31 marzo 2015


È una frase piuttosto frequente che sentiamo pronunciare da uomini timidi e da donne timide. Una frase sempre accompagnata da una congiunzione che annuncia postumi negativi: “Sono troppo buono e…”, “Sono sempre stata troppo buona e…”.

Le conseguenze sono, più o meno, sempre le stesse: “Si approfittano di me”, “mi trattano male”, “m’insultano”, “ma non sono mai disponibili quando bisogno di loro”.

In cosa consiste questa tanta bontà? 


Paul Delvaux - solitudine
Mettere la lealtà verso gli altri davanti a tutto, porre gli amici e le amiche prima di tutto, considerare i sentimenti altrui prima di tutto, essere sempre e comunque pronti ad aiutare gli altri, sorvolare sulle “cattiverie” altrui, accontentare sempre gli altri, farsi in quattro per gli altri.

Altra peculiarità di questa “bontà” è il mettere in secondo piano se stessi, i propri bisogni, le proprie necessità, i propri diritti.


23 marzo 2015


Cos'è la timidezza? 

È un disagio che si manifesta solo e soltanto nei vari settori dell'interazione sociale. Fuori dal contesto sociale la timidezza non sussiste. È di natura cognitiva, ma la si percepisce, consciamente, solo per gli effetti che produce sulla qualità della vita e delle relazioni di vario ordine e tipo, per i sintomi d'ansia che produce e per l'emozioni di paura che fa provare.

La timidezza ha anche implicazioni sugli stili del pensare, le metacognizioni, che vediamo all’opera con l’insistenza sul rimuginare, sul ruminare (rimuginìo rivolto al passato), con l’idea che preoccuparsi o rimuginare sia utile per risolvere i problemi, per capire.

Mario Tessari - le strade del destino
Implicazioni anche sul modo di pensare quando coinvolgono, direttamente o indirettamente, i sistemi di relazione.

La timidezza ha le sue radici in convincimenti inconsci negativi su se stessi. In pratica riguardano la definizione del sé, in termini di abilità di relazione, capacità di far fronte (in toto o in parte) con efficacia alle situazioni (soprattutto quando riguardano la socialità), amabilità, essere interessanti o attraenti come persona. 

Questi convincimenti negativi, che in psicologia cognitiva sono chiamate “credenze”, nel loro insieme, costituiscono l’ossatura principale del sistema informativo cui la mente ricorre per svolgere le sue attività elaborative di valutazione, previsione e decisione. 
Sono schemi mentali di rappresentazione della realtà. 


18 marzo 2015


Con questo articolo desidero rispondere ad alcune richieste d’informazione che o non erano tali da giustificare la pubblicazione di un articolo, oppure perché non sono inerenti alla tematica specifica di questo blog.  
Per altre richieste, la maggior parte, ho provveduto con la pubblicazione di articoli.

Ne approfitto per fare qualche precisazione sulla natura o mission di questo blog. Addio-timidezza è dedicato esclusivamente alle ansie sociali e, con particolare attenzione, alla timidezza che ne è la forma più diffusa.

La mission è molto precisa e specifica: la descrizione e l’analisi delle dinamiche psicologiche e comportamentali proprie delle ansie sociali.

Come ho più volte scritto, le ansie sociali sono disagi o disturbi di natura cognitiva, che producono il ricorso a stili del pensare e modelli comportamentali abituali , che acquisiscono carattere automatico.  Non esistono soluzioni uguali per tutti, anzi, queste, sono da personalizzare. Percorsi  di soluzione sono da ricercare attraverso percorsi di psicoterapia, di counseling,  mind coaching e similari, o con l’ausilio di manuali di auto terapia. 

E veniamo ai quesiti di cui tratterò in questa sede. 


Le persone timide e gli ansiosi sociali riescono ad avere degli hobby o degli interessi?


Dipende dalla persona, dal rapporto che ha con le sue esperienze interne (rapporto con la propria interiorità), dalla tipologia della forma d’ansia sociale o della timidezza e dalla sua intensità, dall’ambiente e dagli stimoli che riceve, dalla storia del soggetto.

La storia ci racconta di molti timidi che sono state persone eminenti nelle scienze, nelle arti, nella cultura, nello sport, nella politica, nell’economia: se non avessero nutrito interessi, non si sarebbero potuto affermare nei campi in cui hanno eccelso. 

Gli hobby sono spesso anche un’attività di rifugio per tantissimi ansiosi sociali e timidi. Tuttavia ci sono individui segnati da timidezza grave o afflitti da forme d’ansia sociale  soprattutto patologica, che sprofondano in condizioni di apatia e/o  demotivazione tali da non avere interessi o hobby particolari. 


Differenze tra sindrome di Asperger e timidezza


La timidezza è un disagio che si acquisisce per mezzo dell’interazione sociale, la sindrome di Asperger è ritenuta, secondo gli ultimi orientamenti, un disturbo cognitivo di origine genetica. 

Pertanto possiamo dire che mentre la timidezza è un disagio di natura cognitiva dovuta alla formazione di idee emotive d’ interpretazione della realtà,  la sindrome di Asperger è un disturbo organico. 





Si potrebbe parlare anche di alessitimia?


Anche in questo caso non va confusa la timidezza con l’alessitimia. 
Mentre la timidezza è una forma di ansia sociale e che, quindi, si manifesta nel solo contesto sociale, l’alessitimia è un disturbo cognitivo non relativo all’interazione sociale in sé.

L’alessitimia è un disturbo con il quale sono compromesse la consapevolezza e la capacità di descrivere le emozioni. 

L’alessitimico, quindi, non sa descrivere  gli stati emotivi che sperimenta e non riesce a riconoscere le emozioni negli altri, per questa ragione è incapace di esprimere empatia.

Le cause di questo disturbo sono tutt’ora incerte. Ma con esercizi cognitivi per il riconoscimento delle espressioni emotive interne e quelle visibili negli altri, si ottengono buoni risultati. Alcuni studiosi stanno anche provando con le tecniche della mindfulness.

Questo dimostra che l’alessitimico sia in grado di apprendere a riconoscere le manifestazioni emotive e, pertanto, di riuscire anche a descriverle. 


Il bullismo è un fenomeno sociale dalle molteplici sfaccettature. Va considerato che le figure coinvolte sono generalmente tre: l’agente, chi compie materialmente l’atto da bullo; il ricevente, chi subisce il comportamento violento; lo spettatore che assiste senza intervenire fisicamente, ma che partecipa emotivamente all’evento. 

Ciascuna di queste tre figure può configurarsi come categoria e, in quanto tale, è scomponibile in diversi quadri psicologici.
Pensare che il comportamento bullista sia solo il risultato di una mancata educazione alla socialità, significa ignorare il background culturale che lo sottende, le dinamiche psicologiche legate al problema di accettazione sociale, e/o di affermazione d’identità che possono sussistere nella psiche del bullo.  

Tutte problematiche favorite, non solo nella mancanza di assertività nell’ambiente i cui si formano questi soggetti, ma anche da un sistema di comunicazione che veicola continuamente e massivamente messaggi di violenza, vedi, ad esempio, la gran parte del cinema e della fiction, che trasmette modelli ispirati a ideali di forte competizione, di successo, forza, efficienza, predominio, dell’essere vincenti: la violenza è anche presentata come strumento dei giusti attraverso personaggi eroici. 

Il bullo apprende questi modelli comportamentali, non solo nella famiglia, ma entrando in interazione con tutte le espressioni del mondo sociale. 

Cerca riconoscimento e/o affermazione sociale soprattutto nel gruppo cui aderisce che può essere un branco o una comunità più ampia, oppure anche quella globale del web.

Il bullo cerca la vittoria facile perché sente il bisogno di un’affermazione certa. Per cui, se non si sente in grado di ottenerla da solo, la cerca con l’aggregazione, il branco. E in questo caso, entra in gioco anche il bisogno di appartenenza, di legame.


10 marzo 2015


Buona parte delle persone afflitte da forme di ansia sociale, come la timidezza, sperimentano il proprio disagio nel relazionarsi agli altri e/o in vari contesti sociali.

Alberto, che si estranea spesso quand’è con gli amici e non prende mai iniziative, ha molte difficoltà quando si tratta di essere coinvolto nelle situazioni organizzate dal gruppo.
Adele, afflitta dall’ansia da prestazione, si trova a disagio anche nei party, convinta com’è di dover apparire sempre perfetta ed efficiente.
Michele, che si sente sempre inferiore agli altri, vive come un pesce fuor d’acqua in gran parte delle situazioni sociali che gli capitano.
Roberto Barni - condominio clandestino
Brigida, che si considera socialmente inabile, fa la bella statuina delle feste, nei ritrovi, ovunque ci siano più di due persone.
Alba, che pensa sempre che fallirà in ciò che ancora deve avvenire, non riesce a instaurare rapporti di amicizia o di coppia.
Andrea, chi vive nel disinteresse quasi totale, è ormai completamente privo di argomenti o idee, tanto che appare un imbambolato a ogni domanda, richiesta di pareri o di soluzioni.
Clotilde, che sostiene che esprimere se stessa in piena libertà sia un proprio diritto, pensa a voce udita anche per strada, la gente la considera pazza e la evita.

2 marzo 2015


Quando ci riferiamo al linguaggio del corpo, parliamo, sostanzialmente, di comunicazione non verbale. 

Ma perché è così importante?

Watzlawick, in una celebre frase, ha racchiuso tutto il senso e l’importanza della comunicazione: “non è possibile non comunicare”.

Quando noi guardiamo un individuo, riceviamo subito, d’imprinting, un’impressione che equivale alla descrizione di tale persona. Quest’assegnazione d’identità parte da ciò che vediamo. 

Se una persona veste di cenci, deduciamo che è povera o che ha abbandonato se stessa. 

Salvador Dali - psicoanalisi e morfologia si incontrano
Se un individuo avanza con la schiena un po’ incurvata in avanti, la testa china a guardare il suolo, le braccia penzolanti e immobili, pensiamo che quella persona sia particolarmente timida, o qualche accidente psichico, oppure estremamente afflitta da problemi propri. 

Se una persona procede col petto spinto in avanti, la testa leggermente china all’indietro, con le spalle che accompagnano il procedere dei passi, ci viene da pensare a uno sbruffone.