29 agosto 2015



Una delle conseguenze pratiche della timidezza e di altre forme di ansia sociale sono la marginalizzazione e l’auto emarginazione.

Mentre nel primo caso l’esclusione sociale è dovuta a una difficoltà di comprensione oggettiva dei moti interiori dei soggetti ansiosi che rende problematico interagire con la persona timida; nel secondo caso si verifica il contrario.

La condizione interiore di un individuo timido è percepita a fondo e compresa, soltanto da chi vive la timidezza
Guido Aloise - emarginazione

Ciò perché l’uomo non ha il potere di leggere nella mente degli altri. Può percepirne gli stati ansiosi attraverso il comportamento, la condizione generale di difficoltà relazionale, in pratica attraverso elementi visibili. 

Va anche considerato che il linguaggio, soprattutto quello non verbale, può essere diversamente interpretato. 

Ad esempio una persona che si mostra distante, estraniato, può trasmettere sia l’idea di un atteggiamento di superiorità o da snob, sia un comportamento da inabilità sociale, dipende dalla storia culturale e personale di chi interpreta.

Capita che le persone, nel relazionarsi con un individuo timido, tentino inizialmente un atteggiamento empatico, mostrandosi comprensivi e cercando di andargli in aiuto; però, dato il permanere di comportamenti inibiti e tendenti all’evitamento, tipico delle ansie sociali, questi cominciano a sentirsi impotenti o anche frustrati. Da qui il deterioramento delle relazioni. 

In altri casi scatta un altro tipo di reazione, che è tipica del comportamento umano, la tendenza a evitare ciò che è associato alla sofferenza, alla difficoltà, alla condizione problematica.

Infatti, nella cultura umana, l’idea che la felicità sia più facilmente raggiungibile evitando ogni forma di sofferenza, è piuttosto radicata. È una delle ragioni per le quali molte persone non amano il cinema drammatico, preferiscono situazioni evasive, di divertimento. Frequentare una persona dai comportamenti mesti, sommessi, dall’aspetto triste, per taluni, può risultare o suscitare un’idea di contagio, per cui tendono ad allontanarsi. 

Questi comportamenti, diversamente da quanto sono portati a pensare le persone timide, non sono espressione d’indisponibilità, ma di difesa. 

In breve anche le persone non soggette ad ansia sociale, adottano comportamenti protettivi, solo che questi ultimi non sfociano nell’esagerazione, nell’inibizione, nell’evitamento sistematico, nell’automatizzazione del comportamento.

Anche il comportamento auto emarginante della persona timida produce, negli altri, una risposta marginalizzante, poiché l’auto isolamento è posta in relazione a indisponibilità al relazionamento o all’alta probabilità che ogni tentativo di relazionamento possa essere particolarmente problematico.

L’auto esclusione procurata dallo stesso soggetto timido può essere descritto come il risultato del comportamento evitante che ha sempre, come obiettivo, evitare la sofferenza che scaturirebbe dal verificarsi degli eventi e dagli effetti conseguenti temuti.

Un ruolo importante c’è l’ha anche il senso di non appartenenza, di marginale o precaria appartenenza ai gruppi sociali cui il soggetto ansioso si riferisce o tende a riferirvisi.

Non va neanche dimenticato che l’ansioso sociale si percepisce inadeguato e, pertanto, incapace di fronteggiare o imbastire, con efficacia, determinate tipologie d’interazione sociale.

Proprio per i fattori inibitori che le caratterizza, le persone timide, come tutti gli ansiosi sociali, hanno accumulato, nella storia delle loro esperienze relazionali, una serie d’insuccessi, spesso consecutive. 

La memoria degli insuccessi trascorsi è assunta come predittrice di fallimenti futuri. Ciò accentua il senso di precarietà di appartenenza.

Se a tutto questo aggiungiamo il fatto che, generalmente, l’altro è visto come giudicante ed escludente, possiamo comprendere quanto il problema dell’accettazione sociale sia particolarmente preminente nella vita degli ansiosi sociali.

Percependosi come borderline sociale, gli individui timidi temono di incappare nel giudizio negativo degli altri; hanno paura che le loro vere, o presunte, inadeguatezze possano apparire evidenti agli occhi altrui; eventi che produrrebbero, secondo le loro ruminazioni predittive, la formalizzazione dell’esclusione sociale.

Il conseguente comportamento protettivo che adotta è quello evitante.

In conclusione, possiamo affermare che l’auto emarginazione possa descriversi come il tentativo di evitare il dolore della non appartenenza e dell’esplicitazione sociale del fallimento di sé come persona.

Tu che ne pensi?



13 agosto 2015


Nell’immaginario collettivo, la rappresentazione della timidezza è spesso legata all’immagine di un volto con il rossore sulle guance. Ne ritroviamo una rappresentazione iconografica anche nelle emoticon.

Chi mi legge da tempo, sa già che l’ansia, da una parte è, esternamente, l’indicatore dell’esistenza di uno stato emotivo e di pensieri collegati al senso d’inadeguatezza; dall’altra, come esperienza interna, è un segnale che ci avverte di una minaccia che incombe su di noi.

Il rossore al viso è la manifestazione fisiologica dell’ansia, e la conseguenza delle emozioni di vergogna o d’imbarazzo.

Questo significa che il rossore al viso è l’espressione di un variegato insieme di sentimenti di disagio. 

Luigi Zizzari - Ahi ahi... se ne sono accorti
Mentre la vergogna è da collegare alla convinzione di una personale inadeguatezza, vera o presunta che sia, l’imbarazzo è da collegare a un senso di colpa.

Ma perché l’arrossire è così frequente nella timidezza?

Sappiamo che la timidezza è uno stato mentale basato sull’idea dell’inadeguatezza e sulla conseguente paura di essere giudicati negativamente dagli altri.


5 agosto 2015



Nicoletta Spinelli
  la maschera 3
 particolare
Per vivere, l’uomo mira a stabilire relazioni, a delineare una propria identità sociale, ad affermare un proprio ruolo all’interno del gruppo cui appartiene o tende ad appartenervi; aspira a trovarsi nella condizione di poter agire in un ambiente aperto, rassicurante e in cui possa godere della fiducia altrui.

Tali scopi implicano il suo impegno per farsi accettare nel gruppo ed evitare di essere rifiutato o escluso dagli altri.


Proprio qua sta il problema principale riscontrabile nelle ansie sociali.

Nell’interazione relazionale, l’uomo sposta la sua attenzione verso l’interno o verso l’esterno secondo le esigenze che richiedono le situazioni: il suo obiettivo è trasmettere un’immagine positiva di sé.

Nelle persone timide, come in tutti gli ansiosi sociali, il problema non risiede nel voler dare una buona impressione di sé, cosa che appartiene alla normalità, ma nel fatto che dirigono l’attenzione in direzioni auto referenti; verso se stesse, nell’intenzione di monitorare il proprio comportamento e gli stimoli interni, per valutarne la congruità e verificare la presenza di minacce provenienti da se stesse; verso gli stimoli esterni ritenuti minacciosi per l’immagine di sé. 

In breve, la loro coscienza sociale si auto focalizza su aspetti rilevanti per il sé e alla ricerca di conferme delle proprie credenze disfunzionali.

Ciò comporta una notevole riduzione di energie attentive verso il compito, gli altri e il contesto.