28 settembre 2011

Prima di addentrarmi in questa trattazione, penso sia bene chiarire la differenza tra ansia, comunemente intesa, e ansia sociale. Ho notato che spesso si fa confusione tra queste terminologie.


L'ansia sociale è una categoria che raggruppa una pluralità di forme di disagio sociale e/o di disturbi psicologici; fenomeni che vanno dalla normalità alla patologia. Forme dell'ansia sociale sono, ad esempio, la timidezza, la fobia sociale, il disturbo evitante della personalità, forme intermedie o specifiche di questi disagi e altri fenomeni analoghi.


Savina Lombardo - timorosa emozione
L’ansia è la reazione emotiva e fisiologica a eventi che mettono in allarme l’attività cognitiva. È dunque la risposta a una condizione mentale che prefigura dei rischi. È anche un sintomo che avvisa l'individuo quando accade una situazione che il sistema cognitivo considera pericoloso.


Quando l'ansia si attiva, crea un vortice in cui vengono trascinati i pensieri che vanno in fibrillazione e che conducono a comportamenti condizionati.


In questi casi il comportamento costituisce una reazione liberatoria dall'ansia.


Il soggetto timido, l'ansioso sociale, quando si manifesta l'ansia, avverte il bisogno di uscire da quella condizione viscerale di sofferenza fisiologica ed emotiva che può produrre vere e proprie crisi di panico. 


Gli stessi aspetti fisiologici possono procurare un aggravarsi dello stesso stato ansioso, ciò perché il timido vive queste manifestazioni esternalizzate della propria condizione, come una vera e propria dichiarazione esplicita di debolezza, d’incapacità, di goffaggine, di "imbranatura", d’incompetenza, questo genera in lui un profondo senso di vergogna.


Modigliani - bambina in azzurro
Quando si trova in questa situazione, l'individuo timido ha un'unica motivazione è un unico obiettivo: liberarsi dell'impaccio. In un certo senso è come se tutto il resto, in apparenza, finisse in secondo piano. 
In realtà il turbinio di pensieri e di reazioni emotive finiscono con l'accavallarsi o sovrapporsi, da una parte il sistema cognitivo rivendica il valore delle proprie credenze di base, dall'altra la condizione fisica e umorale fa pressione sull'elaborazione delle scelte decisionali.


Il comportamento diventa, dunque, l'unico strumento capace di azzerare lo stato contingente. 
Da questo punto di vista lo scopo della persona timida o dell'ansioso sociale in generale, che coincide anche con l'obiettivo del sistema cognitivo, è l'eliminazione dell'ansia, e il comportamento - che è deputato a svolgere il ruolo esecutivo delle scelte - è l'elemento conclusivo e risolutivo dell'intero processo di valutazione e di decisione.


Sia il comportamento, sia l'ansia non sono fenomeni pensanti ma, pensato nel primo, e provocato nel secondo. 
Ciò nonostante inducono al pensiero e favoriscono la riproposizione dell'intero schema del processo quando avvengono situazioni con caratteristiche analoghe a quelle vissute, si ripropone cioè quello che in un precedente articolo ho chiamato "il circolo vizioso della timidezza".


L'ansia, dunque, può agire come elemento scatenante, induttivo o decisivo, del processo che conduce al comportamento. 
Visto in quest'ottica, il comportamento di una persona timida, è un effetto del condizionamento emotivo prodotto dall'ansia. Questa relazione non necessariamente è da considerarsi a senso unico, in quanto un comportamento può generare, a sua volta, il fenomeno dell'ansia per effetto delle risposte che vengono dall'esterno, relative alle azioni messe in atto.

20 settembre 2011

Con il cognitivismo cambia il modo di pensare la mente. Fino agli anni 50 il pensiero psicologico è dominato da due indirizzi di ricerca principali: 


Uno indaga i processi mentali e propone l'esistenza di un’identità interiore (io inconscio) contrapposta a una cosciente, un io inconscio inaccessibile, i cui sistemi funzionali possono essere rintracciabili solo attraverso tecniche come l'interpretazione dei sogni, l'analisi delle libere associazioni d’idee e di lapsus. Si propone quindi una netta separazione tra l'io cosciente ed io inconscio che può solo essere raggiunto con l'intervento di una persona esterna al soggetto da analizzare. L'individuo dunque non è in grado, da solo, di cogliere le istanze provenienti dal proprio mondo interiore. 


Joan Miro - La nascita del mondo
L’altro indirizzo è proiettato verso lo studio del comportamento. In questo tipo di approccio è predominante la tendenza a un’analisi scientifica dei fenomeni, che devono essere misurabili, visibili e ripetibili. Il comportamento è l'unico fattore umano conoscibile e verificabile in modo certo e su cui la sperimentazione produce risultati visibili.


I cognitivisti, indagando sui processi mentali, hanno un approccio diverso nel modo di concepire l'identità e la sua formazione. L'io inconscio non è visto come una funzione contrapposta allo stato cosciente, ma come un insieme interpretativo del mondo reale che lambisce lo stato cosciente e che in talune circostanze o ambiti ne fa parte, si tratta di un insieme interpretativo che, diversamente dalle scuole di pensiero precedenti come la psicoanalisi, è individuabile e modificabile dallo stesso soggetto che lo partorisce. Ciò implica anche un ruolo diverso dello psicologo che non è più chiamato a essere l'interprete unico o privilegiato dei moti interiori della mente.



12 settembre 2011

Essendo una struttura logica finalizzata alla gestione efficace dei rapporti interpersonali e una forma etica che ne delinea obiettivi e limiti, l'assertività è utile a tutti.

Per comprendere meglio la sua utilità, basta pensare ai comportamenti più usuali che vengono attuate dalle persone, il comportamento passivo, quello aggressivo e quello manipolativo. Ciascuna di queste forme di comportamento producono ripercussioni negative  su chi le attua, soprattutto nel medio e lungo periodo, l'effetto boomerang colpisce non solo la propria auto considerazione, con le ovvie implicazioni che riguardano il sistema cognitivo, ma anche la qualità dei rapporti con le persone con le quali si è o si entra in relazione.

Miranda Di Massimo - Libertà
L'assertività può essere uno strumento integrativo per chi vuole migliorare le proprie abilità relazionali, correggere alcune peculiarità espressive proprie, per conoscere meglio se stessi. Serve alle persone timide, introverse, ansiose, che hanno difficoltà nel relazionarsi con le persone, a destreggiarsi in varie situazioni, che hanno paura nell’esprimere sentimenti e idee. In ambito psicoterapeutico, questa tecnica è affiancata alla desensibilizzazione sistematica, in modo di superare sia i processi ansiogeni sia quelli comportamentali. Serve alle persone con gravi deficit comportamentali.

Corsi di assertività vengono talvolta svolti anche presso le aziende che tendono a migliorare il rapporto tra i propri operatori e il pubblico. Purtroppo questi corsi non vengono presi abbastanza sul serio sul piano etico e concettuale. 

L’uso “meccanico” delle tecniche assertive non delinea, di per sé, comportamenti assertivi in quanto sono necessarie comprensione, maturazione e condivisione intima dei principi ispiratori della logica assertiva che, come ho già espresso nei precedenti articoli, è una sorta di filosofia del comportamento e del valore individuale nelle relazioni sociali. 

Ma quali sono i vantaggi che si tengono con un comportamento assertivo?

Ebbene, voglio soddisfare subito questa curiosità. Avere un comportamento assertivo significa essere abili in: 

  • Esprimere sentimenti, idee e interessi in modo appropriato e diretto; 
  • Parlare di se stessi senza vergogna o timore; 
  • Salutare le persone in modo amichevole e genuino; 
  • Accettare i complimenti in modo relazionale; 
  • Comunicare con le espressioni del viso, la gestualità, le movenze del corpo; 
  • Esprimere un disaccordo forte o moderato, senza temere le reazioni altrui e con la consapevolezza dei propri diritti d’espressione; 
  • Fare e chiedere chiarezza;
  • Difendere i diritti e la libertà propria, senza subire l’arroganza e la prevaricazione altrui; 
  • Essere perseverante nel manifestare reclami, lamentele, di fronte ai “no” che negano i propri diritti; 
  • Evitare di giustificare ogni opinione e comportamento, quando sono frutto di libere scelte o espressioni personali;
  • Essere e affermare se stessi;
  • Esprimersi in prima persona;
  • Relazionarsi socialmente con rispetto verso la propria dignità e verso i diritti degli altri;
  • Entrare in una conversazione e reggerla;
  • Reagire in modo positivo ed efficace a critiche o a comportamenti manipolativi.


Da un punto di vista pratico,  l'assertività costituisce un insieme di comportamenti verbali e non verbali, per mezzo dei quali l'individuo riesce a trovare soluzioni nella gestione dei rapporti interpersonali

La persona assertiva agisce:

  • Riconoscendo valore alla propria persona pur nella consapevolezza dei propri limiti umani. 
  • Accettando i propri limiti non come espressione di inferiorità o di inabilità, ma come consapevolezza dei naturali confini umani e della relatività di ciascun individuo nell'insieme sociale composito della comunità e della cultura umana.
  • Riconoscendo i diritti altrui e muovendosi nel rispetto delle loro libere espressioni, ma senza farsene condizionare in modo lesivo dei diritti e delle libertà proprie.
  • Interagendo con i propri timori, con pacata razionalizzazione e senza farsene condizionare. 
  • Affrontando le situazioni critiche con comportamenti tesi a razionalizzare i problemi e a cercare soluzioni attuabili sulla base delle capacità proprie e dei mezzi disponibili.


Le persone che sono cresciute in ambienti familiari e/o sociali carenti di modelli di comportamento efficaci, presentano inevitabilmente forti lacune nel modo di vivere e gestire i rapporti interpersonali. Ciò accade perché essi non hanno avuto possibilità di apprendere modalità comportamentali funzionali al mondo delle relazioni sociali. L'assertività costituisce in questi casi un punto di riferimento essenziale per rimediare alle carenze di cui si soffre.