28 settembre 2016



Sulle cause dell’alessitimìa, a tutt’oggi, non c’è una spiegazione univoca. Tuttavia, sembra che le cause di questo disturbo siano diverse. Possiamo ipotizzare che possano essere originate da fattori di natura neurologica, e qui ci si riferisce, soprattutto, a un malfunzionamento dell’emisfero cerebrale destro; da eventi traumatici; da cause di natura più propriamente cognitiva e, in questo caso, si può fare riferimento a più fattori, compresa l’alessitimia apparente.

Secondo alcuni studiosi si tratta di una mancanza di abilità di base nel “sentire” le emozioni in quanto tali; per altri riguarda l’incapacità a elaborare, in modo conscio, le esperienze emotive

In questa sede tratterò l’argomento solo nella sua correlazione con la timidezza e le altre forme di ansia sociale.

Margherita Garetti - dis-comunicazione
Di certo si sa che l’alessitimia è caratterizzata da una difficoltà nel descrivere gli stati emotivi e/o nel non avere consapevolezza di essi.

Ciò non significa che l’alessitimico non provi emozioni, solo non riesce a dar loro un nome, a riconoscerne le caratteristiche, a esprimerne una cognizione, a descriverle. 

Più che altro si tratterebbe di una carenza nella capacità interpretativa dell’esperienza emotiva e, di conseguenza, anche di una lacunosa competenza nella valutazione degli affetti.

Sembrerebbe che la persona alessitimica confonde la percezione delle proprie sensazioni corporee con le emozioni; ciò produrrebbe una sorta di stallo cognitivo, essa si troverebbe nell’impossibilità di discernere tra corporeità ed emozione, di costruire una propria cognizione dell’emozione e, quindi, di riconoscere uno stato emotivo.

20 settembre 2016


Le persone timide temono fortemente di rivelare la propria timidezza, soprattutto quando a questa associano l’idea di debolezza, di incompletezza, di fallimento.

La persona timida non avverte su di sé l’imperfezione dovuta all’essere un umano, ma l’imperfezione che va oltre la normalità, anzi, che delinea la anormalità. 

Talvolta si sente sbagliata, difettosa per nascita; in altri casi, prevale l’idea del fallimento di sé come persona; spesso, si convince di essere incapace di raggiungere gli scopi, di trovare soluzioni congrue, di fronteggiare efficacemente situazioni ed eventi; anche il pensiero di essere inabile alla socialità è da annoverare tra i convincimenti limitanti che caratterizzano la definizione del sé degli individui timidi. Ma il più delle volte, si sentono tutte queste cose messe insieme.


Roberta Cavalleri - white desperation
Nella timidezza, la diversità di sé che si avverte rispetto agli altri, è di quelle che creano un solco ben profondo tra la propria persona e l’ambiente cui si vorrebbe appartenere o all’insieme sociale.

È una diversità sentita come fattore socialmente escludente, isolante, marginalizzante; in pratica, che impedisce di vivere un sentimento di appartenenza e godere dell’accettazione da parte degli altri.

Gli individui timidi travolti da questa auto percezione negativa di sé, che raccoglie l’insieme delle idee di inadeguatezza e di precaria o mancante appartenenza, si sentono nudi, troppo trasparenti agli occhi degli altri, troppo fragili e deboli.


14 settembre 2016


Il timore di essere inopportuni è uno di quei dilemmi che conducono le persone timide ad avere comportamenti evitanti.
Questa tipologia di paure crea molte interferenze nella creazione e nel mantenimento delle relazioni interpersonali. 

La sperimentano, quotidianamente, non solo gli individui timidi ma anche quelli afflitti dalle altre forme di ansia sociale come, ad esempio, i sociofobici.

Il timore di disturbare gli altri è, ovviamente, accompagnato anche da pensieri previsionali negativi. Anzi, spesso, tale paura, più che essere una emozione, è un pensiero previsionale camuffato.

Sappiamo che dai pensieri previsionali scaturiscono, poi, le dinamiche cognitive e le scelte che conducono all’ antiscopo.

Le previsioni si manifestano nella forma verbale, e anche attraverso immagini e flash mentali, istantanee che rappresentano la reazione infastidita o irritata degli altri al tentativo di un approccio.

La persona timida, prima di interagire in una situazione verso la quale avverte disagio, si chiede se sia il caso di agire, se sia il momento giusto, se sia opportuna la sua partecipazione, se gli stimoli che vorrebbe apportare siano adeguati alla situazione, o alla cultura e mentalità degli astanti.



Benché l’obiettivo sociale sia l’interazione, egli è preoccupato soprattutto di sé rispetto agli altri e, conseguenzialmente, dal rapporto tra sé e gli altri.

In altre parole focalizza il pensiero su di sé, sulle sue presunte inadeguatezze, sull’essere meritevole di attenzione e accettazione sociale.

Il problema dell’accettazione è senz’altro un punto cruciale. 

L’ansioso sociale, che si pone il problema di essere inopportuno nell’interazione, vive il dolore della non appartenenza, sente di non appartenere ai gruppi o comunità cui aspira a esserne parte, oppure avverte un senso di precarietà dell’appartenenza.

Non si sente accettato e, nel tentativo di trovare spiegazione o soluzione a questa condizione, orienta la propria analisi verso una visione critica del sé.

Vengono alla luce le sue credenze di base limitanti: l’idea dell’essere sbagliati, di non essere interessanti o attraenti come persona, di non essere meritevoli.
I pensieri automatici negativi rappresentano tali credenze delle loro forme derivate.

“Sono una persona noiosa”; “penseranno - questa/o, adesso viene qua ad ammorbarci”; “si sentiranno sicuramente infastiditi”; “alla fine gli procurerò solo una rottura di palle”; “e se sono di disturbo?”; “Gli verrà da pensare - e questo/a, adesso che cavolo vuole?”; “Non sono una persona che ispiro interesse, danno solo fastidio”.

Naturalmente, il timore di essere giudicato negativamente, per il tentativo di interazione che il soggetto timido considera e pre-suppone inadeguato, è una emozione di sottofondo pressoché onnipresente.

Del resto, secondo la logica della persona timida, essere oggetto di un giudizio negativo implica l’esclusione sociale, quindi la non appartenenza, l’emarginazione, la solitudine.

Talvolta, l’idea e la paura di recare disturbo hanno origine in assunzioni e precetti, generalmente, di natura familiare o, comunque, di ambienti anassertivi.

La supposizione dell’inopportunità di un proprio comportamento orientato all’interazione interpersonale, non è considerata una semplice probabilità, una possibilità, essa acquisisce valore di certezza o di probabilità assai prossima all’effettiva realtà.

Si verifica, in pratica, una eccessiva sopravvalutazione del rischio tale da far considerare ogni altra ipotesi, del tutto inconsistente, una improbabilissima probabilità, un inutile esercizio teorico.

Come dicevo inizialmente, l’idea e la paura di recare disturbo ha, come epilogo inevitabile, il comportamento evitante in cui si consuma l’antiscopo.

Ancora una volta il primario timore della sofferenza induce, l’ansioso sociale, alla rinuncia dei propri scopi per perseguire la loro negazione. 

Purtroppo, l’evitamento della sofferenza produce, di per sé, la persistenza di una sofferenza di fondo.

Con spesso ho scritto, il comportamento evitante si configura anche come forma di conferma e rinforzo delle credenze disfunzionali.



6 settembre 2016


Le persone timide tentano con sistematicità di nascondere quei tratti caratteriali che, a loro avviso, li rende deboli dinanzi agli altri. 

Si tratta di comportamenti di protezione che si riscontrano in tutte le forme di ansia sociale.

Tuttavia, queste strategie di difesa fanno acqua da tutte le parti. Non solo, gli individui timidi, non riescono a nascondere le loro fragilità ma, sovente, le rendono anche più evidenti.


Salvador Dali - profanazione dello spirito
I comportamenti di protezione, che hanno lo scopo di rendere invisibili le fragilità, non hanno la caratteristica di essere di “omissione”, bensì di “copertura”: attuano comportamenti finalizzati a coprire le presunte debolezze personali e finiscono per essere inefficaci, lasciano trasparire l’esistenza di punti di fragilità. 

È un po’ come quando si tenta di coprire una scritta con la bomboletta su un muro, con una pennellata di tinta che lascia intravvedere quel che c’era sotto, anche se, talvolta, è in forma di alone.

Spesso, questi comportamenti di copertura risultano persino goffi, spiccatamente forzati svisati, camuffati, innaturali.


3 settembre 2016


Sandra ha la patente da tempo, utilizza l’auto andare all’università, per fare spese nei centri commerciali non lontani dal suo paese, ma quando si tratta di andare in città per altro, va nel panico, pensa di non essere capace di cavarsela nel traffico cittadino.

Ad Alfredo è stato chiesto di contrattare con l’amministratore di una azienda un accordo economico, non ha saputo dire di no al suo superiore, e ora è attanagliato dalla ansia e non fa che pensare: “non sono capace di fare contrattazioni”.

Vassily Kandinsky - intorno al cerchio
Carmine non riesce a integrarsi nel suo nuovo gruppo di amici. Dopo la sua ennesima presenza incolore, senza neanche essere riuscito a dire una sillaba, ha concluso che egli non ha capacità.

Elisabetta ha sempre fatto ogni cosa in compagnia di qualche familiare o buona amica, quando si tratta di fare qualcosa da sola le prende un’ansia pazzesca. È convinta di non saper far nulla.

Sentirsi incapace equivale a essere intimamente convinti di essere tale. Anche la paura di esserlo, corrisponde a tale convinzione.

Ma qua bisogna fare qualche distinzione.