28 luglio 2016



La procrastinazione è un comportamento molto diffuso nell’umanità. Per tantissimi individui costituisce anche un problema quando diventa un tratto abituale del comportamento. In questi casi si può parlare di procrastinazione patologica.

I fattori che sottendono alla procrastinazione sono vari e, spesso, sono in relazione alla natura dell’oggetto procrastinato. 

Si può rinviare ciò che non ci piace fare, o che viene richiesto da altri, o che prefigura un impegno che non ci sentiamo di assumere, o perché non rientra nei nostri interessi, a volte perché prefigura un obbligo o una pretesa, in certe occasioni perché le nostre preferenze sono orientate in altre direzioni, quasi sempre, perché non siamo motivati, e in altri casi, quando le motivazioni sono antagoniste.

Roberta Cavalleri - sprecato
Nelle ansie sociali, entrano in gioco anche le credenze disfunzionali del sé.

In più occasioni, ho descritto la timidezza come una forma di disagio sociale di natura cognitiva cui sottendono credenze negative sul sé inerenti idee di inadeguatezza specifiche o generalizzate.

Sappiamo che quando delle credenze di base riguardano la definizione del sé come soggetto inabile all’interazione sociale o incapace a far fronte con efficacia a eventi situazioni e comportamenti, tutti i processi cognitivi che ne conseguono tendono a conclusioni previsionali negative.

“Non mi riesce, non ce la faccio”, “farò un disastro”, “è troppo difficile per me”, “non sono neanche da dove cominciare”, “non potrà funzionare”, “non posso farcela”, “non sono abbastanza intelligente”, “ho sempre fallito”, “deluderò tutti”, “farò una gran brutta figura”, “non sono preparato/a”, “sono già che fallirò”.

19 luglio 2016



È molto comune considerare i termini “introversione” e “timidezza” come se fossero sinonimi. In realtà, introversione e timidezza sono radicalmente diverse per qualità, tipologia, origine, natura, dominio.

Questa confusione è generata dal fatto che hanno in comune alcuni tratti comportamentali: in verità, la somiglianza (o equivalenza) dei comportamenti di persone introverse e timide, sono del tutto apparenti: essi infatti, differiscono nella sostanza sia nelle ragioni del loro manifestarsi, sia nel dominio cui afferiscono.

Lucia Schettino - Non è mai ciò che sembra
Le parole “introversion” ed “extroversion” furono coniate, per la prima volta, da Gustav Jung autore del celebre saggio “I tipi psicologici”. 

Egli distingueva due diversi modi d’essere, indole innate, con cui l’essere umano si rapporta alle esperienze. 

Nell’individuare questi modi di rapportarsi alla realtà, Jung non poneva alcuna correlazione con patologie o disagi psichici.

Jung sosteneva che l’essere umano rivolge la propria attenzione, nei confronti della realtà e degli stimoli che gli pervengono, in due diversi modi: verso il mondo esterno o verso quello interiore: le modalità estroversa e introversa.


13 luglio 2016


Uno degli aspetti più complessi che possiamo riscontrare nelle persone afflitte da forme di ansia sociale come, ad esempio, la timidezza o la sociofobia, è l’arenamento nella manifestazione dei sentimenti e delle emozioni.

La complessità di questa problematica è data dal fatto che all’origine possono esservi diversi fattori causali e, spesso, coesistenti.

Così tra le causali, possiamo intravvedere:


Alessio Serpetti - il silenzio dell'anima
  • L’essere cresciuti, e vissuto, in ambienti anassertivi in cui vi è carenza o assenza di comportamenti espressivi delle emozioni, il che genera un problema di mancato o inadeguato apprendimento. In questo caso, l’ anassertività produce l’impossibilità, per un infante o un bambino, di apprendere modelli comportamentali di manifestazione di emozioni e sentimenti, ciò perché vengono a mancare esempi di riferimento.
  • L’essere cresciuti, e vissuto, in ambienti in cui la repressione della manifestazione emotiva è caldeggiata fino a essere un precetto, espressione di forma culturale e morale del nucleo familiare. In questi casi l’espressione emotiva è considerata socialmente inadeguata, inopportuna, segno di debolezza (considerata a sua volta in chiave fortemente negativa). Questo tipo di cultura è parecchio diffusa e, nei secoli trascorsi, è stata considerata come tratto distintivo di valore.

5 luglio 2016


Nel corso della sua vita, una persona timida, un ansioso sociale, accumula una tale quantità d’insuccessi che finisce col considerarsi fallita (… fallisco in ogni cosa che faccio) e quando questi esiti esprimono una discrepanza tra il sé sociale desiderato e quello materiale, tra i successi altrui e i propri fallimenti, tra l’idea dell’essere vincente nella competizione sociale e il non riuscirvi  (… finisco sempre per essere l’ultimo) si fa strada il sentimento di un’appartenenza surrogata, funzionale al dominio altrui ( … “non riesco a evitare di farmi dominare”, “alla fine subisco sempre”).

Edward Hopper - senza titolo
In quanto soggetto sociale che aspira a una piena accettazione e a un ruolo quanto meno di un pari (… non riesco mai a farmi valere), vive l’insuccesso come una sconfitta che, sommandosi alle altre, definiscono sé stesso come un perdente (… sono un perdente).

Quella del perdente è una figura retorica emblema di un individuo inadeguato all’interno del dominio in cui l’insuccesso si manifesta.

Nelle ansie sociali, una tale figura tende a permeare l’intero insieme delle cognizioni sul sé. Detto in altri termini, l’ansioso sociale tende a considerarsi perdente come persona, a generalizzare l’idea di una propria presunta inadeguatezza applicandola all’insieme delle sue qualità personali. [sul giudizio di sé]