29 ottobre 2014

Ciò che in quest’articolo chiamerò “sentimento della mancanza”, è tale solo come forma manifestatrice, allo stato cosciente, di un pensiero, un’idea, un convincimento di proprie inadeguatezze. 

Molte credenze di base sono avvertite, a livello cosciente, sotto forma di sensazioni, del "sentire", di percezione appena affiorata, di “senso di…”. Spesso, dagli individui che le provano, sono considerate emozioni.

Ma cosa intendo, più precisamente, con la locuzione “sentimento della mancanza”?

È l’idea che, dentro di sé, qualcosa manca e non permette una vita “normale”. Molte persone timide o ansiosi sociali, si chiedono: “Cos’è che non ho?”, “Cosa mi manca?”, “Perché non funziono bene?”.

Quasi sempre la risposta è: “Non funziono perché sono difettoso”. 

Silvano Bruscella - interferenza
L’idea del non funzionamento si correla al pensiero della mancanza. 

Ci sono persone che nell’indicare la ragione per la quale si sono rivolte allo psicoterapeuta, hanno espresso le loro speranze con terminologie legate all’idea di essere macchine non funzionanti, esprimendo il desiderio di essere “aggiustati”, “riparati”.

Nell’ascoltare questi termini, più consoni alla meccanica di macchine non auto poietiche, abbiamo più chiara l’idea di come giunge a percepirsi un individuo timido o un ansioso sociale: bisogna “aggiustare”, “riparare” qualcosa che è di proprio, di “corporeo”, di insito nella propria natura originale.

L’imperfezione è percepita, dentro se stessi, come qualcosa di fondante, di costituzionale. È considerata un’imperfezione di nascita, come una macchina costruita male e uscita difettosa dalla fabbrica.

Le esperienze negative sono diventate fattore di generalizzazione della negatività percepita: il dettaglio, il singolo episodio, il convincente, si estende alla globalità dell’individuo.

In tutto ciò assistiamo, e ne notiamo, il grande potere dei pensieri: capace di trasformare l’aria in sostanza, l’astrazione in materia, l’ipotesi in realtà, la possibilità di certezza. 

Sappiamo anche che sono capaci di ordinare ai nostri organi la produzione di ormoni che possono farci piombare nella paura vestita delle sue numerose forme, o di farci provare altri tipi di emozioni con le loro venature; e sappiamo anche che ci fanno provare la sensazione fisica della manifestazione delle emozioni attraverso l’ansia.

Ma è davvero mancanza di qualcosa? 

Se di mancanza si vuol parlare, allora dovremmo dire che può trattarsi di mancanza di abilità sociali o del loro esercizio, ma non di capacità; che può trattarsi di mancanza di apprendimento, ma non di capacità; che può trattarsi di mancata applicazione delle capacità. 

Va comunque sottolineato che mancato esercizio delle abilità e applicazione di capacità sono un portato dell’ inibizione ansiogena.

Come dicevo all’inizio, il sentimento della mancanza è convinzione mascherata di inadeguatezza. Si dà il caso che anche le credenze sono idee, pensieri, memoria assimilata attraverso l’elaborazione mentale. 

Però, come sono solito dire, i pensieri non sono la realtà, al massimo solo il tentativo di interpretarla ma, come si sa, l’interpretazione è una variabile dipendente da molti fattori: il mondo può essere letto con gli occhi della paura, o della rabbia, dell’amore, dell’esaltazione, dell’eccitazione o della ragione. Ciascuno di questi modi di leggere l’ambiente e le circostanze conduce a una propria configurazione del reale.

Cos’è, allora, il sentimento della mancanza? 

Nel caso delle ansie sociali e della timidezza, posso dire che è l’illusionismo delle emozioni, la suggestione della mente, l’errore della ragione condizionata.

21 ottobre 2014

Negli individui con ansia sociale e nelle persone timide, gran parte dei pensieri negativi, che siano automatici o metacognizioni, hanno contenuti che fanno riferimento a convincimenti inconsci riguardanti presunte inadeguatezze: hanno cioè, credenze di base che definiscono se stessi come soggetti inabili o incapaci.

Giacché le credenze di base costituiscono l’informazione primaria nell’elaborazione della risposta agli stimoli che si ricevono, va da sé che, se queste contengono valori negativi, tutto ciò che ne consegue assume caratteristiche che favoriscono una scarsa capacità adattiva in uno o più ambiti nel dominio delle relazioni sociali.

Una delle conseguenze è che i pensieri automatici negativi sono orientati verso l’idea dell’insuccesso. Questa è percepita emotivamente con forte intensità tragica.

Vincent Van Gogh - vecchio disperato
L’eventualità di un insuccesso è considerata, non una delle possibilità dello scenario futuro, ma una configurazione della realtà prossima che ha la probabilità di verificarsi con una percentuale tale da essere coincidente o quasi con la certezza assoluta.

L’insuccesso di una prestazione, di una performance, di un’iniziativa, di un qualsiasi altro tipo di azione, è valutata attraverso un’ inferenza arbitraria, cioè nella tendenza sistematica, abituale e quasi istintiva, a considerare un singolo elemento come fattore di generalizzazione del fallimento che investe, quindi, l’intera persona. 


14 ottobre 2014

Carla, 28 anni, non esce mai da sola, si sente osservata. Il non essere in compagnia, per lei, è come circolare per strada con manifesti a sandwich su cui è scritto a chiare lettere: “Guardate come sono goffa”, “e sì, sono proprio una fallita, sto sempre da sola”, “non conto proprio nulla, infatti, non ho amici con cui uscire”, “sono una sfigata al limone”, “sono un essere ammuffito”. Alla sola idea di uscire da sola, già si stampano, nella mente, un paio di immagini di facce giudicanti e, forse, sono anche volti che conosce.
In quelle situazioni, Carla si sente nuda, priva d’ogni difesa, alla mercé dell’inciucio, dei pettegolezzi, dei commenti non felici altrui, talvolta oggetto della commiserazione.

Andrea, 18 anni, quand’è in strada sente come se gli occhi degli altri siano un concerto di bocche ridenti: ridono di lui. Riesce a immaginare anche le battute che circolano: “Guarda quel fallito, ah, ah, ah”, “che imbranato ah, ah, ah”, “povero cretino ah, ah, ah”, “è proprio senza speranza”.


Giampaolo Talani - animali da battigia
Sibilla, 21 anni, è convinta di essere brutta. Sente la sua bruttezza stampata negli sguardi e nelle menti degli altri. Quando è in strada, si sente come in passerella, con tutti a guardare le sue nefande fattezze e a pensare: “Quand’è brutta”, “guarda che cesso, quella ragazza”, e a ricordarle che resterà sempre sola.

Priscilla, 20 anni, evita la mensa dell’Università, a dire il vero, anche quelle dei ristoranti, delle pizzerie, dei pub. Sente di essere goffa, impacciata, imbranata, ridicola. È convinta che quando mangia tutti i suoi difetti diventano molto evidenti e che gli avventori della mensa se ne accorgerebbero immediatamente. Se entrasse in quei luoghi, si sentirebbe subito al centro dell’attenzione, centinaia di occhi diretti su di lei.




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