. Parlo delle cosiddette credenze, dell’attività previsionale e di valutazione della nostra mente; in sostanza, per usare una terminologia più comprensibile, l’io inconscio.

Jorge de la Vega: Intimità di un timido  
La timidezza è, pertanto, una condizione mentale che prefigura idee negative e scenari di pericolo penalizzanti per l’individuo, nella sua realtà sociale.

L’ansia subentra quando il sistema cognitivo ha operato le sue valutazioni, sulla base delle credenze operanti, e svolto il suo bilancio di previsione.
È a questo punto che entrano in gioco le paure per ciò che può accadere e che, nella mente di una persona timida, ha sempre un segno negativo, sovente catastrofico.

L’ansia è dunque la risposta emotiva e fisiologica dell’attività istruttoria svoltasi in sede cognitiva. Possiamo quindi definirla come la reazione ad una condizione mentale prefigurante pensieri negativi e scenari di pericolo penalizzanti.

Ma perché ho esordito dicendo che ansia e timidezza, a regime, si alimentano reciprocamente?

Perché una volta che si è timidi, tutte le fasi che caratterizzano e delineano la manifestazione della timidezza, vanno a costituire un processo circolare, ogni tassello da effetto diventa a sua volta causa.

Faccio un esempio: JJ vorrebbe avvicinare una persona dell’altro sesso, comincia a pensare che la sua persona non interessa a nessuno (rappresentazione di sé), quindi pensa che sarà respinto e farà una figuraccia (previsione); JJ va in apprensione, è preso da un senso d’angoscia, aumentano i battiti cardiaci, comincia a sudare (manifestazioni dell’ansia); JJ decide di rinunciare (comportamento di protezione, l’evitamento); allontanandosi deluso e svilito JJ pensa “ma dove volevo andare?!, ma chi vuole uno/a come me!?” (conferma della rappresentazione di sé, cioè non è interessante).

La conferma della rappresentazione di sé, va a rafforzare ulteriormente la convinzione negativa che JJ ha su di sé, se ne convince sempre di più. Ad un certo punto, questi tipi di situazioni sono diventati routine, la mente ha appreso l’intero processo, per cui basta che JJ pensi solo o veda quella fatidica persona da lontano perché scatti l’ansia, che a questo punto va ad alimentare l’intero processo. Questo fenomeno può essere spiegato con le leggi del condizionamento classico e del condizionamento operante.

l’apprendimento è definito come quel processo mediante il quale l’esperienza (stimolo) modifica in modo permanente il comportamento (risposta). Quando ad un determinato stimolo un individuo reagisce sempre allo stesso modo, egli è oggetto di un condizionamento, questo viene chiamato condizionamento classico o riflesso condizionato. 

Accade che il soggetto associa allo stimolo ricevuto un determinato effetto. Molto noto è l'esperimento di Pavlov: egli presentava ad un cane del cibo, l'animale reagiva con la salivazione, in una fase successiva il ricercatore, prima di esporre il cibo emetteva il suono di un campanello; il cane cominciò ad associare il suono del campanello al cibo, ciò gli procurava la salivazione prima ancora che gli venisse proposto l'alimento. Pavlov chiamò il cibo "stimolo incondizionato", il campanello "stimolo condizionato", la salivazione "risposta".

Successivamente furono introdotte le leggi del condizionamento operante, un altro ricercatore, Skinner, notò che ripetendo sempre lo stesso stimolo, l'apprendimento è più rapido: ne conseguirono due leggi legate all’apprendimento: la legge dell’effetto e quella dell’esercizio.

Secondo la legge dell’effetto, si tende a ripetere quei comportamenti che hanno ottenuto risultati benefici (premio), mentre si tende ad abbandonare quelli che hanno avuto effetti negativi o inutili (punizione).

secondo la legge dell’esercizio, la risposta ad un determinato stimolo è maggiormente ripetibile quanto maggiore è il numero delle ripetizioni.

Ritornando all’esempio di JJ, l’ansia si manifesta come frutto di un condizionamento e pertanto può comparire anche quando la situazione non si sta nemmeno presentandosi, basta l’idea che possa profilarsi.

In conclusione, è un errore ritenere che la timidezza possa scaturire dall’ansia, perché è vero il contrario. Ma l’ansia che è da considerarsi un sintomo, come tutti gli altri fattori che intervengono nella manifestazione della timidezza, ne favorisce il ripresentarsi.