28 gennaio 2015


La difficoltà nell’esternare emozioni o sentimenti, a partecipare attivamente nelle conversazioni, a esprimere in modo compiuto principi, concetti, pensieri e idee, è uno dei problemi principali che si riscontra nelle persone timide, e negli ansiosi sociali in generale.

È un problema che può essere causato da diversi fattori che, in molti casi, sono coesistenti.

Hanno, però, tutti, un comune denominatore, una o più credenzedi base che delineano una definizione del sé come persona incapace, oppure inabile nelle relazioni o nei comportamenti in generale, o anche inferiore agli altri. In breve credenze che rimandano a un’idea d’inadeguatezza della propria persona.

Paul Delvaux - l' enigma
Alberto fa scena muta nelle conversazioni tra amici, al punto che, oramai, in quelle situazioni, la sua mente vaga per conto proprio, fuori da ogni contesto relativo alla discussione in atto. Marina sente di non avere niente da dire, ne soffre, ma proprio non sa cosa potrebbe dire, e la sua autostima cala sempre di più. Michele pensa che sono tutti troppo più intelligenti di lui, è convinto che se aprisse bocca direbbe solo cose non all’altezza della situazione. Raffaella prevede che farebbe la figura della stupida, se provasse a dire qualcosa; in fondo teme e sente di essere una persona incapace. Brigida è ancora più perentoria, il primo pensiero che le viene in mente è che non ci sa fare, e dato che ritiene di non sapersi esprimere, decide di risparmiarsi una brutta figura sicura, standosene in silenzio. Adriano, che è abitualmente silente, si sente spesso dire “parla più forte che non sentiamo”, oppure “fa un po’ di silenzio che parli troppo”, così ci resta male e diventa ancora più silenzioso.

Persone che sentono di avere un mare di problemi. Reagire? Cambiare stile di vita? E come? Non saprebbero neanche da dove cominciare. Avvertono un senso di fallimento dentro di sé, anche se, qualcuno di essi, razionalmente, in fondo, pensa di non essere poi tanto scadente.

E allora perché se nei loro momenti di lucida razionalità sanno di avere delle qualità, poi affondano nella paura del fallimento?

La questione possiamo porla in termini di conflitto tra l’io emotivo e l’io razionale, o meglio, nella contrapposizione tra rappresentazione emotiva della realtà e interpretazione della realtà oggettiva. 
Un conflitto, nel quale, il pensiero, fortemente condizionato dalle emozioni, si sostituisce alla realtà assumendone l’identità, il pensiero emotivo soppianta la realtà e, nel nome di una verità, che non è più oggettiva, assume il potere instaurando una realtà virtuale, immaginativa: quella della mente. 

Un mondo che apre le porte alle emozioni negative della paura, della preoccupazione, del panico, della tristezza; un mondo che non dà spazio all’idea che possa esistere il concetto di possibilità, preferendo lo spirito del pessimismo, delle previsioni al negativo, delle immagini mentali che vede se stesso sempre perdente. 

Il pensiero stesso diventa sinonimo di realtà, anzi, vi coincide necessariamente.

In questo modo si annienta la differenza che esiste tra interpretazione della realtà e mondo reale.


20 gennaio 2015

In psicologia, per cognizione s’intende, per una parte, la facoltà di assumere informazioni sul proprio ambiente, di immagazzinarle, studiarle, farne valutazioni, elaborarle, modificarle; dall’altra l’atto stesso del conoscere.

La finalità ultima della cognizione è di permettere all’organismo di adattarsi all’ambiente o di modificarlo in funzione dei propri scopi, bisogni e necessità. Al tempo stesso ha anche la funzione di adattare se stessa per il raggiungimento degli obiettivi.

La cognizione è, pertanto, la capacità che ci permette di interpretare il mondo reale e di acquisirne consapevolezza. Essa è, dunque, attinente al dominio della descrizione.

Intesa come facoltà, la cognizione è un insieme di funzioni che determinano l’attività della nostra mente, quali il ragionamento, l’intelligenza, la percezione, il linguaggio, la memoria a lungo e breve termine, il sapere, il pensare.

Quando l’interazione tra le funzioni della cognizione, è rivolta verso se stessa, si ha un salto di livello: essa è capace di auto analizzarsi e auto direzionarsi. Questa forma più complessa di cognizione è chiamata metacognizione. È, allo stesso tempo, un costrutto teorico e uno strumento di apprendimento.

È attraverso la metacognizione che possiamo indagare sui nostri pensieri. In quanto costrutto teorico ci permette di riflettere sul fenomeno conoscitivo, sulle motivazioni che ci inducono all’apprendimento, su cosa apprendiamo e come lo facciamo. In quest’ottica, la metacognizione si configura anche come stile del pensare, cioè come modo di indirizzare il pensiero o, detto in altri termini, il modo di disporsi della mente nell’elaborazione dei propri dati di conoscenza e di esperienza.

12 gennaio 2015



In conclusione


Nella psicoterapia cognitivo comportamentale, il ricorso alla mindfulness, si pone l’obiettivo di riuscire ad ottenere un processo di distanziamento critico (ma non autocritico) dagli schemi cognitivi disfunzionali, mediante le tecniche di consapevolezza e accettazione.

L’esercizio della meditazione consapevole, aiuta a considerare i propri pensieri, come eventi temporanei dai significati relativi, anziché come rappresentazione esatta della realtà oggettiva o del proprio sé.

Henri Matisse - la gioia di vivere
Con la meditazione consapevole classica, lo scopo è di ancorarsi al presente, al qui e ora; di instaurare una diversa relazione con le proprie esperienze interiori, accettandole come parti del proprio paesaggio interno e ponendosi in una posizione di astensione dall’agire sulle cause.

Giacché la meditazione è una tecnica finalizzata all’approfondimento dell’attenzione e all’acquisizione di una lucida consapevolezza, le persone timide e stressate, possono apprendere a osservare pensieri, sensazioni, emozioni ed eventi, in modo oggettivo. Non solo; possono apprenderlo a farlo senza reagire a tali stimoli, acquisendo, così, una maggiore capacità d’introspezione e accettazione delle esperienze, e la comprensione che tali eventi hanno carattere transitorio e impersonale.

Diversamente dalla meditazione consapevole classica, la consapevolezza distaccata non si limita alla semplice consapevolezza del qui e ora, obiettivo che comunque persegue, ma punta a distribuire diversamente l’attenzione, soprattutto quando l’obiettivo è di determinare nuovi piani alternativi per la gestione delle minacce, e a ridurre la concentrazione dell’attività attentiva auto centrata su se stessi, e di cui la persona timida non riesce ad averne il controllo.


Con la consapevolezza distaccata, si condivide con la meditazione consapevole, sia l’ancoraggio al presente, sia lo stabilire una diversa relazione con le esperienze interne, ma si preferisce, in alternativa all’astensione, la strada di una relazione dialettica con i flussi di pensieri in modo da cogliere le opportunità di poter confutare, in modo efficace, gli schemi cognitivi disfunzionali. 

Non si tratta di opporsi ai pensieri e alle emozioni negative, di volerle reprimere nella loro manifestazione, anzi, come nella meditazione consapevole classica, esse vengono lasciate fluire, ma osservate e studiate, ponendosi rispetto a esse, con un atteggiamento di non valutazione, di non giudizio, come esploratori, come soggetti esterni a sé.


5 gennaio 2015


Spostamento mirato dell’attenzione


Molte persone timide, per fronteggiare i pensieri intrusivi, soprattutto nelle loro fasi ruminanti o rimuginanti, ricorrono alla distrazione, cercano di dedicarsi a qualcosa, si lanciano nelle attività che capitano loro a tiro, alla rinfusa, improvvisando. 

Diversamente da questa distrazione semplice e confusionaria, lo spostamento mirato dell’attenzione punta a trasferire la concentrazione dell’attività cognitiva e metacognitiva sull’obiettivo che ci si propone, sul compito che si va a svolgere, sulla scena del contesto in cui si opera, sui contenuti da esprimere, sulle persone. 

Frida Kahlo - radici
Si tratta, dunque, dello spostamento dell’attenzione verso l’esterno contingente. In questo modo, da un lato, si contrasta l’eccessiva concentrazione su di sé, dall’altro, si tende ad allenare il soggetto a spostare l’attenzione sul compito. Questa strategia è risultata essere particolarmente utile a persone afflitte da fobia sociale, ansia da prestazione, ansia da esame, varie forme di timidezza.

Se lo scopo è aumentare il flusso di dati confutativi nei processi di elaborazione, le strategie attentive dovrebbero servire a concentrare l’attenzione sui dati contrari alle convinzioni. Se il fine è migliorare le prestazioni, l’attenzione dovrebbe essere rivolta alle componenti del compito rilevanti. Quando invece l’obiettivo è riscrivere i piani metacognitivi di elaborazione delle informazioni, è necessario che il paziente si alleni ad applicare le nuove strategie attentive nelle situazioni critiche.” [A. Wells, disturbi emozionali e metacognizione, 2000]