31 maggio 2011

La non accettazione.

Te lo sei mai detto? Sono noioso, sono un incapace, sono un fallito, sono un perdente, sono inferiore agli altri, non sono buono a niente, sono inaccettabile, non sono una persona attraente, non sono un tipo normale, mi faccio schifo, sono stupido, sono una nullità, mi faccio pena, sono proprio un cretino, sono brutta, che corpo di schifo che ho, sono un mostro. Queste sono alcune delle frasi di autocondanna, autocensura, auto bocciatura, autocritica, auto offesa, auto disprezzo, che un ansioso sociale tende a rivolgersi, e che esprimono, da una parte, un insieme di credenze su se stessi di segno negativo e, dall'altra, un forte sentimento di rifiuto della propria persona in termini di carattere, personalità, fisicità, abilità sociali e lavorative. 

La persona timida, l'ansioso sociale in genere, quando si convince di non avere meriti, né arti, né capacità, si giudica in negativo ed è la più cattiva critica di se stessa. Precipita in un conflitto interiore, in cui l'istinto di conservazione non riesce a indurre una gestione equilibrata con la coesistenza di un sentimento di odio, che permea e condiziona la vita emotiva e i comportamenti delle situazioni ansiogene, in primo luogo, e nell'insieme del quotidiano come effetto riflesso.

Magritte - Il Doppio Segreto
"L’auto criticarsi e l’auto biasimarsi caratterizzano i pensieri dei timidi che spesso sono associati al senso di vergogna e d’inferiorità, al ritenersi persone sbagliate, indesiderate dagli altri; così come tendono a non avere comprensione verso se stessi, né cercano di auto-confortarsi, né a essere auto-compassionevoli, praticamente non si aiutano, anzi i sentimenti che provano nei confronti della propria persona, sono negativi, di auto-condanna.
Quei timori dei giudizi negativi altrui sembrano essere un riflesso di ciò che essi pensano di sé, come se i pensieri degli altri fossero un specchio che riflette il loro auto-considerarsi; hanno paura della propria “immagine”, così diventano rinunciatari, evitano di trovarsi in situazioni che stimolano, nella loro mente, il timore di riflettersi attraverso i giudizi esterni, in un certo senso fuggono da se stessi, o per meglio dire, dall’idea che hanno di sé, quasi come per dire al mondo: lasciatemi stare, so già di essere scarso, non me lo ricordate che mi fa stare ancora più male.” (Luigi Zizzari - Addio timidezza - 2010)

Eppure, se solo queste persone, riuscissero ad accettarsi, creerebbero le condizioni ottimali per agire con efficienza e in modo persistente in un processo di cambiamento delle credenze cognitive deviate e delle abitudini comportamentali corrotte.
Un obiettivo che va perseguito sempre e comunque, prescindendo da qualunque condizione o situazione, è star bene con la propria persona. L'accettazione non va richiesta, non va meritata o conquistata, va fatta e basta.
Chi vuole uscire dal tunnel dell'ansia sociale, deve accettarsi senza se e senza ma, bisogna amarsi, incondizionatamente.

L’accettazione.

L'accettazione comporta una buona dose di elasticità mentale e volontà.
Accettare non vuol dire condividere, giustificare, sottomettersi, rassegnarsi, arrendersi, significa prendere atto di ciò che è, senza emettere giudizi, senza moralismi, liberandosi di un'abitudine culturale, molto radicata nella nostra società, che associa a ogni azione e a ogni idea un valore negativo o positivo, significa comprendere la realtà, le sue forme, i modi, gli eventi sequenziali e causali, per essere preparati a viverla al meglio senza eroismi o vittimismi, procedere per la propria strada, consapevoli e rispettosi dei propri limiti e possibilità del momento.

Non significa nemmeno che si debba evitare in maniera assoluta di esprimere pareri e valutazioni, ma che bisogna evitare di superare quel confine al di là del quale, si va verso la negazione di se, e il rispetto dei diritti umani verso noi stessi e verso gli altri.

Riconoscendo la realtà per ciò che è, evitiamo sofferenze inutili, come le auto colpevolizzazioni, offese e auto offese, e una sequenza infinita di accuse, di rabbia, di verdetti, di alienazione: possiamo guardare il mondo con uno spirito libero e obiettivo che ci permette di avere, nella nostra disponibilità, più strumenti per confrontarci col mondo reale nel migliore dei modi.

L'accettazione non è una resa, ma una straordinaria opportunità per non arrendersi.

23 maggio 2011

Il rapporto che gli individui timidi hanno con l'esposizione è decisamente conflittuale, infatti, il comportamento più frequente di una persona timida, è l'evitamento, cioè la negazione dell'esposizione stessa.

Cosa rappresenta, per un individuo timido, questo tipo di atteggiamento?

A coloro che vedono questi atteggiamenti dall'esterno, siano essi persone comuni o studiosi della mente umana, appaiono come momenti di fuga da circostanze e realtà che fanno paura.

Per un soggetto timido è invece una soluzione necessaria, la liberazione da un incubo, la fine dell'ansia, ma allo stesso tempo, la dimostrazione della propria presunta scelleratezza. Egli è, infatti, quasi sempre pienamente cosciente della propria condizione, e delle limitazioni che questa apporta alla sua vita.
Una consapevolezza che, paradossalmente, accentua la disistima di sé e le convinzioni negative, riguardanti se stesso, che affollano la mente.

Dalì - uomo con complesso delle malattie
Per chi è intrappolato in questo stato mentale, l'essere esposti a una situazione ansiogena, costituisce un grave pericolo: il rischio di giudizi negativi da parte degli altri, di essere respinti, emarginati, di apparire deboli di carattere e personalità, il rischio di rendere palese all'esterno proprie presunte inabilità, incapacità, immeritevolezza, minorazioni o imperfezioni di vario tipo.

Timori che da un lato esprimono bisogni di affettività, di accettazione e riconoscimento sociale, dall'altro, costituiscono il riflesso di ciò che si pensa della propria persona, la paura che dal mondo esterno venga una conferma, secca e inappellabile, della percezione personale del sé.

Eppure, a conti fatti, è proprio l'esposizione lo strumento più efficace per liberarsi di tali paure. Esponendosi, quindi, affrontando quei timori che generano gli stati ansiosi, è possibile scardinare e sostituire quell'insieme di credenze invalide ma mai abbandonate dal sistema cognitivo, modificare quei comportamenti rinunciatari, che costituiscono non solo, un ostacolo alla vita sociale, ma anche la negazione all'apprendimento di nuovi modelli comportamentali più confacenti alla realtà che si vive.

L'evitamento dell'esposizione è la scelta di un comportamento che costituisce l'atto finale di un processo che è iniziato a livello cognitivo. Un processo che si suddivide in tre fasi principali, la valutazione dello scenario e delle proprie capacità e possibilità operative, la previsione degli esiti di un comportamento desiderato, l'attuazione di un comportamento considerato congruo dal sistema cognitivo. (per approfondire, ebook "addio timidezza").

Tutta questa dinamica scaturisce dal sistema cognitivo e da abitudini comportamentali ben consolidate. Le credenze che si hanno su se stessi, condizionano in modo vincolante l'intero processo cui ho accennato poc'anzi, è chiaro che quando la valutazione delle proprie abilità è di segno negativo, inevitabilmente, le previsioni degli effetti conseguenti un comportamento desiderato, non possono che essere negative a loro volta; ne consegue la scelta di una strategia operativa che non soddisfa alcuna azione sospirata, ma anzi la nega con l'attuazione di un atteggiamento di fuga qual è, appunto, l'evitamento.

L'abitudine nell'esercitare comportamenti di evitamento, rendono più facile la loro attuazione, in quanto l'atteggiamento abituale risulta essere quasi istintivo e, essendo ben sperimentato, è anche una garanzia di successo della strategia di fuga. A rendere ulteriormente vincente l'evitamento intervengono anche due fattori, da una parte l'apparato cognitivo che deve confermare la validità delle proprie credenze coinvolte in quella data situazione, dall'altra, la dissoluzione dell'ansia una volta che tale comportamento è stato attuato.

Purtroppo, la fuga dall’esposizione rafforza ulteriormente i convincimenti negativi che si hanno su se stessi, consolidando sempre di più, quella prassi comportamentale che finisce con l'essere una vera e propria prigione. (Vedi l'articolo "il circolo vizioso della timidezza" - Ottobre 2010)

13 maggio 2011

Per tanti individui, il non sapersi esprimere, costituisce il fattore che caratterizza la propria timidezza. Il soggetto che vive questa condizione finisce con l'arenarsi nella costruzione dei rapporti interpersonali, egli si trova in una situazione d’impasse relazionale da cui non riesce a uscire, e quando ci prova, lo fa in modo goffo, impacciato.

Laddove non c'è la conoscenza della timidezza come fenomeno di disagio psicologico strutturato e causale, i comportamenti degli individui timidi sono oggetto di fraintendimenti, incomprensioni, generalizzazioni, etichettature, che producono emarginazione, comportamenti di bullismo e, in certi casi, anche sentimenti di fastidio, offesa o repulsione. Ciò accade anche perché i soggetti disagiati appaiono come espressione di modelli negativi culturali e sociali.

La carenza di competenze sociali nella comunicazione, è generata da un lato, da un mancato apprendimento di adeguati modelli di relazione verbale, e dall'altro, dal timore del giudizio altrui e sentimenti d’incompetenza personale.

James Ensor - rifiutata
Il mancato apprendimento è, chiaramente, strettamente collegato all'ambiente familiare e/o sociale in cui il soggetto è cresciuto, soprattutto nella prima infanzia e durante la fanciullezza; infatti, è proprio in quest'arco temporale della vita di un individuo, che si apprendono le forme di comunicazione finalizzate alle relazioni interpersonali.

In un ambiente dove le figure di riferimento sono, esse stesse carenti, sotto il profilo delle competenze sociali, vengono a mancare gli esempi e le occasioni per un equilibrato e positivo apprendimento di modi e forme delle manifestazioni verbali nelle relazioni sociali. Il bambino, in questo contesto, non impara a comunicare in modo adeguato, comprensibile agli altri, egli comincia ad adottare un linguaggio che non corrisponde a quello dei suoi pari che, pertanto, non lo comprendono; ciò innesca un processo di fraintendimenti e incomprensioni che conducono all’emarginazione del bambino all'interno del gruppo. Sentendosi escluso o anche criticato dai suoi pari, il bambino, nel percepire se stesso, sviluppa convincimenti che lo inquadrano come soggetto inadeguato, incapace, persino poco intelligente o stupido. 

6 maggio 2011

Oggi prenderò spunto da un quesito che mi è stato posto: La timidezza incide sulla capacità o sulla disposizione ad apprendere?

Diciamo subito che la capacità di apprendere è propria del mondo animale e, in particolar modo dell’uomo. Il problema è, se e come, tale abilità viene messa in campo.

Sicuramente la disposizione mentale verso l’apprendimento risente dello stato psicologico dell’individuo.

Secondo i teorici della psicologia motivazionale e del cognitivismo sociale, a determinare i modi con cui ci si predispone nei confronti dell’apprendimento, è la motivazione.

Le motivazioni, a loro volta, sono anche strettamente legate agli obiettivi e alle priorità che ciascun individuo si pone per la propria esistenza. Esse possono essere collegate a bisogni prettamente sociali, o intrinseci all'individuo stesso.
Dal punto di vista motivazionale dunque, si apprende, se ciò che deve essere acquisita tra le conoscenze, ha un ritorno utilitaristico, che comporta cioè, un vantaggio per il soddisfacimento delle esigenze e degli obiettivi, che l'individuo intende soddisfare.

Magritte - la memoria
L'apprendimento, però, deve soddisfare anche la percezione della fattibilità, deve essere avvertita come un'operazione alla portata delle capacità del soggetto interessato. Questo significa che, una persona, la quale ritiene di non essere in grado di apprendere un comportamento o un elemento di conoscenza, percependo quell'azione, come un'attività che non può avere successo, non avverte lo stimolo a procedere, e ne è perciò demotivato, con il conseguente comportamento che determina l'abbandono dell'attività di apprendimento.

Una persona timida che nutre verso se stesso, sentimenti d’inadeguatezza, d’incapacità, d’inabilità, può trovarsi nella condizione di essere demotivato verso l'apprendimento di elementi di conoscenza o di modalità comportamentali di relazione, perché ritiene di non avere le capacità sufficienti ad apprendere, scatta pertanto, il comportamento dell'evitamento o della rinuncia.

Possiamo guardare questa problematica, anche da un altro punto di vista: l'attenzione.

Un individuo timido ha la tendenza a concentrare la propria attenzione, sui sentimenti e le emozioni negative che percepisce verso se stesso, riguardo alle situazioni in cui è, o sta per esservi coinvolto.
In questo caso, non è la motivazione, il fattore problematico, ma la distrazione.
Infatti, l'indirizzare la propria attenzione verso i moti emotivi interiori, comporta il venir meno delle capacità di concentrazione e delle doti intellettuali, in direzioni esterne alle problematiche esistenziali, che tendono a occupare l'intera attività mentale.

Può verificarsi che taluni soggetti timidi o particolarmente ansiosi, possono trovarsi imbrigliati nella loro condizione psicologica, anche in momenti in cui non vivono situazioni sociali ansiogene; è il caso, ad esempio, dei momenti di estraniazione dal contesto sociale, o semplicemente dalla realtà del momento: fenomeni, questi, che possono verificarsi con il presentarsi di sentimenti o pensieri non positivi che, anche in assenza di stimoli esterni, inducono a comportamenti di fuga o di evitamento, un condizionamento operante.

Come si può evincere da quanto ho esposto, non ho fatto alcun riferimento all'intelligenza, ciò perché non esiste alcun legame diretto tra intelligenza e timidezza o ansia sociale in generale. Tant'è che molti dei grandi geni nella storia dell'umanità, erano persone timide, qualcuno anche fobico. Chi è interessato a quest'ultimo tema, può leggere l'articolo "timidezza e intelligenza" che ho postato nell'agosto del 2010.