28 novembre 2012


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Il fallimento e l'umiliazione


Negli individui timidi è molto comune che la vergogna sia collegata al timore o alla convinzione di compiere o aver compiuto comportamenti che infrangono costumi etici o morali in vigore nell'ambiente cui si fa riferimento. La paura di trasgredire queste regole è collegato alle idee del fallimento o dell'umiliazione, sulle quali vale la pena soffermarsi un po'.

Tutti gli individui si pongono l'obiettivo di offrire una buona immagine di sé, sia agli altri, sia a se stessi: le persone soggette alla timidezza vivono questo obiettivo con un particolare patema d'animo, ben oltre le normali preoccupazioni dei soggetti non ansiosi.
Paul Klee - perso
Mancare quest'obiettivo significa andare incontro al fallimento o all'umiliazione che si subisce attraverso le reazioni degli altri. 
L'umiliazione rappresenta l'esplicitazione della propria impotenza, vuoi perché non ci si dimostra validi nel modo in cui si vorrebbe, vuoi perché non ci si mostra validi quando si vorrebbe, e ciò pone in evidenza da una parte, l'essere smascherati, dall'altra svelare la propria impotenza.

Non a caso Battacchi e Codispoti (la vergogna - 1992) definiscono la vergogna, come il segnale che si sta per subire, o si è già subita, un’umiliazione e, contemporaneamente, costituisce una reazione a tale umiliazione. In tal senso è intersoggettiva e intrasoggettiva. 
Molti studiosi ritengono che, perché possa esserci vergogna, sia necessaria la condizione di essere esposti all'osservazione altrui. Ciò implica che l'individuo che si espone, svolga esibizione di qualunque natura, che può essere volontaria o forzata, indotta o premeditata, frutto della casualità o d’improvvisazione istintiva legata al momento contingente.

È bene precisare che il termine "esibizione" va qui inteso come esposizione, infatti, non intendo necessariamente una performance, l'esibizione può consistere in qualsiasi tipo di attività, può essere contraddistinto da un modo di fare, da un modo di esprimersi verbale o non verbale, da movenze fisiche o di portamento, da modi di vestire, eccetera. Ciò che è sostanziale, è dato dal fatto che sia osservabile dagli altri e, dunque, valutabile da questi, in breve che possa produrre giudizi altrui.

La vergogna sussiste perché l'esibizione può dar luogo a un fallimento. In tal senso l'esibizione non riuscita pone fuori gioco gli scopi che sono: l'essere ammirati, l'essere approvati, il ricevere attenzione. L'insuccesso, quindi, mette in discussione il valore della persona nel primo caso, l'essere accettati all'interno del gruppo nel secondo caso, l'essere del tutto ignorati nel terzo caso.

Quando diventa palese, visibile all'esterno, e ciò accade soprattutto con la manifestazione del rossore, la vergogna alimenta il sentimento dell'umiliazione: da un lato, la persona timida sente di aver umiliato se stessa, dall'altro ritiene di subire comportamenti di scherno da parte degli altri.
L'emozione della vergogna richiede sempre la presenza dell'altro, ma questa avvolta può essere anche soltanto mentale, cioè in assenza di una presenza fisica. Ciò può manifestarsi se i pensieri dell'individuo timido si spostano su considerazioni riguardanti gli altri in merito alla propria esibizione. 

L'altro può assumere il ruolo dell'osservatore, del giudicante, dell'invasivo. In determinate circostanze tali ruoli possono anche coesistere in un unico individuo. Quando la vergogna si configura come umiliazione, le figure che entrano in gioco sono l'umiliato, l'umiliante, il testimone dell'umiliazione; le ultime due figure possono anche coincidere. 
Il soggetto timido vive con maggiore intensità l'umiliazione quando è un fenomeno triadico, il livello di mortificazione, infatti, è sentita maggiormente in presenza di testimoni che possono assumere sia il ruolo dell'osservatore sia quello giudicante.

23 novembre 2012

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L'emozione sociale


La vergogna è un'emozione sociale in quanto implica, necessariamente, un riferimento al giudizio altrui o a norme trasgredite o a danno arrecato agli altri e, allo stesso tempo all'auto consapevolezza del proprio essere sociale.

Data la sua natura sociale, appare chiaro che la vergogna è un'emozione che si apprende nell'ambiente in cui si cresce e si vive, attraverso le pratiche comportamentali delle figure di riferimento (caregiver) già dopo il primo anno di vita, e la socializzazione nel contesto culturale cui il soggetto fa riferimento.


Barber Charles Burton - il nascondiglio
La vergogna, avendo una funzione adattativa, può configurarsi come avvertimento che indica il superamento di una soglia oltre la quale si pone il rischio di un’eccessiva esposizione, o anche partecipativa all’attività costitutiva dell’identità personale come soggetto sociale.

La vergogna, di per sé, non ha una valenza negativa propria: la positività o la negatività di tal emozione è una prerogativa di valutazione dell'individuo.

Proprio per la sua caratteristica di avere una funzione adattativa, può diventare disfunzionale. È quello che accade nelle persone soggette all'ansia sociale e, quindi, anche alle persone timide.

Come ho più volte affermato, la timidezza sussiste solo se è riferita agli altri, al di fuori di questo contesto, essa non ha alcun senso di esistere: è il mondo delle relazioni sociali che dà senso, significato e forza, all'ansia sociale. Anche la vergogna, in quanto emozione sociale, giacché si riferisce a valori e costumi che hanno senso solo se relativi al mondo della comunità umana e alla relazione con essa, non può sussistere al di fuori dei contesti sociali, anche quando tale emozione è vissuta nei confronti di se stessi. Infatti, anche la vergogna provata nei propri confronti, ha a che fare con regole considerate valide, e in uso, nell'ambiente sociale o nel gruppo di appartenenza.

Va anche considerato che, spesso, le regole che si ritengono trasgredite, non necessariamente coincidono con quelle dell'ambiente di riferimento. Non va dimenticato che i soggetti afflitti dall'ansia sociale, e quindi anche i timidi, fanno spesso riferimento a regole e assunzioni disfunzionali, che sono il risultato delle credenze di base negative. Ciò significa che la persona timida, nel ritenere di andare incontro a una trasgressione etica, morale o di costume, possa prendere in considerazione regole o assunzioni personali assunte come valori propri del gruppo di riferimento: in tal caso conferisce valore universale alle proprie disfunzionalità cognitive, le sue supposizioni diventano dato reale.

Può anche verificarsi il caso in cui la vergogna non incarna valori comportamentali, ma essa stessa diviene un valore, in tal caso ci si vergogna di vergognarsi. In quest'ultimo fattore fenomenico, la vergogna si configura come atto di svelamento: l'individuo timido si vergogna di mostrare la propria fragilità, sente di lanciare un messaggio di sé come persona debole, e la debolezza esprime, nelle proprie convinzioni, consce o inconsce, impotenza e incapacità. Attraverso lo svelamento di sé emerge l'idea del fallimento. Ma di questo parleremo nel successivo articolo.

12 novembre 2012


Sono molti i timori che possono affliggere una persona timida: di sbagliare, di essere giudicati negativamente dagli altri, di recare fastidio o disturbo agli altri, del fallimento, di subire un rifiuto, che possa emergere in modo evidente il proprio disagio o lo stato ansioso, di apparire goffi, imbranati, ridicoli, inabili, incapaci, di non piacere, di non essere considerati attraenti o interessanti come persona.

Queste paure sono figlie di convincimenti interiori profondi, le credenze, che delineano:

  • Un'identità di sé definita in termini negativi sotto il profilo delle abilità e capacità nelle attività in cui si è un soggetto sociale, quindi, nelle relazioni amicali, nei rapporti di lavoro, nelle varie forme e tipologie di comunicazione interpersonale, nell'esecuzione di performance di vario genere in presenza di altri, nell'esercizio di funzioni di cui dar conto, in breve in tutte le attività sociali.
  • Il considerare gli altri come soggetti indisponibili o escludenti, oppure come individui non affidabili o portatori di valori decadenti o contrapposti a quelli propri del soggetto timido.
  • Considerare, in senso univoco, il mondo degli uomini come un ambiente ostile, insidioso, escludente, dominato da usanze e culture intenti ad isolare le diversità.

Marc Chagall - guerra
Partendo da queste convinzioni sostanzialmente inconsce, gli individui timidi finiscono col costruire pensieri, che diventano ben presto abituali e reiterati nel tempo sino a diventare automatici. Idee che passano nella mente nelle forme discorsive (utilizzo di parole mentali), sotto la forma di immagini mentali, o in maniera non formale come puro atto di coscienza; queste sono valutazioni, previsioni, dati assunti come elementi di una realtà oggettiva.