18 luglio 2011

Uno dei processi mentali tipici della timidezza e dell'ansia sociale in genere, è quello del rimuginìo.
Il soggetto non fa altro che tornare continuamente, col pensiero, a determinati eventi che gli sono accaduti e che l’hanno turbato per via degli effetti che hanno prodotto, soprattutto in termini d’insuccessi, di comportamenti desiderati ma non attuati, di occasioni anelate e sfumate.

Quando la mente ritorna su quegli eventi, il pensiero è spesso accompagnato da immagini mentali rievocative che ne descrivono il loro svolgersi o che si fissano su alcuni dettagli, riferiti a momenti considerati topici dal soggetto.

Magritte - la memoria
In questi casi i pensieri esprimono sentimenti di dannazione, di rammarico, di rimpianto, di disperazione, di fallimento, d’incapacità, di severo auto rimprovero. In altri casi possono manifestarsi anche sentimenti d’incomprensione e/o indisponibilità da parte degli altri. Diventa una sorta di tragico balletto di accuse, ora verso se stessi, ora verso gli altri. Un susseguirsi di pensieri condizionali caratterizzati da frasi tipo: se avessi fatto, se avessi detto, se non avessi agito così, se non mi fossi espresso in quel modo, se……, se……, se……, una catena di "se" che allontana dalle soluzioni, che non delinea futuri costruttivi.

Il rimuginìo diventa occasione di conferma dei convincimenti interiori negativi che riguardano se stessi, le proprie abilità, le potenzialità operative, gli elementi costitutivi della propria personalità e cultura. Si tratta di una convalida che funge da rinforzo negativo delle credenze cognitive, coinvolte nell'azione valutante degli eventi presi in esame. In questo modo la disfunzionalità presente nel sistema cognitivo non viene riconosciuta, e la riaffermazione dello schema interpretativo inadeguato, conferisce maggiore rigidità al sistema stesso, riducendo le capacità adattative alla vita reale.

In condizioni normali, una situazione che genera esiti non positivi, viene rivisitata, ma infine produce valutazioni che hanno lo scopo di individuare gli errori commessi, elaborare dinamiche comportamentali alternative a quelle che si sono dimostrate improduttive, proporsi di attuare le modifiche focalizzate, impegnarsi nella loro applicazione. In breve la rivisitazione dell'evento si trasforma in un processo di apprendimento di nuove modalità d’interrelazione sociale. Tale circostanza, fa si che il sistema cognitivo, recependo le invalidazioni delle credenze disfunzionali provenienti dalle esperienze, legge gli eventi come un insieme che delinea la realtà come fenomeno in divenire, variegato nelle forme, nelle espressioni, nelle configurazioni. Ciò permette all'individuo una maggiore capacità adattiva alla realtà che lo circonda.

Tutto questo non si verifica nei soggetti ansiosi che restano prigionieri dei propri schemi e abitudini comportamentali.

Il rimuginare del timido, in quanto fenomeno emotivo, limita il processo rievocativo alla sola fase iniziale, e non permette lo svolgersi delle fasi successive, caratterizzate da un'attività di elaborazione dei dati oggettivi che emergono dall'esperienza.
Quest'atteggiamento mentale fa si che, il timido, resta incagliato nel proprio stato emotivo che reitera tale condizione nel tempo, generando i sentimenti che ho descritto poc'anzi, i fenomeni ansiogeni come l'angoscia e l'inquietudine, il decrescere dell'autostima, il senso d’immobilità e immodificabilità del proprio modo di essere in termini di comportamento e di possibilità operative.

Il rimuginìo, dunque, immobilizzando il soggetto allo stadio emotivo, impedisce la ricerca di soluzioni, di leggere gli eventi come determinazioni relative a un preciso e specifico momento, di vivere le carenze manifestatesi o gli errori individuati, come fattori critici rimediabili, di guardare al prosieguo della propria vita come luogo di opportunità di riscatto sociale e umano, di affermazione della propria persona e personalità.

7 luglio 2011


Con quest’articolo finisco il discorso iniziato la scorsa settimana su cosa fare o dire, e su casa non dire o fare con una persona che soffre di depressione. Inizierò proprio partendo da dove mi sono fermato nel post precedente.

Procurano danno anche comportamenti ricattatori, manipolativi, rimproveranti o che si muovono in un ambito di tipo morale. Quando si è di fronte ad una persona che soffre di depressione, bisogna rendersi conto che la sua condizione psicologica e i suoi comportamenti, non esprime una sua scelta, né il suo modo di vedere e concepire le cose, non è l'espressione della sua cultura, né della sua sensibilità.

La depressione è una malattia che produce alterazioni biochimiche nel cervello, mettendo in crisi non solo i centri decisionali, ma anche una serie di funzioni come i sistemi percettivi e motori. 

Edvard Munch - disperazione
Chi richiama “all’ordine" una persona depressa, dimostra di non aver compreso, né di riuscire a immaginare cosa sia la depressione. Rivolgersi a un depresso, in modo manipolativo, rimproverante o in qualche modo moralistico, produce solo un’ulteriore sofferenza, senso di solitudine e isolamento, percezione degli altri come soggetti insensibili, cinici o avversi. 
Perciò va evitato di dire cose del tipo:

  • Cerca di crescere, invece di fare la vittima.
  • Fai tutto questo solo per attirare l'attenzione.
  • Comportandosi così fai star male anche chi ti sta vicino.
  • Chi l'avrebbe detto che tu fossi una persona così fragile.
  • Tu ti comporti così, e se ti accadesse qualcosa di veramente serio che faresti?
  • Questo significa che sei un debole.
  • Ti stai solo facendo delle fantasie.
  • Questo tuo modo di fare, mi fa diventare un depresso.
  • Stando così le cose per scuoterti un po', ti ci vorrebbe una bella batosta.
  • Se sei diventato un depresso non è colpa mia, né di nessun altro.
  • Cerca di dare una mano a chi ha veramente bisogno di aiuto, così la smetterai di stare a lamentarti.

Porsi come i saggi che sanno cosa un depresso debba fare o non fare, che conoscono il perché degli eventi, è la stessa cosa di voler fare un intervento a cuore aperto senza conoscere minimamente il corpo umano, è un atteggiamento presuntuoso. Anche in questi casi si trasmette all'ammalato solo il senso di un mondo che è ben distante da lui. Vanno evitate frasi di questo tipo:

  • A te per guarire basta solo una donna (un uomo).
  • Esci, fa un po' shopping, vedrai che dopo ti sentirai meglio.
  • Affidati a Dio, vedrai che il Signore ti aiuterà.
  • Non dare ascolto ai medici, quelli che faranno ammalare di più.
  • Concentrati nel lavoro, funziona.
  • Quello che ti manca è il sesso.
  • È il Signore che ti mette alla prova.
  • Fa una bella vacanza e vedrai che passerà tutto.
Ma allora, cos'è che si può fare?

Avere a che fare con una persona depressa, non è una cosa facile, anzi…
Innanzitutto bisogna trasmettergli un messaggio di vicinanza e di affetto, proporsi nel ruolo di spalla sicura cui appoggiarsi, mostrarsi sinceri nel dichiarare la propria impreparazione in materia, ma allo stesso tempo dichiarare di avere tutta l'intenzione di non lasciarlo/la solo/la, precisando che un percorso di guarigione si può fare insieme.

Altro aspetto che va curato, è quello di evitare che la nostra presenza o il nostro impegno possa procurare, nel soggetto depresso, sensi di colpa nei nostri confronti; quindi va rassicurato che il nostro agire solidale, è una scelta personale volontaria non soggetta ad alcun senso di obbligo.
Consigliare di ricorrere all'aiuto di uno psicologo è buona cosa, a condizione che non diventi un'azione ossessiva e che sia sorretta da argomenti ben sviluppati, meglio ancora se gli si dice "non sarebbe meglio se ti fai aiutare da uno psicoterapeuta? Personalmente penso di sì, e tu?".