23 ottobre 2017



SECONDA PARTE


Dato il carattere ansioso dell’attaccamento, la persona timida, sia che abbia una organizzazione cognitiva di tipo depressiva, fobica o semplicemente ansiosa, avverte la necessità di controllo


Andy Beck - s.t.
Quest’ultima, nell'ottica delle aspettative, ha come scopo quella di verificare l’effettiva corrispondenza delle interazioni interpersonali alle proprie aspettative. 

A dire il vero, si trasforma nell’ossessiva ricerca del pelo nell’uovo.

Più che altro, le persone timide, così come gli altri ansiosi sociali, operano delle continue messe alla prova dell’altro/a; è una sorta di controllo mentale ed emotivo sul partner.

Così come le stiamo guardando, le aspettative riposte nell’altro/a fanno riferimento a costrutti propri che non tengono in alcuna considerazione le diversità individuali e, pertanto, l’idea che i modelli operativi dell’altro/a possano non coincidere o essere totalmente difformi da quelli presi in considerazione dall’individuo timido. In pratica tali aspettative non tengono conto della variabilità e l’ampia tipologia dei comportamenti umani.


20 ottobre 2017


PRIMA PARTE

Quando parliamo di timidezza ci riferiamo a un disagio che si dimostra assai complesso e variegato, spesso sorretto da più temi di vita (elaborazioni mentali incentrate sulle personali vulnerabilità emotive, a esempio, i temi dell’ insicurezza, dell’inadeguatezza, del disamore, dell’indegnità, della difettosità di nascita, eccetera), complessità che in tanti casi potrebbe anche far pensare alla presenza di comorbilità. 

Anna Maria Lucarini - attesa delusa
Nella timidezza si intrecciano componenti depressive, fobiche, ansiose, anche se tali fattori non vanno a costituire patologie vere e proprie.

La timidezza è sempre riferita agli altri, cioè, all’interazione con essi. Nelle relazioni più ravvicinate, come quelle amicali o di coppia, entrano in gioco le aspettative e, correlate a queste, i temi della delusione, della perdita, del rifiuto.

Ma facciamo qualche passo indietro per comprendere da dove si originano le aspettative relazionali.

Per far fronte ai propri bisogni, sin dai primi giorni di vita, il neonato ripone delle attese nei confronti di colui o coloro che lo accudiscono e, dal modo in cui il genitore (soprattutto la madre) risponde alle sue richieste di assistenza e cura, il bimbo sviluppa degli stili di attaccamento, credenze sia su sé stesso, sia sul caregiver (accudente).


11 ottobre 2017


Ho spesso fatto notare come ansia ed emozioni sono attivate da flussi di pensiero e/o da processi di valutazione automatica. Vi è dunque uno svolgimento consequenziale di attivazione. 

Tuttavia, si tratta di sequenze che si svolgono in modo veloce, tanto che difficilmente lo stato cosciente riesce a distinguerne le fasi.

Sia i pensieri automatici negativi, sia i processi divalutazione automatica sfuggono all’attenzione delle persone, e ciò perché non sono oggetto di elaborazione mentale cosciente.

Quaini Floriana - frastuono
Pensieri, emozioni ed ansia sono percepiti come eventi simultanei, spesso come un unico evento.

Alla difficoltà di cogliere, in modo cosciente, tali distinzioni vi si aggiunge anche un problema di apprendimento o di mancato esercizio.

Per chi è cresciuto in ambienti (soprattutto familiari) anassertivi, o comunque problematici, è molto alta la probabilità che non gli sia stato concesso, o non abbia avuto la possibilità di apprendere il riconoscimento di distinte emozioni e/o specifiche forme d’ansia.

4 ottobre 2017


Ci sono persone timide che vivono la costante condizione di non sentirsi all’altezza di altri o nel fronteggiare determinate situazioni.

Così finiscono col fare scena muta nelle conversazioni di gruppo, a evitare di prendere iniziative, col cercare di essere più invisibili possibile nelle situazioni sociali, nell’impegnarsi a evitare sistematicamente di trovarsi nella condizione di essere al centro dell’attenzione altrui, nell’evitare il confronto dialettico con altre persone soprattutto se queste sono considerate o percepite superiori a sé.

Andy Beck - n.t.jpg
Qui, l’evidenza della natura cognitiva della timidezza emerge in modo chiarissimo. 

Nel momento in cui la coscienza prende atto di una situazione che va fronteggiata, si sono attivate, in memoria, quelle credenze sulla definizione del sé che la mente collega alla circostanza.