28 febbraio 2017


A metà strada tra il livello inconscio e quello cosciente, trovano spazio diverse tipologie di pensieri strutturali, tra queste, le credenze intermedie.

Si tratta di credenze regolanti, cioè, che stabiliscono stili comportamentali e di approccio ai problemi, agli eventi, alle situazioni.

Le credenze regolanti sono sottoposte alla priorità di congruenza con le credenze di base a cui sottostanno in termini gerarchici. 

Da quest’ottica, esse devono ispirare i comportamenti fisici e mentali in modo coerente e funzionale alle definizioni del sé e degli altri. In un certo senso, sono norme attuative e, allo stesso tempo, strategiche.


Gio Ross - I timidi ai dolmen
Una tipologia è data dalle credenze condizionali, le quali, stabiliscono condizioni che riguardano il comportamento, sia fisico che mentale, cui l’individuo deve attenersi per evitare di subire un danno psicologico, etico o fisico, oppure per raggiungere gli scopi.

Sono pensieri verbali caratterizzati da una parte che contiene la condizione e da un’altra parte che contiene il premio o la punizione cioè, la conseguenza. Gli elementi verbali, talvolta sottintesi, che collegano le due frazioni sono del tipo: “se … allora”; “devo … altrimenti”; “o … oppure”.


20 febbraio 2017


Nei precedenti articoli abbiamo visto che le credenze di base sono definizioni del sé, degli altri e del mondo; che hanno la funzione di informare la mente quando deve svolgere le sue attività elaborative di interpretazione, valutazione, previsione e decisione; che fa tale funzione per mezzo di modelli interpretativi della realtà; che tali modelli non sempre sono interpretazioni della realtà oggettiva e in tal caso non sono aderenti al reale.

A ciò aggiungiamo che le credenze, in effetti, sono pensieri che hanno la caratteristica di essere “strutturali” del sistema cognitivo di base che ci permette di ragionare sulle cose in modo agevole, organico e funzionale.

Viene da domandarsi cosa sia la mente, a tale quesito preferisco rispondere ricorrendo alla descrizione che ne fanno i neurobiologi Maturana e Varela nella loro teoria enattiva (o dell'autopoiesi) in cui definiscono la mente come un insieme di relazioni di relazioni, di interazioni tra relazioni "derivate" di fenomeni fisici nelle nostre strutture cerebrali, la cui complessità è tale da non poterli più definire come fenomeni "fisici" perché vanno oltre la semplice fisicità, perché capaci di astrazione, sono qualcosa d'altro, per l'appunto, "mentali".




14 febbraio 2017


SECONDA PARTE


La loro stabilizzazione e validità

Abbiamo detto che le credenze di base sono idee che hanno la caratteristica di essere definizioni sintetiche del sé, degli altri e del mondo. 

Tali idee descrittive si stabilizzano nella memoria remota a lungo termine, risiedono a un livello inconscio della nostra mente e, dunque, non siamo consapevoli di averle. 

Tuttavia, possono pervenire al nostro stato cosciente per “vie traverse”, che approfondiremo nei prossimi articoli, per ora, diciamo che possono presentarsi in forma di sensazioni, di percezioni astratte o confuse, di timori di essere inadeguati o di non avere determinate qualità positive, di sentirsi in un tal modo, o in forma di pensieri “derivati”. 
Nello schema sottostante trovi alcuni esempi.




Tutti i ragionamenti che si fanno, attingono informazioni a questo archivio di definizioni del sé, degli altri e del mondo. 

Infatti, la nostra mente per poter esperire le sue attività di interpretazione, valutazione, previsione e decisione, abbisogna di informazioni senza le quali non ha quegli elementi necessari per operare; questi li va a reperire nell’archivio delle credenze.

L’insieme funzionale di tali credenze si forma già nei primi tre anni di vita. 

La nostra mente aggiorna costantemente le proprie credenze, e lo fa sulla base delle nuove esperienze.


Alexander Daniloff - pigmalione
Se a seguito di una esperienza, una determinata credenza non si dimostra aderente alla realtà, la nostra mente, tenendo conto delle novità emerse, la nega per poi, successivamente, modificarla o sostituirla. È il cosiddetto processo di validazione o invalidazione, cioè si stabilisce se tale idea di base abbia ancora valore oppure se sia falsa.

Quando una credenza viene confermata ripetutamente nella sua validità, questa si stabilizza, si radicalizza e si irrigidisce; si tratta del processo detto del “rinforzo”. 


6 febbraio 2017


Sembra essere una delle dannazioni annose degli ansiosi sociali. La difficoltà che una persona afflitta da ansia sociale, come la timidezza, incontra nell’esprimere sensazioni emotive, e persino nel complimentarsi con gli altri, non è da ascrivere a una incapacità congenita oppure a una insensibilità o disinteresse verso gli altri.

Questo tipo di problema può, talvolta, far pensare a soggetti con sindrome di asperger o di alessitimia. In realtà, a differenza di queste due sindromi, non è in alcun modo di origine biologica o genetica. 

Alex Hall - Relativity
Piuttosto possiamo considerarlo come uno dei sintomi “caratteriali” di molte forme di ansia sociale e che hanno a che fare con il mancato apprendimento o con la formazione di schemi cognitivi disfunzionali.

L’ansioso sociale è, generalmente, ben conscio di questa sua difficoltà nell’esprimere moti emotivi, e di ciò se ne rammarica e ne soffre.